Attivismo, nuove tecnologie, scelte politiche coraggiose: chiudiamo il 2024 con 7 buone notizie sul clima che ci hanno dato speranza.
Come risollevarsi dopo un evento meteo estremo. Intervista ad Alessandro Piccini, sindaco di Cantiano
Il comune di Cantiano è stato travolto dalle alluvioni nelle Marche del 2022. Dopo un anno e mezzo, ne paga ancora le conseguenze. Ne parliamo col sindaco.
Sembrava un temporale come tanti altri. Quando il 15 settembre 2022 la pioggia ha iniziato a scendere su Cantiano, un comune da poco meno di duemila abitanti in provincia di Pesaro Urbino, nessuno avrebbe mai immaginato che sarebbe andata avanti per ben nove ore. Per un totale di circa quattrocento millimetri di pioggia, una quantità che di solito nella stessa zona cade in quattro mesi. Un evento meteo estremo in piena regola, impropriamente chiamato bomba d’acqua, anche se il termine corretto è temporale autorigenerante. A un anno e mezzo di distanza, quel 15 settembre è ancora impresso nella memoria degli abitanti del bacino del fiume Misa, tuttora alle prese con le conseguenze dell’alluvione. Abbiamo ripercorso questa storia con chi quel giorno c’era, per supervisionare le operazioni di soccorso, e da allora ha dovuto gestire il lento e complicato iter per il risarcimento e la riparazione dei danni. Diamo la parola ad Alessandro Piccini, sindaco di Cantiano.
Siamo nel settembre 2022, Cantiano viene colpita dal temporale autorigenerante. Cosa succede? Chi interviene per gestire l’emergenza?
Inizialmente sembrava un temporale normale, con un’allerta gialla, ma l’evoluzione è stata molto rapida. Il fiume è uscito dagli argini – o meglio, da un muro di contenimento alto sei metri –, ha tracimato e l’acqua è arrivata in piazza. La prima ondata di piena alle 19:00 ha raggiunto gli 80 centimetri; la seconda, legata a un blocco su un ponte in Umbria, ha portato 2 metri e 35 centimetri d’acqua in piazza. Una devastazione totale.
Quando il fiume ha tracimato, ero in una postazione provvisoria perché il municipio e la sede della Protezione civile non erano raggiungibili. Da lì, in contatto con la stazione regionale di Protezione civile, abbiamo cercato innanzitutto di rintracciare i dispersi. Era saltata la corrente elettrica, non c’erano comunicazioni, muoversi era difficoltoso per la presenza di fango, tronchi, auto ferme. Anche grazie all’aiuto dei privati cittadini, insieme ai vigili del fuoco e alle forze dell’ordine, abbiamo chiuso la nottata sapendo che tutti i dispersi erano stati trovati.
Nelle prime ore della mattina, il paese era completamente distrutto. L’acqua era scesa a valle ed era rimasto soltanto fango, tanto fango. In tutto il comune mancavano luce, acqua e gas, e due frazioni erano isolate per il crollo dei ponti sulle strade comunali di accesso. Nell’arco di due giorni e mezzo abbiamo ripristinato le forniture, attraverso generatori e allacci volanti, e abbiamo trovato una viabilità alternativa, seppure più scomoda. In questo modo, abbiamo scongiurato l’evacuazione di alcune zone.
Può fare un bilancio dei danni a Cantiano, sia quelli subiti nell’immediato sia quelli che bisogna ancora riparare?
La prima quantificazione, poi sostanzialmente confermata dalle perizie, parla di circa 50 milioni di euro di danni al patrimonio pubblico, tra strade, ponti, reti idriche, depuratori e così via. Il bilancio del comune è di circa 2 milioni. L’alluvione ha coinvolto circa 140 abitazioni principali – alcune completamente distrutte – e 80 residenze secondarie. 60 le attività d’impresa compromesse, dalla bottega alla media attività; per Cantiano equivalgono quasi al 50 per cento del tessuto produttivo. Bisogna quindi aggiungere 12 milioni di euro di danni alle imprese e 8 alle private abitazioni, arrivando a un totale che sfiora i 70 milioni.
È passato un anno e mezzo: ci sono stati dei ristori da parte dello Stato?
Per il ripristino dei servizi e l’intervento sulle situazioni di pericolo, nei primissimi momenti abbiamo impegnato – con la somma urgenza caricata sulla contabilità speciale – circa 1,5 milioni di euro. Oggi, le ditte intervenute a settembre 2022 sono state pagate al 70-80 per cento.
Abbiamo distribuito i primissimi aiuti a privati e attività d’impresa, che fanno capo alla legge nazionale di Protezione civile: si arriva a un massimo di 5mila euro per i primi e 20mila euro per i secondi. Nel complesso abbiamo erogato 2 milioni di euro, a fronte di danni superiori ai 20 milioni.
Ora è in corso un’istruttoria in cui privati e attività d’impresa, tramite perizie asseverate, chiedono alla struttura commissariale (nel nostro caso, la regione) altri ristori in una percentuale che andrà definita sulla base dei fondi a disposizione. I massimali, in questo caso, sono di 150mila euro per le prime case e 400mila per le imprese.
Purtroppo, però, questa procedura è molto burocratizzata. Mi spiego meglio. Abbiamo circa 140 prime abitazioni che, potenzialmente, potevano accedere a questa seconda fase di ristori. Solo 42 però hanno fatto richiesta perché tutte le altre non rispettavano alcuni requisiti. Per esempio, basta una piccola difformità urbanistica dell’immobile per pregiudicare l’accesso al ristoro, anche se non è strutturale e non ha alcun nesso di causalità con i danni subiti. Quando c’è stata l’alluvione in Emilia-Romagna, al contrario, un atto parlamentare ha introdotto la possibilità della sanatoria in corso: se la difformità non era sostanziale, si poteva regolarizzare l’immobile per poi accedere ai fondi.
C’è stata collaborazione da parte della popolazione?
Questa è stata la fatica più grande. In un comune così piccolo non c’è filtro: siamo entrati in tutte le case, in tutte le attività commerciali e industriali. Nei primi momenti abbiamo fatto squadra, ci siamo messi tutti dalla stessa parte per affrontare un evento che non era imputabile a nessuno – l’amministrazione peraltro aveva appena pulito i fiumi in alveo, quindi nessuno poteva accusarci di incuria. In quel momento, l’obiettivo comune era evitare lo spopolamento del paese; una prospettiva che all’epoca era realistica, con il 50 per cento delle attività distrutte e 200 abitazioni compromesse.
Con il passare dei mesi, l’atteggiamento delle persone è cambiato. Chiaramente ora pretendono risposte, sia in termini di ristori sia in termini di messa in sicurezza del paese. Chi ha riaperto la propria attività, magari indebitandosi, ci chiede che una cosa del genere non succeda mai più. Perché sa di non potersi risollevare una seconda volta. L’animosità della popolazione cresce e spesso si riversa sull’amministrazione. Da parte nostra, abbiamo cercato di informare quotidianamente sull’avanzamento della situazione, attraverso incontri pubblici partecipatissimi, riunioni, comunicati stampa, social media. Ma non è una situazione semplice da spiegare.
Ora, la mia preoccupazione più grande è che prevalga lo sconforto. Perché ci si abitua ai danni, alle buche, alle case rovinate, alla sensazione di impotenza. Noi chiediamo semplicemente ciò che ci è dovuto. I fondi, paradossalmente, ci sarebbero; ma la regione Marche, per il tramite del governo, ha sul piatto 400 milioni di euro a fronte di un danno complessivo stimato nel doppio di questa cifra. Il problema è che questi soldi non vengono messi a terra perché, terminata l’emergenza, si torna al regime ordinario, al rimpallo di responsabilità e a un meccanismo burocratico che allunga i tempi. Dopo un anno e mezzo, con 50 milioni di euro di danni al patrimonio pubblico, gli interventi che siamo riusciti a fare ammontano a qualche centinaio di migliaia di euro.
Superata l’emergenza, riparati i danni, il passaggio successivo è quello di attrezzare il territorio affinché situazioni simili non generino più conseguenze così gravi. A che punto siete?
I due principali fronti su cui intervenire sono la mitigazione del rischio idraulico, su cui non è stato fatto nulla ad eccezione della pulizia dell’alveo dei fiumi, e il contenimento dello scivolamento di materiale a monte. I fiumi si sono ingrossati perché ci è finito il materiale scivolato dalle montagne. Se non mettiamo subito in sicurezza il territorio, succederà di nuovo.
Cosa non ha funzionato?
A mio parere c’è una mancanza di coordinamento della struttura commissariale, una struttura che peraltro andrebbe adeguata al livello di emergenza. Per mesi, il commissario per le alluvioni nelle Marche – nel nostro caso, il presidente di regione – ha nominato un vice commissario alla gestione operativa, che è rimasto da solo per mesi (con un unico collaboratore) e non ha avuto la forza tecnico-amministrativa per gestire 17 comuni alluvionati con quasi 1 miliardo di euro di danni.
I comuni, soprattutto quelli piccoli, hanno bisogno anche di supporto tecnico-amministrativo. Cantiano ha tredici dipendenti, un geometra e un ragioniere che sono stati caricati di una mole di lavoro straordinaria, da aggiungere all’attività ordinaria (bilanci, scadenze, fondi del Piano nazionale di ripresa e resilienza). Solo per gli indennizzi a privati e imprese, quelli rispettivamente da 5mila e 20mila euro, i nostri uffici hanno lavorato 273 pratiche, svolgendo istruttorie, verifiche urbanistiche e così via. La popolazione però si aspetta risposte repentine, non percepisce queste difficoltà. Nella fase emergenziale abbiamo usufruito della colonna mobile di Protezione civile, cioè personale formato che è arrivato qui da Roma. Servirebbe qualcosa del genere anche per la fase di ricostruzione, perché da soli non ce la facciamo: abbiamo poche forze, tanti adempimenti e un contesto normativo che non conosciamo.
Infine, manca un protocollo comune per affrontare un’emergenza. Non è giusto che per le alluvioni nelle Marche di settembre 2022 vigano regole diverse rispetto a quelle per le alluvioni in Emilia-Romagna di maggio 2023. Non è possibile che sia il singolo commissario a definire l’impostazione, e non è possibile lasciare la discrezionalità al sindaco, esponendolo anche a ripercussioni personali. Dovrebbe esserci un protocollo che, dopo aver esaminato i problemi e le soluzioni, fornisca un quadro certo in cui muoversi.
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