Con una superficie di più di 50mila chilometri quadrati, gli agricoltori della Central valley californiana produconoun quarto del cibo consumato negli Stati Uniti e quasi la metà della frutta e delle noci e nocciole che riempiono gli scaffali nei supermercati del paese. Le coltivazioni sono più di 250, e si stima che le attività agricole della zona generino entrate per 17 miliardi di dollari all’anno (circa 14,5 miliardi di euro). Almeno, fino ad ora.
L’aumento delle temperature, la mancanza d’acqua, gli incendi e i periodi di siccità causati dalla crisi climatica stanno infatti mettendo in difficoltà i normali ritmi di produzione, costringendo molti agricoltori della zona a rivedere i propri programmi.
Raccolti a rischio
L’estate che sta per terminare è stata tra le più calde in assoluto in California, con picchi di 54,4 gradinella Death valley. L’aumento costante delle temperature è tra le cause principali dei periodi di siccità che colpiscono la Central valley, mentre le ondate di calore asciugano il terreno riducendone la fertilità e rendendolo impraticabile per alcune categorie di prodotti. Durante l’estate, l’aggravarsi delle condizioni ambientali e lavorative ha costretto diversi agricoltori a rivedere le proprie attività e modificare, in alcuni casi, i piani produttivi.
“Alcuni imprenditori avevano abbandonato il settore caseario per dedicarsi all’agricoltura, soprattutto di mandorle e pistacchi”, ci racconta George Davis, vicepresidente della California farmers union. “Ora si trovano a dover abbandonare parte delle coltivazioni, perché non c’è abbastanza acqua”.
Anche se la situazione può cambiare nelle diverse aree della California, complessivamente “gli agricoltori non hanno a disposizione tanta acqua quanta ne vorrebbero”, conferma Richard Waycott, presidente e Ceo del California almond board. Per questo molti stanno praticando l’irrigazione deficitaria, un processo con cui il volume di acqua distribuito nei campi viene controllato minuziosamente per raggiungere il miglior risultato possibile utilizzando meno risorse di quelle normalmente previste.
Per gli imprenditori locali, le conseguenze sono concrete. Il New York Times ha raccontato di un coltivatore di riso che ha deciso di mettere in pausa la produzione per vendere l’acqua che avrebbe utilizzato nei campi, considerando questa seconda opzione come più redditizia. Un altro agricoltore – si legge sempre sul New York Times – sta pensando di convertire i suoi campi di mandorle per installarci una serie di pannelli solari, e un altro ancora ha dovuto lasciare incolto un terzo dei suoi campi di meloni. Per i cittadini e gli imprenditori della Central valley i cambiamenti climatici, e tutto l’universo di fenomeni a essi collegati, rappresentano una realtà concreta. La mancanza di acqua è un problema non più rimandabile.
Carenza d’acqua
L’acqua rappresenta l’elemento più prezioso nella Central valley: secondo lo United States geological survey (Usgs), un’agenzia scientifica del governo statunitense, circa il 20 per centodelle acque di falda utilizzate a livello nazionale arriva da questo territorio che, infatti, rappresenta il secondo sistema acquifero del paese.
In California l’agricoltura è responsabile dell’80 per cento del consumo di acqua complessivo, ma secondo Davis la situazione è ormai insostenibile: “Si può sopravvivere a uno o due anni di siccità, utilizzando le acque sotterranee o le riserve. Ma con le temperature che continuano a salire, e gli eventi estremi sempre più frequenti, non c’è più abbastanza acqua”, afferma.
In questo contesto le autorità locali faticano a conciliare le esigenze di agricoltori e residenti. Lo scorso 3 agosto, per esempio, il Centro statale di controllo delle acque ha posto un limite sull’acqua che gli agricoltori possono prelevare dai due principali fiumi dello stato, il San Joaquin e il Sacramento, in modo da assicurarsi che 25 milioni di persone potessero continuare ad avere accesso all’acqua potabile. Nel comunicato stampa rilasciato per annunciare la misura, il Centro afferma senza mezzi termini che il periodo di siccità in corso e l’aumento delle temperature sono fenomeni causati “dai cambiamenti climatici”.
Poco prima, a inizio luglio, il governatore democratico della California Gavin Newsom aveva già emesso un ordine esecutivo per invitare tutti i cittadini a ridurre il proprio consumo di acqua e tagliare gli sprechi almeno del 15 per cento rispetto ai livelli del 2020. Newsom ha motivato la decisione citando gli “effetti del riscaldamento globale” – tra cui gli “incendi catastrofici”, le ondate di calore e l’aridità del suolo – che “mettono a rischio la salute dei nostri concittadini, gli habitat delle specie naturali e l’economia”.
During the last drought, we made water conservation a way of life & we can do it again.
Californians can step up again by voluntarily reducing water usage by 15%, saving 850,000 acre-feet of water – enough to supply more than 1.7 million households for a year.
— Office of the Governor of California (@CAgovernor) July 8, 2021
Secondo Mike Wade, direttore esecutivo della California farm water coalition, i periodi di mancanza d’acqua non sono una novità in California, ma nel corso degli ultimi anni ci sono state oscillazioni impreviste che hanno alterato il regolare susseguirsi degli eventi meteorologici: “Ora gli anni umidi sono estremamente piovosi, e quelli secchi sono estremamente aridi. Questo complica la gestione delle riserve d’acqua”, ci spiega. “Quando abbiamo diversi anni secchi uno dopo l’altro le riserve di esauriscono, ed è ciò che sta succedendo nella valle di San Joaquin”, vicino a San Francisco.
Le possibili soluzioni
Gli esperti hanno idee diverse riguardo alle possibili soluzioni in gioco. George Davis, della California farmers union, propone una risposta di ampio respiro: “Sul lungo termine servirà lavorare perché il carbonio rimanga nel sottosuolo. La sua concentrazione nell’aria è ormai troppo alta, e i mari non riescono più a riassorbirlo. Abbiamo raggiunto un punto critico”, dice, per poi aggiungere: “L’unico posto in cui il carbonio può rimanere è il sottosuolo, è lì che deve stare”.
Per quanto riguarda il breve e medio termine, secondo Mike Wade (California farm water coalition) è fondamentale migliorare la gestione delle acque sul medio termine, in modo da preservarle il più possibile negli anni umidi e utilizzarle in quelli aridi. “Ci sono periodi particolarmente piovosi, ma al momento non abbiamo modo di raccogliere quell’acqua”, puntualizza.
Anche Waycott è convinto che in futuro sarà fondamentale migliorare la gestione e i sistemi di trasporto delle acque in California. Il presidente dell’Almond board cita come esempio la “ricarica intenzionale delle acque nel sottosuolo”, un meccanismo con cui nei periodi particolarmente umidi l’acqua in eccesso viene conservata nel sottosuolo e utilizzata in seguito. “È una tecnica che abbiamo studiato a lungo per i campi di mandorle, possiamo inondarli in inverno e fare in modo che l’acqua filtri nelle falde sotterranee, da dove potrà poi essere estratta”.
Anche se in futuro la tecnologia e l’efficienza dei processi agricoli continueranno a migliorare, i danni dei cambiamenti climatici potrebbero avere forti ricadute sul lungo termine: “È probabile che il peso del settore agricolo in California vada diminuendo”, conclude infatti Waycott. Una perdita enorme, dovuta all’incuria con cui l’uomo ha trattato troppo a lungo la terra che lo circonda.
Si parla tanto di finanza climatica, di numeri, di cifre. Ma ogni dato ha un significato preciso, che non bisogna dimenticare in queste ore di negoziati cruciali alla Cop29 di Baku.
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