E se smettessimo di fingere? – Jonathan Franzen
Questo è un “piccolo grande libro”. Si intitola E se smettessimo di fingere? ed è dello scrittore americano Jonathan Franzen, “appassionato ambientalista”, “frustrato dal fatto che il cambiamento climatico, in modo futile, monopolizzi il discorso pubblico”, come recita la quarta di copertina. In Italia edito da Giulio Einaudi.
Un libro breve (di 38 pagine) che parla di sincerità. Perché Franzen sembra aver metabolizzato – dopo 30 anni – il fatto che non è più tempo per raccontarci bugie, come la possibilità che l’umanità da un giorno all’altro possa agire all’unisono per evitare il baratro. Non succederà, anche se gli scienziati continuano a dirci che “teoricamente” siamo ancora in tempo. Teoricamente, appunto. Ma la teoria, in questo caso, è sinonimo di utopia. Perché teoricamente dovrebbe verificarsi uno scenario tale per cui l’intera comunità internazionale, dall’oggi al domani, metta in atto tutto ciò che è in suo potere. Che tagli dell’80, se non del 100 per cento le emissioni di gas serra nel giro di un decennio. Non lo farà mai.
E allora perché mentire a noi stessi, si chiede Franzen? Perché non accettare che è giunto il tempo di adattarsi a una condizione già in essere? Questo non significa smettere di fare ciò che è giusto, smettere di impegnarsi. Tutt’altro. Significa semplicemente evitare di sentirsi frustrati perché si hanno aspettative irraggiungibili. Smettere di arrabbiarsi per l’inerzia di chi abbiamo intorno. Al contrario essere onesti con se stessi significa godere del momento, dei gesti quotidiani fatti con amore a protezione della propria comunità, del territorio, dell’ambiente senza pensare che siano sforzi inutili.