I combustibili fossili sono i nuovi subprime? È la provocazione che dà il titolo a un report che va a scandagliare gli asset detenuti da undici grandi banche europee. Scoprendo che, nonostante la promessa di contribuire a un futuro verde e sostenibile, sono ancora profondamente legate a carbone, petrolio e gas naturale. A tal punto da rischiare il collasso quando, in un domani non troppo lontano, il nostro sistema energetico si sarà finalmente svincolato da queste fonti inquinanti. Proprio com’è successo nel 2008 quando è esplosa la bolla dei mutui subprime, cioè quei prestiti ad alto rischio che, pur di gonfiare i volumi di vendite, erano stati concessi anche a chi non si sarebbe mai potuto permettere di pagarli. All’epoca però il meccanismo si è rotto, facendo sprofondare l’intero sistema finanziario americano (e non solo) in una crisi di portata epocale.
Combustibili fossili, un macigno da 530 miliardi di euro
Tre organizzazioni – Reclaim Finance, Friends of the Earth France e Rousseau Institute – hanno deciso di vederci chiaro. Hanno così passato al setaccio i dati finanziari sulle undici maggiori banche dell’area euro nel 2019. Andando a sommare tutti gli asset fossili (cioè quelli che finanziano la produzione di carbone, gas e petrolio e di energia generata da tali fonti), si raggiunge un totale stratosferico: 530 miliardi di euro. Vale a dire il 95 per cento della loro equity, cioè il patrimonio che detengono anche per assorbire eventuali perdite. Per usare un altro termine di paragone, è l’equivalente del pil della Svezia. Se si investisse questa cifra nelle fonti rinnovabili, si potrebbe raddoppiarne la capacità rispetto al 2020.
While the transition requires a drastic reduction of fossil fuel use, the assets linked to them represent 95% of the capital of the 🇪🇺’s major banks
🚨The danger is doubled: greater climate crisis, greater financial instability.
Investire in carbone e petrolio è controproducente per il Pianeta e per le banche
Sono già stati spesi fiumi di inchiostro sul fatto che una situazione del genere non sia compatibile con gli obiettivi dell’Accordo di Parigi. Meno di frequente, però, si sottolinea quanto sia controproducente per la stabilità delle banche stesse. Per contenere l’aumento della temperatura media globale entro gli 1,5 gradi centigradi rispetto ai livelli preindustriali, l’84 per cento delle riserve di combustibili fossili dovrà essere lasciato dov’è: sottoterra. Tutti questi asset, dunque, varranno poco o niente.
Rischia di essere un bel problema per Crédit Agicole, per cui questi asset rappresentano il 131 per cento dell’equity: se perdessero l’80 per cento del loro valore, la banca si troverebbe nell’impossibilità di assorbire le perdite. Anche Société Générale potrebbe andare incontro allo stesso destino. Pur essendo generalmente lodate per le loro coraggiose politiche di stop ai finanziamenti a carbone e petrolio, le banche francesi appaiono particolarmente esposte. Bbp Paribas, Société Générale, Crédit Agricole e Bpce possiedono, nel complesso, 260 miliardi di euro di asset fossili.
Nel 2023 le banche hanno destinato 705 miliardi di dollari ai combustibili fossili. Dagli accordi di Parigi siamo arrivati a 6.900 miliardi di dollari. Tra queste anche Unicredit e Intesa San Paolo.
Finora la Banca centrale europea è stata molto legata all’economia fossile. Ma il nuovo piano sul clima annunciato da Christine Lagarde fa ben sperare.
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