La Convenzione di Istanbul contro la violenza di genere e la violenza domestica compie 10 anni. Cos’è, quali paesi ne fanno parte e che futuro ha.
Con gli sconvolgimenti portati dal clima, aumenta anche la violenza sulle donne
Durante i disastri naturali si moltiplicano gli episodi di violenza ai danni di donne e ragazze. Impegnarsi per la parità di diritti diventa fondamentale.
La lotta alla violenza sulle donne, che l’Onu ricorda il 25 novembre di ogni anno, “ha assunto una nuova dimensione con le sfide poste dai cambiamenti climatici”. Lo mette nero su bianco l’Unfccc, la Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici.
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Un mondo sconvolto dal clima impazzito
A primo acchito il legame tra i due fenomeni potrà sembrare poco intuitivo, ma diventa molto più comprensibile facendo qualche esempio delle conseguenze pratiche della crisi climatica in corso. L’ormai celebre report Sr15 dell’Ipcc (Gruppo intergovernativo di esperti sui cambiamenti climatici) ha lanciato un avvertimento forte e chiaro: rischiamo di sfondare già entro il 2030 il muro dei +1,5 gradi centigradi rispetto ai livelli preindustriali, lo stesso che con l’Accordo di Parigi aveva prospettato per il 2100.
Se le previsioni degli scienziati si concretizzeranno, dovremo abituarci a vivere in un mondo molto diverso da quello che siamo stati abituati a conoscere finora. Con “soli” 1,5 gradi centigradi in più raddoppierà il rischio di inondazioni, 350 milioni di persone saranno esposte a una grave siccità entro il 2100, altri 700 milioni a ondate di calore estremo almeno ogni vent’anni, 46 milioni di individui dovranno fare i conti con l’innalzamento del livello del mare entro la fine del secolo. Tutto questo si tradurrà in shock economici, tensioni dentro e fuori dai confini nazionali, migrazioni forzate.
Coi disastri naturali aumenta la violenza sulle donne
Ed è proprio in queste situazioni, spiega l’approfondimento delle Nazioni Unite, che la violenza sulle donne e sulle ragazze risulta particolarmente radicata. Una violenza che può essere fisica, economica o psicologica. Lo scrive a chiare lettere un report di Care International sulle dieci crisi umanitarie del 2016 più trascurate dai media. “I disastri uccidono più donne che uomini e colpiscono più duramente i mezzi di sussistenza delle donne. Circa il 60 per cento delle morti materne accade durante i conflitti, gli sfollamenti e i disastri naturali. Tutte le forme di violenza contro donne e ragazze raggiungono il picco durante disastri e conflitti”. Diverse analisi invitano quindi a prendere in esame anche la prospettiva di genere negli studi sul clima e nei relativi piani d’azione.
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Non bisogna pensare che questi fenomeni siano limitati ai paesi in via di sviluppo. Anche in uno stato ricco e industrializzato come l’Australia, per esempio, per le donne che vivono in zone rurali e remote è più probabile subire violenza da parte del partner. Allo scatenarsi di incendi, ondate di siccità o inondazioni, episodi simili aumentano. Questo perché le persone violente si sentono sotto pressione per la loro situazione di insicurezza finanziaria e abitativa, e reagiscono dando sfogo ai propri istinti aggressivi.
Il costo umano delle inondazioni in Bangladesh
Ne è un esempio molto chiaro il Bangladesh, uno dei territori più vulnerabili al clima impazzito. Densamente popolato (la media è di 1.045 persone per chilometro quadrato), ha un’economia prevalentemente agricola, che risulta quindi fortemente subordinata alla disponibilità di risorse naturali. Ad oggi il 29 per cento della popolazione guadagna meno di un dollaro al giorno, una percentuale che si alza all’84 per cento se si considera chi guadagna meno di due dollari al giorno.
Tra agosto e settembre 2014, diverse settimane di forti piogge hanno lasciato senza casa mezzo milione di persone. E in una società ancora fortemente ancorata al modello patriarcale, in cui gli uomini accentrano su di sé il potere decisionale ed economico e le donne si prendono cura della famiglia, sono state proprio queste ultime a pagare il prezzo più alto. I rifugi sovraffollati mancavano degli standard minimi di igiene e privacy, rivelandosi così molto pericolosi. Centinaia di donne sono rimaste vittime di stupri o molestie, senza nemmeno avere accesso al supporto sanitario o ai sistemi di controllo delle nascite.
Effects of climate change are intrinsically connected to the persistence of violence against women.
Here’s an example from Mozambique where severe drought caused a spike in child marriage. #COP25 #16days #orangetheworld https://t.co/I2bjiwu0Px
— UN Women (@UN_Women) December 2, 2019
Le donne come motore di cambiamento
Immaginare le donne soltanto nelle vesti di vittime, però, è limitativo. Perché sono anche fondamentali agenti di cambiamento. Nel già citato report di Care International si legge che “nel 2013 solo l’1 per cento dei finanziamenti agli stati più fragili è andato ai gruppi femminili, anche se le prove dimostrano che, quando le donne sono coinvolte in modo significativo e ci si prende cura direttamente delle loro necessità, le azioni umanitarie sono più efficaci ed efficienti e la transizione verso la ripresa risulta più veloce”.
We can solve climate change – if we involve women https://t.co/jdmt6FXFHT #sustainableworld pic.twitter.com/ZuxrqKLGyS
— World Economic Forum (@wef) November 30, 2019
Ricalca queste considerazioni anche una ricerca di McKinsey, riportata e commentata dal World Economic Forum. Se nel mercato del lavoro si raggiungesse la perfetta parità tra uomini e donne, il pil annuale crescerebbe di 28mila miliardi di euro entro il 2025. Una cifra più che sufficiente per affrontare (e vincere) la sfida del clima: le stime più accreditate infatti sostengono che servano 585 miliardi di dollari all’anno entro il 2020 e 894 miliardi entro il 2030.
Foto in apertura © Allison Joyce/Getty Images
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