Il mondo là fuori che brucia e chi decide lì dentro che lo osserva impassibile. Le due settimane di sessione intermedia di negoziati sul clima, appena concluse a Bonn in Germania, possono essere riassunte così. Come già troppe volte accaduto in passato, il confronto tra i rappresentanti dei 196 paesi membri della Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (Unfccc) appare incastrato in un binario morto.
“Mancanza di progressi sostanziali sulle questioni critiche”
Mentre l’Europa occidentale fronteggia un’ondata di caldo eccezionale per estensione e intensità, quando l’estate non è ancora neppure cominciata, i delegati presenti a Bonn non sono riusciti a centrare alcun obiettivo di rilievo. La riunione, organizzata come di consueto nella città tedesca, avrebbe dovuto spianare la strada per i lavori che si terranno nel prossimo mese di novembre a Sharm el-Sheikh, in Egitto, in occasione della ventisettesima Conferenza mondiale sul clima (Cop 27). Dopo le enormi difficoltà incontrate già alla Cop 26 di Glasgow.
I nodi che avevano impedito significativi passi in avanti in Scozia sono ancora tutti da sciogliere. “Ci rammarichiamo di fronte alla mancanza di progressi sostanziali sulle questioni critiche. Così andiamo avanti ad un ritmo troppo lento”, ha commentato il rappresentante di Antigua e Barbuda, a nome di un gruppo di 39 stati insulari che a causa del riscaldamento globale e dalla conseguente risalita del livello dei mari rischiano di vedere sommerse ampie porzioni dei loro territori, se non di sparire del tutto dalle carte geografiche.
Il nodo dei finanziamenti per le perdite e i danni legati ai cambiamenti climatici
Ancor più dura la rete di ong Climate action network, secondo la quale i testi usciti da Bonn “sono vuoti. Privo di volontà politica, il processo si è incastrato in una serie di iper-tecnicismi e nella lentezza delle procedure. Nel frattempo, c’è chi muore per colpa dei cambiamenti climatici”.
— Italian Climate Network (@ItalianClimate) June 16, 2022
Uno dei punti sui quali c’è stato maggior scontro tra i governi è quello legato al cosiddetto loss and damage, ovvero agli indennizzi reclamati dalle nazioni più povere e vulnerabili della Terra per le perdite e i danni provocati dal riscaldamento globale. Del quale, però, quegli stessi paesi sono solo in minima parte responsabili. Per questo, da tempo, gli stati più ricchi si sono impegnati a fornire assistenza e finanziamenti al sud del mondo, senza tuttavia mai passare concretamente dalle parole ai fatti.
Da Stati Uniti, Unione europea e Svizzera “no” al G77 più Cina
Alla Cop 26, di fronte alla distanza incolmabile sul tema tra i governi sulla questione, si era deciso – per lo meno – di aprire un tavolo di confronto permanente, battezzato Dialogo di Glasgow. Che è cominciato appunto a Bonn nei giorni scorsi e che si prevede debba terminare nel 2024. I paesi in via di sviluppo hanno proposto che la questione sia inserita a pieno titolo nell’agenda della Cop 27. Ma Stati Uniti, Unione Europea e Svizzera hanno detto no. Noi, mondo ricco, abbiamo detto no al gruppo G77 più la Cina, che assieme rappresentano l’80 per cento della popolazione mondiale.
L’obiettivo – come già alla Cop 26 – era infatti di creare un meccanismo di finanziamento e aiuto, chiamato Loss and Damage Finance Facility. Un modo per consentire alle nazioni più vulnerabili di ottenere una sorta di assicurazione: un fondo al quale attingere facilmente in caso di eventi meteorologici estremi. Ma fonti interne alla diplomazia europea, ad esempio, hanno risposto candidamente: “Non pensiamo sia la risposta giusta. Ci sono già molti canali che permettono di finanziare le perdite e i danni”.
A Bonn stallo anche sulla questione dell’adattamento ai cambiamenti climatici
Ma anche sull’adattamento ai cambiamenti climatici i passi avanti sono stati sostanzialmente inesistenti. Come noto, alla Cop 15 del 2009 i paesi ricchi avevano promesso 100 miliardi di dollari all’anno a favore di quelli poveri, per consentire loro di costruire infrastrutture, sistemi d’allerta e meccanismi di protezione della popolazione. Ma quel denaro non è mai stato stanziato per intero. A Bonn la sola decisione concreta è stata quella di organizzare un “incontro” prima della Cop 27.
L’unica nota positiva in Germania è arrivata dalla delegazione australiana. Il cambio di governo, con l’arrivo dei laburisti di Anthony Albanese al posto dei conservatori di Scott Morrison, ha consentito alla nazione di rilanciare le proprie ambizioni, presentando un nuovo piano di riduzione delle emissioni di gas ad effetto serra. Teoricamente, lo stesso dovrebbero fare Egitto, Turchia e Emirati Arabi Uniti. Troppo poco, però, per far uscire i negoziati climatici dal vicolo cieco nel quale sono ormai bloccati da anni.
Si parla tanto di finanza climatica, di numeri, di cifre. Ma ogni dato ha un significato preciso, che non bisogna dimenticare in queste ore di negoziati cruciali alla Cop29 di Baku.
Basta con i “teatrini”. Qua si fa l’azione per il clima, o si muore. Dalla Cop29 arriva un chiaro messaggio a mettere da parte le strategie e gli individualismi.
L’ad del colosso statunitense, Darren Woods, ha parlato dalla Cop29 di Baku. Exxon prevede di investire nella transizione oltre 20 miliardi di dollari entro il 2027.
La presidente del Consiglio Giorgia Meloni, intervenendo alla Cop29 a Baku, ha ribadito il proprio approccio in materia di lotta ai cambiamenti climatici.