Meno trivelle, più rinnovabili
Il 14 ottobre del 2014, alle prime luci dell’alba, un gruppo di attivisti di Greenpeace aveva occupato pacificamente una delle tante piattaforme per l’estrazione di idrocarburi presenti nel Mediterraneo, precisamente nel canale di Sicilia. Nonostante la protesta, il decreto Sblocca Italia era stato approvato e l’attività dei petrolieri nei nostri mari si era intensificata.
Dieci regioni, ridotte poi a nove per la ritirata dell’Abruzzo, hanno deciso un paio di anni dopo di promuovere un referendum sulle trivelle, avvalendosi per la prima volta nella storia della Repubblica di una loro prerogativa costituzionale. Il 17 aprile del 2016 hanno votato quasi 16 milioni di italiani, l’86 per cento dei quali contro la politica fossile del governo. Ma non è stato raggiunto il quorum.
Questa, però, non ha rappresentato una sconfitta. “Per noi è stato un segnale fortissimo, in virtù del quale l’assalto ai nostri mari è rallentato e la ‘licenza sociale’ dei petrolieri si è fatta sempre più compromessa”, scrive Andrea Boraschi, responsabile campagna Energia e clima di Greenpeace Italia. E le buone notizie, infatti, arrivano da tutto il mondo: il Parlamento europeo vuole bloccare i sussidi alle fonti fossili entro il 2025, mentre i paesi del G7 non finanzieranno più il carbone. I premi Nobel non saranno più finanziati coi proventi dei combustibili fossili. Si avvicina la chiusura della centrale a carbone di Bełchatów, la più inquinante d’Europa. È dal 2015 che simili progetti non vedono più la luce, almeno nella maggior parte dei casi.