Cosa c'è dentro il #ddlsicurezza. Proteste, carcere, #CPR e cannabis: la parola d'ordine è reprimere https://t.co/RGwssz0ftO
— Lavialibera (@Lavialibera) September 16, 2024
Ben 25 nuove condotte integranti reato e una decina di aggravamenti di pena. Basterebbero questi due numeri tondi per descrivere il disegno di legge Sicurezza, che la Camera dei Deputati sta ultimando di esaminare articolo per articolo in questi giorni, come lo strumento di una deriva repressiva. Se poi ci mettiamo che diversi degli articoli in questione contengono provvedimenti particolarmente e contestati, il quadro è quello che le opposizioni e buona parte della società civile definiscono panpenalista, ovvero tendente a risolvere questioni sociali e di sicurezza attraverso l’introduzione di nuove sanzioni penali, spesso senza un’effettiva giustificazione.
Dal reato di blocco stradale a quello di rivolta nelle carceri, passando per lo stop alla filiera della canapa alla possibilità del carcere per le detenute madri: organizzazioni come Amnesty International, Antigone, Asgi (Associazioni per gli studi giuridici sull’immigrazione) e perfino l’Osce, l’Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa, hanno espresso preoccupazione, sostenendo che il provvedimento minaccia i principi fondamentali della giustizia penale e dello Stato di diritto, in particolare con la criminalizzazione delle manifestazioni pacifiche. Molti studiosi hanno sollevato anche perplessità sulla costituzionalità di molte di queste norme, specialmente per quelle che sembrano, in un certo modo, non generali ma disegnate per colpire specificamente alcune categorie.