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La nostra casa dopo il lockdown, secondo Lucia Bocchi
La casa è diventata il nostro mondo durante il lockdown. Uno spazio trasformato anche in ufficio e scuola. La ricerca della giornalista Lucia Bocchi ci racconta i desideri di cambiamento.
La classifica delle parole più utilizzate nelle conversazioni online, sui social, nei mesi di lockdown vede al primo posto “casa”.
La casa è diventata simbolicamente e fisicamente la tana, il luogo che ripara e protegge. Il cambio è stato improvviso e inaspettato: di colpo il mondo è diventato la nostra abitazione. Abbiamo fatto tutti fatica nella quotidianità a condividere funzioni diverse nello stesso spazio con più componenti della famiglia. Il lavoro e la scuola si sono trasferiti nelle case dove ognuno ha organizzato a fatica il proprio spazio lavoro e spazio scuola: l’ambiente domestico si è trasformato in ambiente multifunzionale, con benefici, ma soprattutto problematicità. Nel tempo lungo del forzato confinamento in casa, abbiamo dedicato tutti un’attenzione maggiore agli oggetti domestici, ai piccoli dettagli che ci circondano, rilevando pregi e criticità dei nostri spazi abitativi.
La casa si è trasformata anche nella scenografia di fondo delle nostre relazioni, il set per le videochat con gli amici e le riunioni di lavoro molto spesso sullo sfondo di una libreria definita ben presto bookcase credibility – la “credibilità della libreria”, diventata l’elemento simbolo di autorevolezza della persona. Ma la casa ha assunto anche una dimensione pubblica sui social media, con la diffusione di dirette, talk, eventi virtuali, tutte con un solo palcoscenico: la propria casa. Concerti, balletti, sessioni di fitness, yoga, ginnastica, corsi di cucina e di ogni tipo di attività creativa e non ci hanno fatto entrare nella dimensione privata e domestica delle abitazioni di sconosciuti con un senso di partecipazione e condivisione collettiva straordinario, come non era mai accaduto prima.
Ce ne parla Lucia Bocchi, giornalista, esperta di temi sociologici e antropologici dell’abitare, che ha realizzato un’indagine qualitativa con un campione di venticinque interviste che compongono un quadro sfaccettato di come gli italiani hanno vissuto la casa nel periodo dell’emergenza sanitaria e di cosa desiderano cambiare e migliorare.
Come le persone e le famiglie hanno vissuto la casa durante il lockdown?
La maggior parte delle persone che ho intervistato si sono trovate bene in casa, sono generalmente soddisfatte delle prestazioni delle loro abitazione in questo periodo molto particolare. Ho sentito come un sentimento di riconoscenza verso la propria casa, anche quando ci sono spazi piccoli, di protezione verso il grande pericolo che era fuori.
La casa come tana, come luogo dove stare in emergenza è stato vissuto bene. La differenza vera l’ha fatta la possibilità di avere uno spazio esterno, e non mi riferisco tanto ai balconi. Il balcone non fa vero esterno, è un affaccio verso l’esterno ma non è “stare” all’esterno. Mentre il requisito era poter pranzare o cenare all’esterno, cioè avere un terrazzo. Chi ha abitazioni indipendenti con un giardino si è creato una specie di microcosmo ideale, compensando abbastanza bene la limitazione di non poter uscire.
Diverse famiglie da autodidatti si sono messi per la prima volta a fare l’orto. L’idea di avere la cintura verde intorno e di usufruire di questo interno/esterno è stato veramente il salvagente. Chi non poteva avere lo spazio esterno si è arrangiato con gli spazi condominiali comuni: era anche proibito farlo, ma è stato fatto. Il discrimine era: laddove c’erano delle regole da rispettare per il distanziamento è stato tollerato soprattutto nei condomini medio/grandi. Chi aveva bambini a un certo punto è stato concesso ai bambini di scendere a giocare. Però poi i genitori accompagnavano i bambini, facevano crocchio, proprio come bisogno micro-sociale e quindi ci sono stati situazioni di turni e i genitori si alternavano, altri di vero e proprio assembramento.
Qualcun altro, soprattutto al sud, ha utilizzato il lastrico solare del condominio sul tetto per fare ginnastica o attrezzato per fare fitness i garage o i corridoi del piano garage sotterraneo del condominio. Le persone si sono dedicate molto alla cura del verde e un dato già noto prima della Covid-19 è che ci sono moltissimi animali domestici, rappresentativi di quello scampolo di natura che le persone possono tenersi in casa.
In mancanza di spazi esterni veri – terrazzi fruibili e giardini – quello che compensava bene era una vista aperta. Poter guardare la campagna, un pezzo di cielo vasto. Chi ha sofferto di più è chi aveva davanti altri palazzi a distanza abbastanza ravvicinata. In questo caso ci si è un po’ barricati, con siepi alte sui balconi, ci si è affacciati poco. Dopo i primi quindici giorni di “balconismo acuto”, cioè di gente che si affacciava spesso per cantare, fare e sentire musica, c’è stato un rinchiudersi psicologico, soprattutto nelle settimane più dure e più sofferte per i bollettini dell’emergenza.
Come sono cambiate le priorità nei confronti della casa?
La richiesta crescente è flessibilità e multifunzionalità delle stanze. Essere tutti i componenti della famiglia in una stessa situazione domestica ha portato a spingere idealmente o progettualmente l’idea che uno spazio serva a più cose. C’è da tenere presente che c’era una specie di sospensione psicologica del tutto gravata anche dal timore della prospettiva economica, abbastanza di freno per arrivare a ri-progettare realmente il proprio spazio. Non c’è ancora l’idea di buttare giù pareti e fare grandi cambiamenti.
C’è stato questo doppio livello: lavorare, studiare, dedicarsi ai propri hobby, vedere i film, sentire la musica senza darsi fastidio o condividendo questi passatempi, ma non era il momento giusto di prendere decisioni nei mesi di lockdown perché sembrava tutto un po’ bloccato. Se ho sentito parlare di ristrutturazioni interne era perché erano già state pensate prima dell’isolamento.
Riguardo agli spazi della casa, cosa le persone vorrebbero modificare?
Piuttosto che modificare la propria casa, alcuni vorrebbero proprio cambiare casa. È più forte la proiezione, soprattutto se la situazione famigliare è cambiata ad esempio con la nascita di un figlio, di cambiare casa per trovare una soluzione più adatta con affaccio esterno e più luminosità interna, che è un fattore molto importante. Per chi aveva già un’idea di cambiar casa il lockdown ha dato la spinta decisiva.
Gli ambienti che si vorrebbero modificare sono il soggiorno e la camera da letto. Il soggiorno è l’ambiente che più si presta ad essere multifunzionale. Per la camera da letto, invece, attraverso alcune interviste ho avuto un quadretto un po’ fosco sullo sviluppo dello smart working tra i giovani: di chi si alza dal letto, si lava la faccia e si sposta di un metro per lavorare per nove ore a computer e porta lì anche nell’intervallo il panino. Questa è una delle grandi modifiche dello smart working che si spera che gli italiani non subiscano. Ci sono naturalmente i vantaggi del poter essere a casa, di poter avere maggiore accudimento o vita di coppia e di famiglia, però se gli spazi non sono adatti diventa proprio una gabbia. La parola “smart” porta a pensare a qualcosa di tecnologico, moderno, funzionale. Inserirlo nel contesto delle case, soprattutto delle grandi città di metrature ridotte, case vecchie o con poca luce, diventa un punto critico del futuro.
Parliamo degli arredi e degli oggetti: cosa le persone vorrebbero rinnovare?
C’è il desiderio di avere mobili contenitori più organizzati. Che non significa più capienti, ma dove è più facile trovare le cose, più facili da riordinare. Questo è trasversale in tutti gli ambienti della casa, dal soggiorno al ripostiglio, passando per la cucina. Molti si sono dedicati a pulizie oserei dire ossessive perché ripetute più volte, ribaltando la casa ogni dieci giorni per pulire e disinfettare. E anche operazioni di riordino e questo ha fatto riflettere su possibili miglioramenti più che negli spazi interni alla casa negli spazi interni agli arredi. Forse una trasformazione dell’attrezzatura interna dei mobili.
L’attenzione è stata forse più al guscio e al complesso della casa che non ai suoi particolari. Ha fatto eccezione l’illuminazione. È stata in tutta Italia una pandemia molto luminosa con molte giornate di luce e di sole quasi straordinarie per tutto il periodo che per fortuna ha supportato il morale a tutti quanti. Però alcune persone si sono rese conto di avere un’illuminazione non efficiente, non gradevole. C’è più attenzione a come distribuire la luce e sicuramente all’efficienza energetica, al risparmio.
Un altro punto importante è l’home entertainment. La famiglia è tornata un po’ di più intorno a un unico televisore, il ritorno a una centralità in soggiorno per sentire musica, ma soprattutto guardare film e serie televisive e forse è nato il desiderio di migliorare ancora questa zona audio-video.
Gli acquisti online per la casa sono stati pochi, se non appunto lampade a led. Le ricerche dicono che c’è stato in generale un balzo dell’e-commerce. Quello che è cresciuto in Italia negli ultimi dieci anni, non solo in quest’ultimo particolare periodo, è il “fai da te”. Era molto diffuso in Francia, Germania e paesi nordici, come è evidente anche dallo sviluppo delle più importanti catene di negozi per il do it yourself. Ho notato anche una certa conoscenza in quest’ambito, riguardo alle scelte dei materiali da usare, le tecniche, magari imparate dai tutorial online. Questa componente del fare da sé ha preso piede.
Superfluo, riciclo, materiali sostenibili sono priorità o temi secondari?
Parto da una constatazione: il giorno dopo il lockdown, quando si è potuti uscire, ci sono state interminabili code nelle piazzole di smaltimento delle riciclerie. È stato proprio il segno che nelle case avevano buttato il buttabile, non solo dell’abitazione, ma di solai e cantine. La mia sensazione è che non si voglia più tornare indietro troppo all’accumulo, a riempire casa o abbandonare cose superflue in cantina.
Ho avvertito come uno sforzo di razionalizzazione. Ci siamo tutti accorti di quante cose inutili si hanno in casa, rotte che non si possono più riparare, apparecchi oramai superati come tecnologia, oggetti inutili – come tre spremi-aglio di cui non se n’è mai usato uno nella vita. È come se si fosse messa a dieta la casa, sperando che la dieta continui!
L’incentivo dell’ecobonus al 110 per cento ha attivato molti progetti di esterno, di struttura della casa. Gli elementi che nelle mie interviste sono stati citati di più sono gli infissi vecchi e desueti da cambiare e i pannelli solari per le case indipendenti. Tutto ciò in un’ottica di risparmio individuale. Pochissimi, quasi nessuno me ne ha parlato in termini di bene collettivo. È chiaro che ognuno di noi fa la scelta economica secondo le proprie tasche e secondo quello che è adatto alla propria abitazione. È evidente che il ragionamento è diverso di chi abita una casa monofamiliare in campagna in Sardegna rispetto al bilocale nella grande città, ma la visione però è sempre quella di migliorare la propria abitazione in ottica di risparmio, ma non è una visione di bene generale.
Questo mi ha un po’ stupito, anche se non si parlava dell’effetto tregua dell’inquinamento sull’ambiente circostante tutti erano molto contenti di come l’ambiente sia migliorato durante il lockdown. Abbiamo visto tutti i video con gli animali che riprendevano possesso del territorio, acque pulite a Venezia, delfini nei porti e così via, però era come se non dipendesse anche da scelte individuali, ma da una collettività non meglio definita e soprattutto da chi comanda. A fronte di una preparazione nel parlare di soluzioni sostenibili, riscaldamento con le nuove stufe che canalizzano il calore in tutte le stanze anche per enormi volumetrie, coibentazioni che lasciano la casa traspirante, ho sentito persone abbastanza preparate sui materiali sostenibili, ma in una visione molto individualista. Questo a mio modo di vedere significa, comunque, che le cose stanno andando avanti, che non lo si fa per tutti quanti, lo si fa per se stessi, ma oramai anche a livello del “fai da te” si possono applicare queste migliorìe sostenibili per la propria abitazione. Lo si fa, anche se non c’è una coscienza ecologica sviluppatissima. Però di fatto se molte case migliorano in quel senso, si va verso la sostenibilità.
Riciclo: dare una seconda vita a un oggetto d’arredo è ancora molto visto come un’operazione creativa e di tendenza, più che come operazione di economia circolare e sostenibilità. Molte persone hanno visto sulle riviste che è trendy prendere il mobile di ferro dal garage del nonno e metterlo in cucina e lo hanno fatto perché fa chic, non proprio per una coscienza del riciclo. Sono piuttosto critica sull’avanzamento di una sensibilità, di fatto però lo si fa. Le cose si muovono. Penso che, rispetto ad altri paesi dell’Europa settentrionale, la visione globale non ci sia ancora in Italia. Siamo con un piede di là e uno di qua, però ho sentito questa conoscenza dei materiali, questa prontezza a ragionare quasi in termini pratici sulla spesa per infissi o pannelli solari e sono segnali positivi.
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