Da vittime a processati. Il commento del portavoce di Amnesty International Italia riguardo a chi sta lottando per difendere il territorio Wet’suwet’en.
È iniziato il 14 febbraio il processo nei confronti di un gruppo di difensori dell’ambiente e della Terra della provincia della British Columbia, in Canada. Il processo deriva dai fatti del novembre 2021 quando, per la terza volta in tre anni, la polizia si è presentata con le armi in pugno per procedere allo sgombero del territorio Wet’suwet’en, destinato al passaggio del controverso oleodotto Coastal Gaslink.
La vera e propria operazione militare di tre mesi fa si è conclusa con l’arresto di 39 persone – capi ereditari e anziani Wet’suwet’en ma anche giornalisti – e lo sgombero di un blocco stradale eretto per impedire l’accesso allo Wedzin Kwa (fiume Morice), la principale fonte di acqua pulita e habitat naturale dei salmoni. I capi ereditari Wet’suwet’en, le autorità tradizionali della Nazione prima, non hanno mai dato il consenso al passaggio del Coastal Gaslink sul loro territorio.
Nel 2019 il Comitato delle Nazioni Unite sull’eliminazione della discriminazione razziale aveva detto chiaro e tondo che i lavori del Coastal Gaslink non avrebbero potuto andare avanti senza il consenso libero, preventivo e informato dei Wet’suwet’en e aveva chiesto la cessazione degli sgomberi forzati. Le autorità del British Columbia e quelle federali canadesi hanno ignorato l’avviso. Anzi, ora mandano a processo chi pacificamente chiede il rispetto di quella dichiarazione e, soprattutto, della propria terra.
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