
Il rapporto annuale dell’agenzia Irena indica che il 92,5 per cento dei nuovi impianti installati nel 2024 è legato alle fonti rinnovabili.
Il presidente cinese Xi Jinping ha più volte promosso l’immagine di un Paese impegnato nella lotta contro la crisi climatica. Ma nel 2020 la Cina ha investito 474 milioni di dollari nel carbone.
Solo pochi giorni fa, in occasione del Leader summit on climate promosso (virtualmente) a New York dal presidente statunitense Joe Biden durante la Giornata della Terra, il leader cinese Xi Jinping ribadiva con convinzione alcuni impegni assunti sul clima annunciati lo scorso settembre: la riduzione delle emissioni di gas a effetto serra entro il 2030 e il raggiungimento della neutralità climatica al 2060. Quanto annunciato dal maggior emettitore mondiale diverge dai piani reali, che nella strada della crescita economica non sembra disposto ad abbandonare il carbone. Ma andiamo per ordine.
Alla vigilia del vertice, a metà di aprile in una videoconferenza a tre con il presidente francese Emmanuel Macron e la cancelliera tedesca Angela Merkel, Xi Jimping aveva espresso parere negativo sull’istituzione in Europa di una carbon tax, misura alla quale stanno lavorando concretamente il Parlamento e la Commissione europei.
Questo termine viene comunemente usato per indicare una tassa sui servizi energetici responsabili di emettere in atmosfera anidride carbonica e intende attuare il principio del “chi inquina (di più) paga”. In linea di massima, la misura vorrebbe limitare il danno ambientale a opera delle imprese del settore e accentuare il senso di responsabilità sociale, senza alimentare un meccanismo punitivo. Secondo il presidente cinese, però, potrebbe creare barriere commerciali con la Cina, che adotta standard climatici meno rigorosi.
Pochi giorni prima, il 17 aprile, diffondeva una dichiarazione congiunta per cooperare con serietà e urgenza insieme agli Stati Uniti nella lotta agli effetti dei cambiamenti climatici. Intervenuto al summit sul clima, dopo aver espresso il proprio apprezzamento sul ritorno degli Stati Uniti nell’Accordo di Parigi, ha dichiarato di voler costruire una governance globale equa e vantaggiosa e ha invitato tutti i 40 leader politici intervenuti a fare la propria parte, seppure con contributi distinti nella riduzione delle emissioni di CO2.
Xi Jimping ha anche promesso di monitorare i progetti legati al carbone e di limitarne il consumo nei prossimi cinque anni, così da rispondere alla necessità di tornare a vivere in armonia con la natura. In questo contesto si inserisce l’inasprimento nel 2020 delle restrizioni sulle emissioni di anidride carbonica, misura promossa insieme alla richiesta dei tagli di produzione del centro siderurgico di Tangshan.
Come detto, il carbone copre ancora una fetta importante del mix energetico cinese, motore della seconda economia più forte del pianeta. Pechino ha superato in positivo anche l’anno dello scoppio della Covid-19 e, agli inizi dello scorso marzo, il premier cinese Li Keqiang ha annunciato per il 2021 il cauto obiettivo di crescita del pil, il prodotto interno lordo, almeno del 6 per cento, per avere comunque margine nell’affrontare l’incertezza del mercato.
Alla vigilia del vertice sul clima promosso da Biden, il funzionario del ministero dell’Ecologia e dell’ambiente cinese Li Gao ha detto in una conferenza stampa che la Cina ha ridotto del 48,4 per cento le emissioni di gas a effetto serra nel 2020, in anticipo rispetto all’obiettivo fissato nel 2009 di un taglio del 45 per cento. Il Paese del dragone, ha aggiunto, sta lavorando ad altre misure per il clima, tra cui una legge speciale, così da mettere la sua preziosa esperienza al servizio di una governance ambientale globale più equa.
D’altro canto, lo stesso Li Gao ha dichiarato all’emittente televisiva americana Cnbc che la Cina continuerà a investire in centrali a carbone nei Paesi in via di sviluppo. Alcuni di questi Stati, ha sottolineato, sono stati aiutati da Pechino “nella costruzione di centrali a carbone“ “in accordo con l’amministrazione locale”. Lì dove manca ancora l’elettricità “se non si utilizza il carbone, che cosa si può usare?”, ha domandato in via retorica.
Oltre le dichiarazioni, ci sono i dati. Pechino è il primo consumatore globale di carbone, copre una fetta del 50,5 per cento. I numeri dello scorso agosto elaborati dall’Union of concerned scientists, organizzazione no-profit fondata più di cinquant’anni fa da scienziati e studenti del Massachusetts institute of technology di Boston, non lasciano spazio a dubbi: nel 2020 il Paese del dragone è stato il principale emettitore di anidride carbonica del mondo. Seguito da Stati Uniti e India.
Lo scorso anno la Banca di sviluppo cinese e la Banca per l’esportazione e l’importazione cinese hanno finanziato progetti a carbone fuori confine, dal Pakistan alla Serbia, con 474 milioni di dollari, 260 destinati alla produzione e 214 alla trasmissione e distribuzione di energia. A riportarlo il centro per le politiche di sviluppo dell’Università di Boston.
La Cina continua a incrementare la costruzione di centrali a carbone. Significativo il titolo “La Cina domina lo sviluppo delle centrali a carbone nel 2020” del rapporto pubblicato lo scorso febbraio dal Global energy monitor, gruppo di giornalisti e ambientalisti che dal 2007 documentano centinaia di siti in tutto il mondo, e dal Center for reserach on energy and clean air, nuovo organismo di ricerca che si occupa degli impatti sulla salute dell’inquinamento atmosferico.
Lo studio rivela che nell’anno della pandemia Pechino ha commissionato 38,4 gigawatt (GW) di nuove centrali, tre volte di più di quanto fatto nel resto del mondo. La sua capacità netta è aumentata e ha toccato i 29,8 GW, rispetto alla capacità globale netta di 17,2 GW, che è anche diminuita. Ha avviato nuove proposte per 73,5 GW, cinque volte quanto fatto nel resto del mondo, e autorizzato progetti pari a 36,9 GW. Sta sviluppando complessivamente 247 GW, con un incremento del 21 per cento nel 2020 rispetto all’anno precedente.
“Il sistema energetico della Cina è dominato dal carbone. Questa è una realtà oggettiva”, ha commentato recentemente Su Wei, segretario generale aggiunto della Commissione nazionale per lo sviluppo e la riforma, come riportato da Cnbc. “Proprio perché le fonti rinnovabili, eolico e solare, sono intermittenti e instabili dobbiamo fare affidamento su una fonte stabile”. “Non abbiamo scelta”, ha ribadito, “per un determinato periodo di tempo, potremmo aver bisogno di usare l’energia del carbone come strumento di regolazione flessibile”.
Seppure al 2025 sia fissato l’obiettivo di riduzione del 20 per cento della quota di combustibili ad alto tenore di carbonio, il sistema energetico cinese non sembra disposto ad abbandonare il carbone. Considerato che i dati ufficiali stimano un aumento del consumo di elettricità nell’anno della pandemia del 3,1 per cento, e che l’economia è destinata a crescere, il sostegno politico a nuovi investimenti in progetti sostenibili sarà indispensabile per percorrere, davvero, la via della decarbonizzazione.
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