A partire dal 2015, ovvero dall’anno in cui è stato approvato l’Accordo di Parigi, la stragrande maggioranza dei progetti per la costruzione di nuove centrali a carbone è stata abbandonata. A spiegarlo è un rapporto curato dai think tank E3G, Global Energy monitor e Ember, secondo il quale sono 44 le nazioni di tutto il mondo nelle quali, ormai, non è più pianificata la costruzione di alcun nuovo impianto.
The global pipeline of proposed coal power plants has collapsed by 76% since the Paris Agreement in 2015.
The end of new coal power construction is in sight.
Sono 31 le nazioni che ancora prevedono nuove centrali a carbone
Si tratta di una notizia positiva, poiché il carbone – come noto – è il combustibile fossile in assoluto più annoso per il clima. “Soltanto cinque anni fa – ha spiegato al quotidiano britannico The GuardianDave Jones, di Ember – avevamo di fronte numerosi progetti di nuove centrali a carbone. La maggior parte oggi è stata messa da parte o per lo meno sospesa”. L’attivista ha invitato in questo senso altri stati a seguire la stessa strada, al fine di dire definitivamente addio alla fonte fossile.
Se infatti 44 nazioni hanno deciso di non costruire nuovi impianti, 31 hanno deciso, almeno per ora, di mantenere i propri programmi. Ma, ulteriore dato che lascia ben sperare, la metà di essi prevede di edificare una sola nuova centrale.
Per centrare gli obiettivi climatici occorre dire addio al carbone
Troppo, in ogni caso, poiché la scienza ha evidenziato a più riprese che, se vorremo mantenere la crescita della temperatura media globale ad un massimo di 1,5 gradi centigradi, di qui alla fine del secolo, rispetto ai livelli pre-industriali, occorrerà smettere di utilizzare al più presto tutte le fonti fossili. Non soltanto il carbone, dunque, ma anche il gas e il petrolio.
Globally, 1,175GW of planned #coal-fired power projects have been cancelled since 2015.
Per stati e aziende, tuttavia, non dovrebbe trattarsi di un problema quanto di un’opportunità, come confermato anche da Chris Littlecott, direttore di E3G, “le energie rinnovabili sono sempre più vantaggiose da un punto di vista economico rispetto a quelle fossili”. Senza dimenticare il rischio di ritrovarsi con degli “stranded assets”, ovvero attività che risultano non redditizie se non tossiche, sul groppone.
Un pugno di nazioni potrebbe azzerare il 90 per cento dei progetti
Secondo il rapporto, se a rinunciare alla costruzione di nuovi impianti a carbone fossero la Cina, l’India, il Vietnam, l’Indonesia, la Turchia e il Bangladesh, avremmo cancellato in un colpo solo il 90 per cento dei progetti. Il che rappresenterebbe una grande vittoria in vista della ventiseiesima Conferenza mondiale delle Nazioni Unite sul clima (Cop 26), che si terrà a novembre a Glasgow.
In un anno e mezzo la Cina ha aumentato di 43 GW la capacità delle centrali a carbone, quanto basta per dare energia a 31 milioni di case. Ed è solo un segnale di una tendenza molto più vasta.
A due mesi dall’avvio della Cop 24 di Katowice, la Polonia lancia un segnale politico chiaro, approvando la costruzione di una nuova centrale a carbone.
Si parla tanto di finanza climatica, di numeri, di cifre. Ma ogni dato ha un significato preciso, che non bisogna dimenticare in queste ore di negoziati cruciali alla Cop29 di Baku.
Basta con i “teatrini”. Qua si fa l’azione per il clima, o si muore. Dalla Cop29 arriva un chiaro messaggio a mettere da parte le strategie e gli individualismi.