Circa 40.000 persone hanno sostenuto le richieste indigene, che si oppongono a un progetto di revisione del trattato fondativo della Nuova Zelanda.
Referendum Catalogna 2017, Carles Puigdemont rimanda l’indipendenza per aprire al dialogo
Da quando si è tenuto il referendum sull’indipendenza della Catalogna il primo ottobre – dichiarato illegittimo dalla Corte costituzionale spagnola – le sorti della regione più ricca di Spagna sono diventate molto incerte. Dopo tanta speculazione, il presidente del governo catalano, il Generalitat, Carles Puigdemont ha parlato davanti al parlamento catalano rivelando le sue intenzioni. Ha fatto una dichiarazione unilaterale d’indipendenza sospendendola
Da quando si è tenuto il referendum sull’indipendenza della Catalogna il primo ottobre – dichiarato illegittimo dalla Corte costituzionale spagnola – le sorti della regione più ricca di Spagna sono diventate molto incerte. Dopo tanta speculazione, il presidente del governo catalano, il Generalitat, Carles Puigdemont ha parlato davanti al parlamento catalano rivelando le sue intenzioni. Ha fatto una dichiarazione unilaterale d’indipendenza sospendendola però subito dopo perché prima si avvii un dialogo tra il suo governo e quello spagnolo.
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Cosa ha detto il presidente catalano Carles Puigdemont
Puigdemont ha fatto appello al governo spagnolo affinché riconosca la “volontà di dialogo e accordo politico” del popolo catalano che da anni reclama “la libertà di decidere”. Ha affermato il diritto della regione di diventare uno stato indipendente, posizione sostenuta dalla maggioranza dei cittadini nel referendum. Ha dichiarato a tutti i connazionali spagnoli: “Non siamo dei delinquenti, pazzi o golpisti, siamo delle persone normali che chiedono di poter votare”. Ha espresso quindi il suo desiderio di aprire un dialogo con il popolo spagnolo e il governo centrale sulla questione dell’indipendenza, dichiarandolo un “un gesto di generosità” da parte del Generalitat.
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Il discorso di Puigdemont in parlamento era previsto per le 18:00 ma è stato rimandato di un’ora perché i principali partiti all’opposizione, il Partito popolare e Ciudadanos, hanno chiesto la sospensione della sessione plenaria (che non hanno ottenuto). Puigdemont ha inoltre chiesto il rinvio per discutere con alcuni parlamentari. Nelle parole del presidente, è voluto intervenire in parlamento per “spiegare le conseguenze politiche del referendum”, “i cui effetti e le cui conseguenze si sentiranno oltre il nostro paese”, elevando il referendum al livello di “un affare europeo”.
Ha proseguito dicendo che “da me non bisogna attendersi minacce o ricatti, ma ognuno deve assumersi le proprie responsabilità e non contribuire ad alimentare delle tensioni”. Ha ringraziato tutti i manifestanti per essere scesi in piazza, anche quelli che si sono mobilitati contro l’indipendenza – dicendo che “formiamo un solo popolo” – e coloro che hanno votato, e ha porto le sue scuse nei confronti di coloro che sono stati fermati dal votare dalla polizia (numero che potrebbe aggirarsi attorno ai 700mila secondo Puigdemont) e hanno subito le cariche violente delle forze dell’ordine durante le manifestazioni.
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Ha poi dedicato una parte del discorso alla storia recente della regione, dichiarando che nella Spagna post-franchista, “la Catalogna ha contribuito alla crescita economica e alla modernizzazione del paese” ma che i tentativi della regione di affermare la propria indipendenza nel corso degli anni sono sempre stati soppressi dallo stato centrale. “La regione ha chiesto al governo più volte di aprire il dialogo per tenere un referendum”, subendo però una “persecuzione da parte della polizia e della giustizia”.
Infatti, se ora Puigdemont ha deciso di dichiarare l’indipendenza differita, cioè rimandata, per poter aprire un dialogo con Madrid, ha anche affermato che in passato la Catalogna “non ha trovato interlocutori: non una sola istituzione dello stato ha mai parlato alla maggioranza catalana”.
Cosa farà ora il parlamento catalano?
In un’intervista alla Bbc rilasciata il 4 ottobre, Puigdemont aveva risposto alle dure critiche del re di Spagna Filippo VI verso il referendum (fatte in un discorso trasmesso alla televisione il 3 ottobre), dicendo che si sarebbe avviato il processo per l’indipendenza della Catalogna già nella sessione parlamentare di lunedì 9 ottobre. Questa, però, è stata sospesa dalla Corte costituzionale spagnola, facendo slittare la discussione dei risultati del referendum al giorno seguente.
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Una legge regionale promulgata dal parlamento catalano il 6 settembre – sostenuta da 72 voti a favore, il numero minimo necessario, mentre 52 parlamentari si sono astenuti lasciando l’aula in segno di protesta – ha stabilito la data del referendum, l’assenza di quorum e l’obbligo del Generalitat di dichiarare l’indipendenza in caso di vittoria del sì: che è arrivata con 92,3 per cento voti a favore su 2,3 milioni di votanti, cioè il 43 per cento degli aventi diritto. Quest’ultimo scenario, per ora, non si è verificato, anche se Puigdemont, nell’affermare il diritto della Catalogna a decidere sulla propria indipendenza e nel ribadire il sostegno politico e popolare per questa eventualità, ha lasciato la porta aperta alla secessione in un futuro, volendo, anche molto vicino.
La società spagnola è divisa
Se per ora non si è prospettata l’ipotesi di una dichiarazione unilaterale d’indipendenza, l’avvio di un dialogo sarà una grossa sfida perché le divisioni a livello nazionale sono profonde. Il primo ministro spagnolo Mariano Rajoy parlerà al parlamento nazionale mercoledì 11 ottobre, altro appuntamento importante per capire l’evolversi della situazione. Negli ultimi giorni era rimasto intransigente nel respingere le azioni del governo catalano, dicendo che “il suo governo impedirà che venga dichiarata l’indipendenza”, non escludendo la sospensione dell’autogoverno della regione – che potrebbe avvenire se il Senato attivasse l’Articolo 155 della costituzione, cosa mai successa prima, per sciogliere il parlamento di Barcellona e convocare elezioni anticipate – e affermando che il governo non è disposto a mediare per risolvere la crisi. Posizione che, forse, potrebbe cambiare in seguito alle dichiarazioni di Puigdemont.
Momento en el que Puigdemont ha declarado que “asume el mandato del pueblo” para convertir a Cataluña en república https://t.co/9DA8k7Imqa pic.twitter.com/7fJaoij6rI
— EL PAÍS (@el_pais) 10 ottobre 2017
L’ipotesi del dialogo era già stata evocata da diversi attori negli ultimi giorni. Donald Tusk, il presidente del Consiglio europeo, si è detto contrario a una dichiarazione d’indipendenza che, secondo lui, dividerebbe l’Europa. L’Unione europea ha infatti reso chiaro che una Catalogna indipendente non farebbe più parte dell’unione: i rappresentanti di Bruxelles hanno invitato invece il governo spagnolo a risolvere la crisi attraverso il dialogo, astenendosi dall’utilizzo della forza. Come quella adoperata per bloccare il voto e contro la quale hanno protestato migliaia di manifestanti scesi in piazza il giorno del referendum e quelli seguenti. La divisione politica a cui Puigdemont dice di volere fare fronte si è vista infatti anche sulle strade di Barcellona: una manifestazione contro l’indipendenza della Catalogna che si è tenuta nella città domenica 8 ottobre, esattamente una settimana dopo il referendum, ha attratto ben 350mila persone secondo le forze dell’ordine.
La via del dialogo è quella invocata anche dal sindaco di Barcellona Ada Colau che ha chiesto a Puigdemont di astenersi da una dichiarazione d’indipendenza, a Rajoy di non sospendere l’autogoverno della regione e che le due parti trovino un punto d’incontro per risolvere la crisi. Per adesso sembra che da parte del governo catalano ci sia un’apertura. La palla, ora, passa a Madrid.
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