Roberta Redaelli, nel suo saggio Italy & Moda, raccoglie le voci del tessile. E invita il consumatore a fare scelte che lo spingano alla sostenibilità.
Un viaggio nella terra dove nasce il cappello di Panama, che Panama non è
È conosciuto come cappello di Panama, ma in realtà la patria del cappello di paglia è l’Ecuador. Questa tradizione unisce migliaia di artigiani dal Pacifico alle Ande ed è una parte integrante della vita quotidiana di questo paese.
È un classico, un oggetto di stile, un accessorio che ricorda i divi di Hollywood, gli scrittori e i personaggi storici. È il cappello di paglia, comunemente conosciuto come “cappello di Panama”, è considerato ben più di un copricapo nella sua vera patria, l’Ecuador. È il simbolo di questa terra, un prodotto le cui esportazioni hanno sostenuto l’economia per decenni, prima che il boom petrolifero facesse del greggio il prodotto principe della bilancia commerciale. È un prodotto che offre un’entrata economica supplementare a migliaia di famiglie nella zona di Cuenca e Montecristi.
Perché si chiama cappello di Panama
Per cominciare, meglio dissipare ogni dubbio: il sombrero de paja toquilla, il “cappello di paglia di palma toquilla”, com’è chiamato in Ecuador, è prodotto nel paese sudamericano nonostante il nome – Panama – con cui è generalmente conosciuto.
La confusione deriva dal fatto che questo copricapo si diffuse moltissimo tra gli operai durante la costruzione del famoso canale di Panama: fresco e leggero, era perfetto contro il caldo sole caraibico. Oggi infatti è riconosciuto come un’efficace forma di protezione anche dagli effetti nocivi del sole, come il tumore alla pelle. Anche il presidente americano Theodore Roosevelt era solito indossare un panama nelle immagini che lo ritraevano durante le sue visite ai cantieri del canale e l’inaugurazione, del 1914, consacrandone così la fama a livello internazionale – ma contribuendo alla confusione sul suo luogo d’origine.
La battaglia per il riconoscimento della patria del cappello di paglia è stata lunga fino a che, nel 2012, l’Unesco ha dichiarato il tessuto, il materiale come patrimonio culturale immateriale dell’umanità e lo ha definitivamente riconosciuto come una tradizione ecuadoriana.
Cuenca, nel cuore della terra dei cappelli di paglia
In Ecuador, la produzione dei cappelli si concentra in due aree: quella di Montecristi nella regione costiera di Manabí, dove si coltiva la palma toquilla e si producono i cappelli di maggior pregio, e quella andina di Cuenca, dove si intreccia la paglia proveniente dalla costa. Dalla costa, nell’Ottocento fu importata tutta l’attività di tessitura della paglia, nel tentativo di risollevare questa zona dalla crisi economica: vennero fatti arrivare tessitori esperti con i loro utensili e la materia prima perché insegnassero il loro sapere ai locali. In breve tempo questi perfezionarono le proprie abilità e le province di Cañar e Azuary, dove si trova Cuenca, divennero tra i maggiori produttori di cappelli. “Non ci fu distretto o villaggio dove, per curiosità, affari o profitto, non si iniziarono a tessere cappelli”, si legge in un museo a Cuenca dedicato a questo prodotto tanto amato. Inoltre, il trasporto dei prodotti finiti fino a Guayaquil, lungo una strada impervia attraverso le Ande, stimolò l’imprenditorialità locale e la creazione di associazioni e compagnie per il trasporto e la commercializzazione.
Cosa significa per i locali la tradizione del cappello di paglia
“La gente di Cuenca porta il cappello con orgoglio”, ci spiega Susana Muñoz, la guida che accompagna alla scoperta di questa tradizione. Qui il cappello è parte della vita di moltissime famiglie, la tessitura della paja, svolta soprattutto dalle donne, rientra nell’ambito dell’economia familiare e nelle zone agricole è un’attività complementare a quella che si svolge nei campi.
Si inizia comprando al mercato mazzetti di paglia essiccata che vengono tessuti nei momenti di riposo o di attesa, nelle pause al lavoro, a casa o in campagna. Nel processo di creazione del cappello vengono tessuti anche i racconti della vita quotidiana, i problemi, le gioie, le lacrime, le fatiche, le storie di uomini e donne.
“Gli manca solo la parola perché già ha molto sentimento”, afferma Alicia Hortega, nipote di Homero Ortega, fondatore dell’omonima casa produttrice di cappelli di paglia, mentre ci racconta con passione la storia di questo prodotto. Ci spiega orgogliosa anche come il suo lavoro sia fondato su una rete di produttori e tessitori diffusi sul territorio che ha permesso di rendere queste comunità più resilienti, offrendo loro la possibilità di avere un secondo lavoro perfettamente compatibile con le attività quotidiane.
Come viene fatto il cappello di paglia toquilla
Per cominciare le foglie della Carludovica palmata, il nome scientifico della pianta, vengono raccolte, sfilacciate a creare dei ciuffetti, fatte bollire ed essiccate. Una rete di tessitori sul territorio realizzano il semilavorato che viene poi selezionato individualmente da intermediari che raccolgono i prodotti migliori e li portano in azienda perché vengano rifiniti e confezionati. Una volta in azienda questi vengono sbiancati, modellati nella forma prescelta, essiccati di nuovo, “stirati”, decorati, rifiniti – un lavoro lungo che richiede molta maestria e tempo.
Proprio per com’è organizzata la filiera, sono molte le persone che partecipano alla produzione di un singolo cappello, che viene sottoposto a dodici o quindici passaggi intermedi. Ogni pezzo realizzato a mano è unico. Nessun cappello è uguale a un altro, neanche se appartenente allo stesso lotto: anche se la finitura viene realizzata in azienda con macchine da cucire, il lavoro è manuale e ogni cappello, realizzato ancora con metodi tradizionali, viene trattato in modo individuale.
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La qualità di un cappello dipende dalla finezza della paglia e della trama, e dalla morbidezza del tessuto: quelli di miglior qualità sono così soavi e flessibili che si possono arrotolare e tenere nel pugno di una mano e si dice ricordino la seta. Anche il tempo di tessitura determina il valore del prodotto finito: alcuni richiedono fino a sei mesi, altri solo qualche giorno. Indipendentemente dalla qualità del tessuto, comunque, ogni cappello viene lavorato in azienda per due mesi, spiega Hortega.
I cappelli di paglia dell’Ecuador sono venduti sul mercato internazionale dalle più importanti case di moda e la loro provenienza è di per sé un’indicazione di qualità.
Il futuro della paja toquilla
Nel tempo la tradizione della tessitura ha perso un po’ della sua importanza e le nuove generazioni non si sono dedicate a portarla avanti. Negli anni Cinquanta le esportazioni diminuirono e il settore è entrato in crisi, ma tuttora Cuenca non ha intenzione di lasciare che questo patrimonio vada perso. Grazie al contributo di istituzioni pubbliche locali e nazionali, l’Economuseo municipal “Casa del sombrero” ha aperto i battenti al pubblico come parte del piano di salvaguardia del tessuto tradizionale del sombrero de paja toquilla.
Non solo alimenta un’attiva economica di rilevanza regionale e nazionale, ma possiede una connotazione sociale e culturale che si osserva nella trasmissione delle tecniche di coltivazione, produzione e tessitura della fibra e nell’organizzazione sociale dei tessitori.
Uno degli obiettivi fondamentali del museo è appunto quello di salvaguardare il sapere tradizionale del tessuto e contribuire alla sua trasmissione alle nuove generazioni per valorizzare questa forma di artigianato. Nei suoi spazi si insegna l’arte della tessitura e della realizzazione dei cappelli, si contribuisce alla ricerca, alla promozione, alla protezione e alla diffusione del tessuto di paja toquilla che ora sempre di più viene utilizzato per altri prodotti o indumenti e in abbinamento ad altri materiali come il cuoio. È qui che la creatività dei disegnatori si esprime al massimo.
Come visitare Cuenca, in Ecuador
Annidata tra le Ande, Cuenca è la terza città ecuadoriana per importanza culturale, dopo la capitale Quito e il centro commerciale Guayaquil, tanto da essersi guadagnata l’appellativo di “Atene dell’Ecuador”. Con un clima sempre mite e a breve distanza da luoghi spettacolari, è una destinazione ideale per una visita anche se negli ultimi anni sono sempre di più gli stranieri che hanno deciso di trasferirsi permanentemente. Per raggiungere l’Ecuador dall’Italia, la compagnia aerea Air Europa collega gli aeroporti di Milano Malpensa, Venezia Marco Polo e Roma Fiumicino, via Madrid, con la capitale Quito e Guayaquil. Da qui, il viaggio per Cuenca dura poco più di tre ore su una strada che attraversa piantagioni di banane, cacao e canna da zucchero per poi snodarsi tortuosa tra le montagne, nella foresta lussureggiante. Fino ad arrivare a un passo di montagna di quattromila metri: i páramo, un ecosistema d’alta quota che si trova nel parco nazionale di Cajas.
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