Cambiamenti climatici e deforestazione in Perù raccontati da Daniele Cagnazzo

Daniele Cagnazzo è tornato dal Perù, dove ha documentato le conseguenze dei cambiamenti climatici e del sovra sfruttamento delle risorse naturali.

Quanti e quali e effetti possono avere i cambiamenti climatici su una nazione? In un paese come il Perù sono tante le sfaccettature di come il clima, e il sovra sfruttamento delle risorse naturali da parte dell’uomo, stiano influenzando tanto l’ecosistema quanto la vita delle popolazioni locali. E sono tutte abbastanza preoccupanti.

Daniele Cagnazzo è un giornalista, documentarista e founder della startup Around, parte dell’ecosistema di LifeGate Way. Ed è appena tornato da una missione in Perù il cui fine ultimo è la produzione di un documentario e di strumenti di sensibilizzazione. L’intera operazione, che fa parte del progetto a lungo termine The climate project con cui Cagnazzo vuole documentare gli effetti dei cambiamenti climatici in varie zone del mondo, è stata co-finanziata da proprio da Around. Nuestra Pachamama è il racconto accorato di Daniele che, nel suo viaggio di un mese, ha toccato tre realtà per documentare alcuni aspetti cruciali: la perdita di biodiversità in Amazzonia, aggravata da tutta una serie di attività illegali connesse al traffico d’oro e alla deforestazione; gli sforzi degli alpaqueros delle Ande, chiamati a far fronte all’aumento delle temperature in alta quota; e infine gli effetti del clima sulla zona costiera, più esposta rispetto al passato alle epidemie.

La regione amazzonica del Perù tra estrazione illegale d’oro e deforestazione

La prima tappa della missione documentaristica di Daniele è stata la regione amazzonica del Perù, al confine con l’Ecuador. “Un viaggio lungo e pericoloso che dall’aeroporto principale della regione mi ha condotto, con sette ore di macchina su sterrato, a Santa Maria de Nieva: da qui, il viaggio nella regione di Condorcanqui non può che continuare via fiume. Io mi sono concentrato sulle comunità fluviali che abitano intorno al Rio Marañón, che è un affluente del Rio delle Amazzoni e del Rio Santiago che arriva fino in Ecuador”. In tutta questa zona negli ultimi anni, soprattutto dopo la pandemia, si è accentuato l’incremento di attività illegali in conseguenza soprattutto della chiusura delle frontiere durante il Covid. “Questa è una zona di conquistadores, nel senso che non c’è un vero e proprio controllo da parte dello stato centrale: l’unico trasporto esistente è quello fluviale e le popolazioni vivono nella selva”.

In questa zona remota del Perù le attività illegali sono sostanzialmente tre: l’estrazione illegale dell’oro, il commercio del legno connesso alla deforestazione, e il contrabbando di topa, un tipo di legname che viene raccolto in Perù e venduto in Ecuador. Non c’è internet, non c’è un bancomat, non c’è niente. “Le persone per poter avere dei contanti devono farsi quattro ore di barca, arrivare a Santa Maria de Nieva, farsi due o tre ore in fila al bancomat, e poi altre quattro ore di barca. Non c’è neanche un ospedale, ci sono delle stanze di primo soccorso, ma l’ospedale vero e proprio più vicino è a otto ore da Santa Maria de Nieva, ovvero a dodici dal Rio Santiago”. Arrivare qui non è possibile se non collaborando con ong, nel caso di Daniele Terra Nuova, attiva in Perù dalla fine degli anni Settanta.

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Puerto Galilea, piccolo porticciolo sul Rio Santiago © Daniele Cagnazzo

L’estrazione illegale dell’oro è diffusissima in tutta la zona. “I mineros si accordano con i capi dei villaggi promettendo delle percentuali, ma chiaramente alle comunità locali non viene riconosciuta che una minima parte della ricchezza ricavata. Ogni grammo venduto in città vale tra i 200 e i 250 soles, che sono circa 50, 60 euro a grammo. L’oro viene estratto con delle draghe posizionate su delle barche, che aspirano tutto quello che c’è sul letto del fiume e poi isolano la parte preziosa dai residui di terra e detriti attraverso l’impiego massiccio del mercurio, sostanza in grado di separare i due materiali”. Ogni draga è in grado di recuperare dai sette agli otto chili di oro al giorno.

Continua Cagnazzo: “Una volta separato il materiale, tutto il liquido contenente mercurio utilizzato viene ributtato nel fiume con danni enormi per l’ecosistema del Rio Santiago e di tutta la zona della provincia di Condorcanqui. A nord di Puerto Galilea vive la comunità indigena Wampis che ha istituito un governo territoriale autonomo, non riconosciuto dallo stato, proprio per cercare di tutelare tutto il proprio territorio e la sua riserva opponendosi ai conquistadores. Nella parte bassa del Rio Santiago, da Puerto Galilea a Santa Maria de Nieva, vive un’altra comunità indigena, la Awajún, che insieme ai Wampis prova a contrastare le attività illegali”.

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Le draghe con cui i mineros estraggono l’oro dal letto del fiume © Daniele Cagnazzo

Ripartire dall’alimentazione per il sostentamento delle comunità locali

Terra Nuova qui opera soprattutto cercando di sostenere le comunità locali dal punto di vista dell’alimentazione. La fonte principale di proteine un tempo era il pesce fornito dal fiume che oggi, però, non si può più mangiare perché pieno di mercurio. La ong quindi contribuisce a creare coscienza alimentare e insegna a lavorare il platano (una specie di banana più grossa e verde), che invece abbonda, e ad allevare il pesce. “Terra Nuova ha creato due laboratori. Nel primo, alimentato a pannelli solari, si lavora il platano per realizzare farine per fare altri composti: un modo efficace di stoccare il platano fresco e renderlo disponibile più a lungo. I prodotti di scarto servono invece per alimentare il compost con cui si vanno a fertilizzare le zone da riforestare e altre zone coltivate a mais. L’altro è invece dedicato alla pescicoltura dove i pesci vengono allevati e controllati dal punto di vista della contaminazione e poi distribuiti alle comunità”.

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L’ong Terra Nuova ha organizzato nella regione del Rio Santiago un laboratorio di pescicoltura © Daniele Cagnazzo

La strada per l’Ecuador è una frontiera aperta, quindi il contrabbando è all’ordine del giorno. “Anche la benzina viene contrabbandata, perché oltre confine ha un costo nettamente inferiore e i controlli di frontiera sono finti. C’è un tipo di pianta, l’albero di topa, che viene letteralmente disboscato per essere venduto in Ecuador perché molto pregiato e utilizzato principalmente per produrre arredamento per aerei, yacht e barche di lusso. Questo commercio illegale chiaramente aumenta la deforestazione con conseguenze sui cambiamenti climatici perché erode il polmone verde del mondo che è sempre meno in grado di intercettare CO2. Terra Nuova qui opera con progetti di riforestazione importanti”.

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L’albero di topa viene disboscato e venduto di contrabbando in Ecuador © Daniele Cagnazzo

La regione andina del Perù e gli alpaqueros alle prese con i cambiamenti climatici

Il viaggio di Daniele poi è proseguito salendo in altitudine, a 4.200 metri sopra il livello del mare, dove l’aumento delle temperature è palese e ha conseguenze molto serie sugli allevamenti di alpaca. “La zona dove sorgono i campi dedicati al pascolo di questi animali si sta riducendo sempre di più: a quote in cui prima c’erano dei pascoli, oggi diventa sempre più complicato. La siccità dilagante fa sì che non cresca più così tanta erba come prima, ma è la principale fonte di nutrimento degli alpaca, la cui sopravvivenza quindi è minacciata. Inoltre qui siamo proprio sotto la cordigliera e a fusione dei ghiacciai ha dato origine a lagune in alta quota dove si liberano batteri e parassiti che stanno diventando un problema sempre più grosso, perché minacciano la sopravvivenza degli alpaca facendoli ammalare”.

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I cambiamenti climatici stanno in Perù stanno minacciando la sopravvivenza degli alpaca © Daniele Cagnazzo

Alla salute degli alpaca sono poi legati la sopravvivenza e il sostentamento delle comunità di alpaqueros che sul loro allevamento hanno sempre basato la loro sussistenza: “Quando viene tosato una alpaca si recuperano circa due chili di lana, che viene venduta a un intermediario per circa 2 o 3 euro a libbra: c’è un mercato centrale che fa il prezzo, poi però la lana degli alpaca, che è pregiatissima, viene venduta in occidente a molto di più. È sempre stato così, ma prima si produceva molta più lana: l’aumento delle temperature fa sì che la quantità di lana prodotta ogni anno si stia riducendo drasticamente, minacciando la sussistenza economica degli alpaqueros. Curare un alpaca che si ammala, ad esempio, non è un’opzione per gli allevatori”, spiega.

La missione di Daniela Cagnazzo però vuole anche raccontare la resilienza delle popolazioni che sono messe in difficoltà dai cambiamenti climatici. “Don Lucio Mandura Crispin, ad esempio, è un alpaquero che ha studiato un metodo per contrastare la siccità e riforestare la zona della montagna dove è scomparsa l’erba: ha individuato dei cespugli e, con un esperimento, li ha trapiantati in altri zone recuperando l’acqua piovana per irrigarli. La soluzione proposta da Crispin sta dando i suoi frutti, ma resta comunque il problema legato alle malattie e alla modificazione genetica degli alpaca, motivo per cui al momento viene studiata anche la riproduzione in vitro di questi animali, per far sì che si dia origine a nuovi esemplari resistenti ai batteri che si stanno sprigionando dalla fusione dei ghiacciai”.

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L’innalzamento delle temperature riduce le aree di pascolo degli alpaca, che sono messi in pericolo anche dai batteri che si sprigionano dallo sciogliemento dei ghiacciai © Daniele Cagnazzo

La zona costiera di Ica, tra epidemia di dengue ed effetti delle alte temperature sui raccolti

Il Perù si divide in tre aree climatiche principali: serra, selva e costa. L’obiettivo di Daniele era quello di documentare come i cambiamenti climatici stiano mettendo in difficoltà ciascuna di esse. La costa, una zona desertica subito sotto Lima, è famosa per la produzione di vino e di pisco (un liquore tipico del sud America, in particolare di Cile e Perù). Nella zona costiera desertica di Ica non ci sono mai state piogge frequenti, ma l’acqua che si scioglieva dalle montagne poi stazionava nel terreno irrigandolo: un sistema naturale che ha creato le condizioni favorevoli per la produzione vinicola.

“Per l’incremento delle temperature, l’uva matura più velocemente e vede così aumentare la quantità di zuccheri, che vanno a impattare sulla qualità del prodotto finale. L’università di San Giovanni Battista è impegnata in un percorso di ricerca e sviluppo per creare soluzioni, sia dal punto di vista di nuove tipologie di uva, che di irrigazione. L’impegno dei ricercatori è quello di dare il più possibile supporto alla produzione agricola di una delle zone del Perù più rilevanti dal punto di vista economico perché è quella dove si producono non solo vino e pisco, ma anche frutta e ortaggi destinati all’esportazione”.

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La zona costiera desertica di Ica, dove l’aumento delle temperature minaccia la produzione di vino, di pisco e di frutta e verdura © Daniele Cagnazzo

L’effetto più grave dell’aumento delle temperature sulle costa però è  una grave epidemia di dengue che sta creando una crisi sanitaria. “Questo virus, trasportato dalle zanzare, è tipico della zona amazzonica dove ci sono molti acquitrini e acqua stagnante, non del deserto. Lunghi periodi di siccità, alternati da piogge intense, gli hanno permesso di prosperare anche nelle pozze d’acqua che si sono venute a creare. La conseguenza è che i picchi annuali di dengue sono aumentati moltissimo negli ultimi anni e, soprattutto, interessano aree che prima ne erano protette, creando un grave disagio alla popolazione”, conclude Daniele Cagnazzo.

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