Nel 2021 si stima una produzione mondiale di vino tra le più basse di sempre, ma in Italia anche riso, frutta, olio e miele hanno risentito dei cambiamenti climatici. E nel Mediterraneo le sardine sono sempre più piccole.
Gelate primaverili, forti piogge, grandine: nel 2021 il clima ha fortemente condizionato la produzione di vino in Europa tanto che, fa sapere l‘Organizzazione internazionale della vigna e del vino(Oiv), si prevede che la produzione mondiale scenderà a uno dei livelli più bassi mai registrati.
Vino e clima: nel 2021 una delle produzioni più basse di sempre
L’Oiv ha stimato per il 2021 una produzione mondiale tra 247,1 e 253,5 milioni di ettolitri (mhl), un quantitativo che, se confermato, segnerebbe il terzo anno consecutivo di produzione inferiore alla media e si avvicinerebbe ai 248 mhl del 2017, il dato più basso degli ultimi sessant’anni.
2021 would be the third consecutive year where the global wine production level is below average due to late spring frost and overall unfavorable climatic conditions. All the data presented is available here: #OIVFirstEstimateshttps://t.co/2zRxTjXg84pic.twitter.com/ATWCzuZ7Gt
“Se i viticoltori si sono adattati relativamente bene alla crisi dovuta alla pandemia – hanno dichiarato dall’Oiv – ora devono affrontare un problema per cui non esiste vaccino, ovvero i cambiamenti climatici. Adattarsi a questo nuovo scenario richiederà grandi sforzi in termini di pratiche sostenibili per la coltivazione della vite e la produzione di vino”.
Gli effetti del climate change su riso, frutta, olio e miele
Nonostante l’Italia rimanga il primo produttore di riso in Europa, il 2021 ha registrato un calo della produzione del 10 per cento; per quanto riguarda la frutta, quest’anno è andato perso 1 frutto su 4, e anche la frutta a guscio ha subito il clima pazzo con l’esempio del Lazio che ha perso il 70 per cento della produzione di nocciole. L’olio ha segnato un +15 per cento, ma l’incremento è stato di molto inferiore alle attese. Il miele, invece, ha registrato un calo fino al 95 per cento.
L’agricoltura biologica e la resilienza ai cambiamenti climatici
Poiché l’agricoltura subisce i cambiamenti climatici, ma allo stesso tempo contribuisce essa stessa al riscaldamento globale producendo emissioni di CO2, il rapporto del Wwf si sofferma sulla spiegazione di come l’agricoltura biologica rappresenti oggi una risposta concreta rispetto alle politiche di mitigazione e adattamento climatico poiché contribuisce alla riduzione delle emissioni attraverso una maggiore capacità di sequestro di CO2 nel terreno, si prende cura del suolo migliorandone la fertilità e favorendo la diversità biologica, riduce le emissioni di ossido di diazoto (N2O) e il consumo di energia dovuto al divieto di utilizzare fertilizzanti e prodotti fitosanitari chimici di sintesi.
Produzione agricola mondiale a rischio nel 2100
Se non si agirà in fretta, attuando per esempio una transizione agroecologica per la terra, molte delle produzioni del Pianeta saranno a rischio. Lo conferma un nuovo studio dell’Università finlandese di Aalto, pubblicato sulla rivista One Earth: i ricercatori hanno calcolato che circa il 95 per cento dell’attuale produzione agricola proviene da aree definite “spazio climatico sicuro”, dove temperatura, piogge e aridità consentono la produzione di cibo. Ma se una crescita delle emissioni di gas serra portasse le temperature a salire di 3,7 gradi dai livelli pre-industriali entro la fine del secolo, queste aree sicure si ridurrebbero drasticamente, soprattutto nelle regioni a bassa latitudine in Asia meridionale e sudorientale e nella zona del Sahel in Africa. Rispettando, invece, gli accordi di Parigi e mantenendo il riscaldamento globale entro 1,5- 2 gradi, sarebbe a rischio “solo” il 5-8 per cento della produzione agricola mondiale.
Nel Mediterraneo le sardine non hanno da mangiare
Anche dal mare arrivano cattive notizie. Il progetto scientifico francese Mona Lisa ha scoperto che la riduzione della lunghezza e del peso delle sardine nel Mediterraneo (in meno di dieci anni sono passate da 15 a 11 cm e da 30 a 10 g) sarebbe dovuta a una minore disponibilità di plancton di cui si nutrono, a sua volta causata da diversi cambiamenti ambientali, tra cui l’aumento della temperatura delle acque.
“Le immagini satellitari della metà degli anni 2000, ovvero il momento in cui abbiamo iniziato a osservare la diminuzione delle dimensioni delle sardine – hanno dichiarato gli scienziati – mostrano chiaramente una diminuzione della quantità di microalghe”. Il plancton non è solo diminuito, ma è anche meno nutriente. E questo mette a rischio una delle specie ittiche fondamentali della catena alimentare del mare.
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