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Akram Zubaydi, direttore del Cara di Castelnuovo. Era un esempio di integrazione, la chiusura porterà insicurezza
Parla Akram Zubaydi, direttore del Cara di Castelnuovo di Porto che sta per chiudere: “Facevamo progetti di integrazione, ora alcuni dei migranti dormiranno in strada grazie al decreto insicurezza”.
Akram Zubaydi è il direttore del Centro di accoglienza per richiedenti asilo (Cara) di Castelnuovo di Porto dal 2015. A pochi chilometri da Roma, è considerato da molti addetti ai lavori uno dei pochi centri di grandi dimensioni a funzionare bene, con reali progetti di lavoro e di integrazione per i migranti. Da martedì però Zubaydi, palestinese trasferitosi da giovane con la famiglia in Italia, non può che assistere impotente al trasferimento dei suoi ospiti che, pochi alla volta, vengono prelevati dalle forze dell’ordine, sistemati su pullman e trasferiti in altri centri di accoglienza, in località spesso a loro ignote. Altri invece dormiranno in strada, proprio nei giorni in cui a Roma è prevista neve.
Quanti ospiti c’erano nel Cara prima dell’inizio degli sgomberi e dove sono sistemati adesso?
Dopo le partenze di giovedì, sono rimaste 355 persone, lunedì erano 535. In questi giorni sono state trasferite oltre 200 persone, sabato sono già programmati altri trasferimenti e rimarranno 220 persone, poi non sappiamo ancora. Dei ragazzi trasferiti nei giorni scorsi, sapevamo solamente che sarebbero stati portati in altre regioni, come la Campania, la Basilicata. Adesso ci stanno comunicando anche il nome delle città, però siamo non sappiamo ancora quali siano i centri di ricollocazione. Ci dicono che sono centri di accoglienza, i Cas.
Tra gli ospiti del Cara di Castelnuovo di Porto ci sono anche una ventina di persone cui era stato riconosciuto il diritto alla protezione umanitaria, poi cancellato dal recente decreto sicurezza, e che ora non hanno più neanche il diritto alla seconda accoglienza. Cosa accadrà loro?
Gli ospiti del Cara sono tutte persone con permesso di soggiorno umanitario, ma alcuni di loro sono stato dimessi dal centro perché non hanno più diritto all’accoglienza: adesso stanno per strada. È un intervento decisamente peggiorativo rispetto alla situazione che c’era prima, e per questo dobbiamo ringraziare il decreto sicurezza. Che poi quando si butta la gente per strada diventa il decreto insicurezza…
Questa chiusura è diretta conseguenza del decreto?
Penso di sì, l’ha dichiarato anche il ministro dell’Interno, anche se noi non ne eravamo al corrente. Fino al venerdì sera non sapevamo nulla: abbiamo ricevuto le comunicazioni di trasferimento il venerdì e i trasferimenti sono iniziati martedì.
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Che tipo di lavoro facevate con i ragazzi ospiti del centro per favorire un minimo di integrazione con la società?
Noi, come cooperativa Auxilium, siamo arrivati a gestire questo centro nel 2015 e abbiamo trovato una condizione disastrosa, non c’era nessuna attività e nessun progetto di integrazione. Dal primo giorno abbiamo provato a ribaltare il sistema di integrazione, abbiamo creato progetti funzionanti sia all’interno sia all’esterno del centro, specialmente legati al territorio: abbiamo creato una rete di lavori socialmente utili, una ottantina dei nostri ospiti ha partecipato alle pulizia delle strade, alla cura del verde pubblico, sono state pitturate le ringhiere e le pareti delle scuole. L’inverno scorso, quando ha fatto tanta neve, una sessantina di nostri ospiti ha partecipato alla rimozione della neve nelle vie di Castelnuovo. Molti hanno ottenuto anche un attestato della Protezione Civile. Oltre l’85 per cento dei ragazzi era impegnato in progetti di integrazione.
Sono tante le storie circolate in questi giorni, dalla donna accolta in casa dal sindaco Riccardo Travaglini al giovane calciatore allontanato a forza dalla propria squadra. Ma ce n’è una che riguarda particolarmente l’integrazione e le tradizioni del posto.
I nostri ospiti hanno riportato alla luce il passato e le tradizioni di Castelnuovo, aprendo il Museo di Arti e Mestieri, dove sono in mostra tutti gli strumenti di lavoro che usavano anni e anni fa le persone del posto. Hanno creato un luogo che incarna le radici e il passato di Castelnuovo di Porto.
E questi ragazzi dal futuro incerto invece, che passato hanno?
Sono richiedenti asilo che arrivano dagli sbarchi. Poi ultimamente abbiamo ricevuto parecchie persone che sono state, diciamo così, deportate da vari Paesi dell’Europa come dublinanti di rientro (migranti che hanno provato a raggiungere il Nord Europa per raggiungere parenti o amici, ma che sono stati rimandati in Italia per via del Regolamento di Dublino che prevede che i rifugiati siano presi in carico dal primo paese in cui approdano, ndr). Dal settembre 2015 fino al settembre 2017 abbiamo aderito al programma di relocation dell’Unione europea per cinquemila persone: cinquemila richiedenti asilo che sono stati ricollocati in diverse parti dell’Europa.
Si legge da più parti di una grande mobilitazione da parte dei cittadini di Castelnuovo di Porto in questi giorni, che testimonianze avete avuto?
Devo fare un ringraziamento speciale alla cittadinanza di Castelnuovo: fin dal primo giorno, martedì, c’è stata una grande partecipazione contro la chiusura di questo centro. Questo perché i cittadini hanno visto con i loro occhi e toccato con le loro mani la ricchezza di questo centro e i risultati che portava.
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