I bunong sono in causa contro il gruppo francese Bolloré per il suo depredamento di 7mila ettari di foresta. Un tribunale francese ora ha dato ragione alla multinazionale, ma la battaglia non è finita.
La popolazione indigena dei Bunong ha intentato una causa contro il gruppo francese Bolloré e il governo della Cambogia per land grabbing, ovvero l’accaparramento di 7mila ettari di terreno destinati alla coltivazione di caucciù. I bunong rivendicano i loro diritti sulla foresta, denunciando la distruzione degli alberi ancestrali e la sottrazione dei loro mezzi di sussistenza. L’offensiva giudiziaria indigena per ora non sta andando come speravano: il tribunale di Nanterre ha respinto in prima istanza le rivendicazioni della minoranza cambogiana, che però non ha intenzione di arrendersi.
La foresta cambogiana svenduta per il caucciù
Quella dei bunong è una minoranza indigena della Cambogia orientale, composta da circa 37mila persone. Sono di religione animista e hanno proprio in alcuni alberi centenari le loro divinità. Al di là di questo, nella foresta e nei suoi frutti traggono i loro mezzi di sussistenza, dal momento che si tratta di un gruppo che vive di agricoltura itinerante e raccolta.
Nel 2008 una parte di foresta, circa 7mila ettari, è finita al centro di un accordo tra il governo cambogiano e una joint venture formata dal gruppo lussemburghese Socfin e dalla società locale di costruzioni Khao Chuly, che ha ottenuto i diritti sulla terra. Vaste porzioni di foresta sono state distrutte negli anni successivi e convertite in piantagioni di hevea, gli alberi della gomma da cui si ricava il caucciù.
La Socfin, partecipata al 39 per cento dall’enorme gruppo francese Bolloré, è una potenza multinazionale per quanto riguarda l’accaparramento di terreni a fini agricoli: dall’Asia all’Africa sono sterminate le sue piantagioni di gomma e di olio di palma. Il territorio cambogiano nella provincia di Mondolkiri, dove si trovano i bunong, è solo un’altra bandierina nell’atlante geografico della holding lussemburghese.
Gli indigeni bunong in tribunale
Da subito i bunong hanno alzato la voce contro l’operazione straniera nella loro foresta. E dopo diverse proteste e reclami, rimasti inascoltati dalle autorità locali, nel 2015hanno deciso di passare per vie legali rivolgendosi alla giustizia francese contro il gruppo Bolloré.
La minoranza indigena sostiene che l’accaparramento dei terreni della joint venture abbia causato loro una perdita di reddito, privandoli dei loro mezzi di sussistenza primari oltre che della libertà di culto. Inizialmente sono stati una cinquantina a presentare denuncia formale, poi con il tempo il numero di indigeni coinvolti è salito a 80. Nel 2019 il tribunale di Nanterre ha chiesto loro di dimostrare attraverso documenti il loro diritto originario sulle terre accaparrate, una richiesta che ha causato non pochi problemi. Trattandosi di foresta non sottoposta a proprietà privata, non si è potuto procedere in questa direzione. Inoltre, molta della documentazione sul rapporto tra i bunong e queste terre è andata distrutta con i Khmer rossi.
Ora il tribunale francese ha respinto in prima istanza le rivendicazioni dei bunong. “Nessuno degli 80 appellanti è riuscito a giustificare un diritto sulle terre contese”, si legge nella sentenza, che dunque dichiara irricevibile la richiesta a procedere presentata dagli esponenti del gruppo indigeno. Ora dovranno anche pagare alla società Bolloré 20mila euro come indennizzo procedurale. “Questa sentenza è sorprendente e in contrasto con il diritto internazionale dei popoli indigeni, perché il tribunale ha respinto i documenti che consentivano di stabilire l’identità e il rapporto con le terre dei miei clienti”, ha sottolineatoMe Fiodor Rilov, avvocato del gruppo indigeno. Che ha presentato appello contro la sentenza al tribunale di Versailles, a dimostrazione che la battaglia tra gli 80 bunong e una della più grandi realtà industriali al mondo, il gruppo Bolloré, non è ancora finita.
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