Caritas italiana pubblica il 21esimo rapporto su povertà ed esclusione sociale, intitolato “L’anello debole”.
Esistono diversi tipi di povertà: una di queste è quella intergenerazionale ed ereditaria.
Oltre a rafforzare gli ammortizzatori sociali esistenti, la Caritas propone più misure di inclusione sociale.
In occasione della Giornata internazionale di lotta alla povertà, Caritas Italiana ha presentato il suo 21esimo rapporto su povertà ed esclusione sociale dal titolo L’anello debole. Dal rapporto emerge che non esiste una sola povertà: ce ne sono tante, acuite dai disastrosi effetti della pandemia – ancora in corso – e dalle ripercussioni della vicina guerra in Ucraina. Nel 2021 i poveri assoluti nel nostro paese sono stati circa 5,6 milioni, di cui 1,4 milioni di bambini.
Chi sono gli “anelli deboli”
Più in generale, le famiglie in povertà assoluta sono il 9,4 per cento della popolazione con residenza in Italia e tra il 2020 e il 2021 l’incidenza della povertà è cresciuta più della media per le famiglie con almeno 4 persone. Anche nel 2022 continuano ad aumentare le persone che si rivolgono ai centri di ascolto Caritas (+7,7 per cento rispetto al 2021): non si tratta sempre di nuovi poveri ma anche di persone che oscillano tra il “dentro e fuori”, scrive il rapporto, dello stato di bisogno. Il 23,6 per cento di questi hanno un lavoro: tale condizione tocca il suo massimo tra gli stranieri, a dimostrazione di quanto il lavoro non sia adeguatamente retribuito.
Tra gli “anelli deboli” indicati nel rapporto ci sono soprattutto i giovani colpiti da molte forme di povertà: dalla povertà ereditaria, che si trasmette “di padre in figlio” – per cui occorrono almeno cinque generazioni a una persona che nasce in una famiglia povera per raggiungere un livello medio di reddito – alla povertà educativa, tanto che solo l’8 per cento dei giovani con genitori senza titolo superiore riesce a ottenere un diploma universitario.
Se la povertà si eredita
Il rischio di rimanere intrappolati in situazioni di vulnerabilità economica, per chi proviene da un contesto familiare di fragilità, è di fatto molto alto. Per chi si colloca sulle posizioni più svantaggiate della scala sociale si registrano scarse possibilità di accedere ai livelli superiori (da qui le espressioni usate nel rapporto “dei pavimenti e dei soffitti appiccicosi”, “sticky grounds e sticky ceilings”).
Il nesso tra condizione di vita e condizioni di partenza si palesa su vari fronti oltre a quello economico. In primis nell’istruzione. Le persone che vivono oggi in uno stato di povertà, nate tra il 1966 e il 1986, provengono per lo più da nuclei familiari con bassi titoli di studio, in alcuni casi senza qualifiche o addirittura analfabeti (oltre il 60 per cento dei genitori possiede al massimo una licenza elementare).
Il 70 per cento dei padri degli utenti assistiti dalla Caritas risulta occupato in professioni a bassa specializzazione. Per le madri è invece elevatissima l’incidenza delle casalinghe (il 63,8 per cento), mentre tra le occupate prevalgono le basse qualifiche. Circa un figlio su cinque ha mantenuto la stessa posizione occupazionale dei padri e il 42,8 per cento ha invece sperimentato una mobilità discendente (soprattutto tra coloro che hanno un basso titolo di studio).
Poco più di un terzo (36,8 per cento) ha, invece, vissuto una mobilità ascendente in termini di qualifica professionale, anche se poi quel livello di qualifica non ha trovato sempre una corrispondenza in termini di impiego o un adeguato inquadramento contrattuale e retributivo.
"Certo, è vero che la crisi energetica e quindi tutti gli aumenti dei costi e l’inflazione accentueranno queste condizioni di povertà estrema, ma quindi, a maggior ragione, dobbiamo essere ancora più fermi nell’indicare le soluzioni, anche nell’emergenza". Card. Matteo Zuppi pic.twitter.com/KXVZiaYo1X
La soluzione non è cancellare il reddito di cittadinanza
Il rapporto si conclude con una valutazione delle politiche dicontrasto alla povertà, con particolare attenzione alle prospettive di investimento derivanti dal Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr) e dal reddito di cittadinanza, che le forze politiche di maggioranza hanno detto di voler ridurre.
“Il reddito di cittadinanza è stato finora percepito da 4,7 milioni di persone, ma raggiunge poco meno della metà dei poveri assoluti (44 per cento)” c’è scritto nel rapporto. “Sarebbe quindi opportuno assicurarsi che fossero raggiunti tutti coloro che versano nelle condizioni peggiori, partendo dai poveri assoluti”.
Ma la componente economica non è la soluzione a tutti i mali. Per la Caritas l’aiuto deve provenire anche da adeguati processi di inclusione sociale, rivolta a disoccupati, lavoratori poveri o fragili, sia giovani che adulti e ai beneficiari di ammortizzatori sociali. Si tratta, secondo l’istituto, di 3 milioni di persone da formare o riqualificare entro il 2025, di cui il 75 per cento saranno donne, disoccupati di lunga durata, giovani under 30 e over 55.
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