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Il pesce è un importante fonte di nutrimento che rischiamo di perdere se non tuteliamo la biodiversità del mare con scelte consapevoli.
Le popolazioni preistoriche che vivevano lungo le coste del Mediterraneo 9.500 anni fa consumavano grandi quantità di pesce: lo dice un recente studio internazionale, guidato dagli archeologi dell’Università di York e a cui ha partecipato anche il dipartimento di Biologia ambientale dell’università Sapienza di Roma. La ricerca dimostrerebbe così che la paleo-dieta non era principalmente costituita da risorse terrestri, ma anche da quelle provenienti dal mare.
Da sempre la dieta mediterranea continua a comprendere il consumo di pesce quale fonte importante di proteine nobili, sali minerali quali fosforo, iodio, calcio, vitamine A, B – tra tutte la B12, rara nel mondo vegetale – e D, oltre che grassi insaturi ad alta concentrazione di omega 3.
“Una recente revisione a ombrello di numerosi studi epidemiologici ha mostrato come il consumo regolare di pesce svolga un ruolo preventivo rispetto a tumori, malattie cardiovascolari e neurodegenerative”, spiega Renata Alleva, specialista in Scienza dell’alimentazione. “Addirittura, il dha, un acido grasso omega 3, influenzerebbe lo sviluppo del cervello già a livello fetale, attraverso l’alimentazione della madre”.
“Il pesce azzurro in particolare, come alici, sgombri e sarde, è ricco di acidi grassi insaturi e di selenio, uno dei modulatori della tiroide e quindi del metabolismo. Si tratta di pesci piccoli che inoltre, rispetto ai pesci predatori di grande taglia, evitano il bioaccumulo di mercurio e altre sostanza inquinanti come le microplastiche”, spiega Alleva.
Il pesce, quindi, si può consumare un paio di volte alla settimana, all’interno di una dieta varia ed equilibrata, ma con consapevolezza della tipologia e della provenienza, così che i benefici risultino superiori ai rischi. “Meglio evitare il pesce confezionato con additivi; ok al consumo di pesce surgelato se ha mantenuto la catena del freddo”, conclude l’esperta.
Una dieta varia nella scelta del pesce fa bene alla nostra salute e a quella dell’ambiente: “La pesca artigianale di un tempo si basava su circa 200 specie di pesce”, racconta Emilio Mancuso, biologo marino e divulgatore scientifico, presidente di Verdeacqua.“Oggi la pesca industriale si è concentrata su 11 specie tra cui, ad esempio, tonno, branzino, orata, che pretendiamo siano disponibili 12 mesi l’anno”. E invece anche il pesce ha la sua stagione e rispettarla significa consentire a una determinata popolazione ittica di riprodursi.
La sovrapesca è tra le minacce principali degli ecosistemi marini insieme all’impatto dei rifiuti e delle sostanze inquinanti. Minacce che sono amplificate dalla crisi climatica: “I cambiamenti climatici mettono in pericolo la biodiversità con conseguenze gravi perché è proprio nella biodiversità che risiede la resilienza di un ecosistema e la sua capacità di recupero in seguito a eventi catastrofici, siano essi di origine naturale o antropica”.
“Per fortuna il mare si salva da solo come dimostra la storia della Terra”, continua Mancuso, “ma noi stiamo contribuendo all’estinzione di organismi con una velocità mai vista prima e i primi a perderci saremo noi perché il mare garantisce una serie di servizi ecosistemici: circa la metà dell’ossigeno presente in atmosfera arriva da mari e oceani che sono anche importanti riserve di carbonio”.
Le soluzioni passano dall’affinamento delle tecniche e degli strumenti di pesca per renderle meno impattanti, ma anche da un modo diverso di fare allevamento: “Quando abbiamo iniziato ad allevare animali terrestri abbiamo allevato degli erbivori; nel caso dei pesci, invece, abbiamo allevato carnivori: per fare un chilo di orate e branzini servono 10 chili, se non di più, di pesce azzurro trasformato in mangime. Perché non allevare, allora, pesci che si nutrono di plancton come i latterini o pesci erbivori come la salpa, per esempio?”.
E poi ci sono le alghe, una fonte di nutrimento per noi umani che non ruba niente al mare: le alghe crescono velocemente e assorbono carbonio. “Dobbiamo metterci in testa che non esiste una sola soluzione, ma che noi siamo parte della soluzione con le nostre scelte consapevoli. Siamo strettamente interconnessi al mare e agli oceani sono il più importante scrigno di biodiversità del Pianeta”.
In particolare, nel mar Mediterraneo, che rappresenta circa l’1 per cento dei mari del mondo, si concentra quasi il 10 per cento della biodiversità marina conosciuta. Dalla consapevolezza dei problemi delle acque, per difendere il Mare Nostrum e tutelarne la ricchezza, nasce la Water Defenders Alliance: coordinata da LifeGate, riunisce aziende, persone, porti e istituzioni e mondo della ricerca con tre aree di intervento: la prima, su cui c’è già un grosso bagaglio di esperienza con PlasticLess, è la presenza dei rifiuti di plastica; poi ci sono l’inquinamento chimico provocato dagli sversamenti di idrocarburi e, infine, la fragilità degli habitat marini. L’obiettivo? Arrivare al 100 per cento di ogni sfida, in ogni singolo porto del nostro paese.
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