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Car sharing elettrico, cosa non va in quello di Parigi
Autolib’, il car sharing di Parigi, è in rosso. Gli utenti aumentano ma i conti non tornano. Eppure il car sharing ha ancora un avvenire.
La promessa del car sharing elettrico è promuovere una mobilità urbana non inquinante riducendo allo stesso tempo il numero dei veicoli in circolazione. E in particolare di Autolib’, l’esperienza di condivisione di auto elettriche lanciata a Parigi nel 2011. Eppure, cinque anni dopo la partenza ufficiale, le vetture grigie sono sul banco degli imputati: troppo costose, non efficaci… “un gigantesque fiasco”, titola la stampa transalpina.
Autolib’ vittima del suo successo
Le ragioni dell’improvvisa ondata di sfiducia nei confronti del car sharing parigino si trovano in uno studio indipendente realizzato e pubblicato a metà dicembre da 6t, un’importante agenzia francese di consulenza sulla mobilità. Gli analisti di 6t sono andati a studiare i dati comunicati dal consorzio Autolib’ Métropole, che riunisce Parigi e 96 comuni della sua periferia, sin dal lancio del servizio. Dal loro punto di vista, il risultato è senza appello: “Autolib’ non sarà forse mai redditizio”. La ragione sta nelle cifre. Se da un lato infatti il numero di utilizzatori non ha smesso di crescere in tutti questi anni, raggiungendo a fine 2016 i 131mila abbonati, i ricavi non sono mai decollati perché il numero dei tragitti effettuati è calato: da 6,2 milioni nel 2015 a 5,8 milioni nel 2016, ad esempio. Motivo? L’espansione della flotta – quasi quattromila veicoli oggi, assemblati per lo più in Italia – non è stata al passo con la crescita degli utenti che sempre più spesso rischiano di non trovare un mezzo a pochi metri da sé, nell’esatto momento in cui ne hanno bisogno. Sembra un circolo vizioso e la rincorsa agli abbonati potrebbe in questo modo rivelarsi senza fine: nel 2013 si era detto ne sarebbero bastati 50mila per raggiungere l’equilibrio, a inizio 2015 si parlava già di 82mila.
Un buco di 170 milioni di euro
Chi potrebbe salvare il servizio? L’operatore privato che lo gestisce – il gruppo francese Bolloré, inventore delle batterie che alimentano le vetture – ha già definito in passato l’operazione Autolib’ “rovinosa”. Da contratto, Bolloré si impegnerà a coprire non oltre 60 dei 170 milioni di deficit di Autlib’ Métropole. Il resto finirà tutto sulle spalle dei comuni e, quindi, della collettività. Il conto potrebbe essere alleggerito ricorrendo ad inserzionisti pubblicitari e continuando ad aumentare le tariffe del servizio (che dal primo febbraio costerà sette euro la mezz’ora anziché sei).
Stessa sorte per Bluetorino?
La situazione potrebbe invece essere più delicata per alcune delle amministrazioni che nel mondo si sono lasciate sedurre dalla Bluesolutions di Bolloré e hanno adottato car sharing parigino: Bordeaux e Lione in Francia, Indianapolis e presto Los Angeles negli Usa, Londra e, in Italia, Torino, dove da metà ottobre 2016 circolano 60 vetture Bluetorino. Secondo 6t, Parigi offriva, almeno in teoria, un bacino di utenti abbastanza grande e denso da giustificare il dispiegamento di molte stazioni e vetture e garantire così un numero consistente di tragitti. Previsione che se non si è avverata a Parigi risulta ancora più utopica in città meno dense, si inquietano gli autori dello studio portando l’esempio di Lione dove ogni vettura di Bluely è stata utilizzata nel 2016 meno di una volta al giorno, contro le 4 volte di un Autolib’ parigino.
Il car sharing ha ancora un avvenire
Le difficoltà di Autolib’ non coincidono necessariamente con l’ultimo atto del car sharing. Autolib’ e i suoi cloni non sono che un modello di condivisione delle auto, quello cosiddetto “one way” dal momento che non è obbligatorio restituire l’auto là dove la si è presa. Ritenuto più pratico e istintivo, questo modello per funzionare ha bisogno di molte auto e molte stazioni e quindi genera alti costi. Esistono però sistemi di car sharing “ad anello”, più simili al noleggio tradizionale di un’automobile. In Francia, la rete cooperativa Citiz è presente in 80 agglomerazioni (ma non ha Parigi, dove però è sbarcato il leader canadese Communauto, che presenta un funzionamento analogo) con mille veicoli e 20mila abbonati. Meno auto, costi più contenuti ma stesso obiettivo: ridurre il numero di auto in circolazione.
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