All’inizio di un inverno scosso dalla pandemia e dal suo impatto sociale ed economico, la nuova campagna tende di Avsi invita ad “allargare lo sguardo”.
Da come guardiamo noi stessi allo specchio e chi sta intorno a noi. Da come leggiamo le notizie o sappiamo meravigliarci o meno per i gesti altrui o da come sappiamo cogliere dei particolari che potrebbero sfuggirci e invece avrebbero la forza – se messi bene a fuoco – di cambiarci la giornata.
Anche al tempo della pandemia, o forse ora di più.
Per questo, nell’attesa di un tempo più sereno, concentrarsi sulla realtà intorno, guardare bene in faccia chi incontriamo e riconoscere di che cosa ha bisogno, potrebbe diventare un modo interessante di arrivare a primavera.
La campagna tende di Avsi
È questo il senso della nuova campagna popolare di Avsi, la campagna tende, che all’inizio di un inverno scosso dalla pandemia e dal suo impatto sociale ed economico, e con implicazioni così pervasive nelle nostre vite, invita ad “allargare lo sguardo”. Ad aprire gli occhi di più e cogliere il bisogno di chi è accanto, a pochi metri da noi, nelle nostre città, ma anche un po’ più in là: chi è lontano, oltre il mare o l’oceano, ma che ha bisogno di aiuto concreto, di cibo, di cure, di scuole, di lavoro. Proprio come noi ora nel nostro paese.
La campagna tende è una campagna di sensibilizzazione e di raccolta fondi, ma soprattutto è un modo per creare delle reti di solidarietà che possano tenere unito e in piedi un paese diviso in regioni di colori diversi, con ritmi di vita diversi.
I dossier che si vanno definendo sull’Italia parlano di un crescente numero di “nuovi poveri”, persone cioè che perdendo il lavoro sono precipitate tra coloro che non arrivano alla fine del mese e necessitano di aiuto per mantenere i figli e le spese di casa. Quelle questioni basilari quotidiane che possono togliere il fiato, per cui spesso al bisogno materiale si affianca quello di un sostegno psicologico, un accompagnamento fino al recupero di un’autonomia economica e non solo.
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La campagna tende partirà quest’anno da un’Italia particolarmente ferita dalla pandemia, per allargarsi al Messico, al Libano, al Burundi, al Camerun e alla Siria: propone di lavorare sullo sguardo per farsi vicini ai più vulnerabili. Come se la misura della solidarietà potesse avvicinare i confini, ridurre le distanze, permettere una vicinanza anche in questo tempo in cui il virus ci impone metri di separazione, uno dall’altro, per prevenire il contagio. In ognuno di questi paesi sono in corso dei progetti di sostegno ai nuovi poveri (in Italia), di accoglienza dei minori migranti (in Messico) di formazione al lavoro e sostegno a donne e giovani (in Burundi), di accesso gratuito alle cure sanitarie per i più poveri (in Siria) e di educazione dei bambini (in Libano) tramite il sostegno a distanza.
In questo invito ad allargare lo sguardo e avvicinare chi ha bisogno si intravede un nuovo modo di intendere la prossimità: quella che non si misura in metri, ma nella consistenza di una relazione personale, tra un io e un tu, e nella spinta a mettersi a disposizione per provare a essere di aiuto, di sollievo. Sia verso persone che vivono vicino, nella nostra stessa città, sia dall’altra parte del mondo.
Una prossimità interessante perché apre alla speranza, sia in chi riceve aiuto, sia in chi lo dona. E al tempo delle incertezze imperanti, la speranza è un bene di prima necessità per tutti.
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