Case green: passi avanti nella direttiva europea, ma sopravvivono le caldaie a gas

Dietro la direttiva “case green”, che prevede l’efficientamento energetico degli edifici, ci sarebbe la lobby del gas, secondo le associazioni.

  • Il Parlamento europeo approva il regolamento della direttiva cosiddetta “case green”.
  • La direttiva stabilisce obblighi di riqualificazione energetica degli edifici.
  • Diverse associazioni ambientaliste hanno criticato la scelta di mantenere le caldaie a gas tra gli interventi di efficienza.

La plenaria del Parlamento europeo ha approvato la direttiva proposta dalla Commissione europea per l’efficienza energetica degli edifici. I voti favorevoli sono stati 343, quelli contrari 216 e gli astenuti 78. Il voto del Parlamento è “il primo passo per l’apertura dei negoziati su due atti, un regolamento e una direttiva, per facilitare l’accesso alla rete di gas rinnovabili”, ha fatto sapere l’ufficio stampa dell’istituzione. Il cammino della direttiva, infatti, non è finito: i prossimi passi vedranno coinvolti il Consiglio e la Commissione europea, che dovranno pronunciarsi in merito per arrivare alla versione definitiva.

Ma cosa sono i gas rinnovabili? Il Parlamento europeo spiega che si tratta di gas a basse emissioni, come il biometano e l’idrogeno. Ma diversi esperti sono preoccupati perché dietro il voto si nasconderebbe il tentativo da parte della lobby dei fossili di salvare le caldaie domestiche alimentate a metano.

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Parlamento europeo al voto, Strasburgo © Alexis HAULOT/European Union 2023

Cosa prevede la direttiva “case green”

Attraverso il testo della direttiva Epbd (Energy performance of buildings directive), soprannominata per comodità direttiva “case green”, prevede una serie di obblighi per riqualificare dal punto di vista energetico gli immobili più inefficienti. Il testo votato è lo stesso proposto a febbraio dalla Commissione per l’industria, la ricerca e l’energia (Itre), una commissione permanente del Parlamento europeo.

Il testo, portato avanti dall’eurodeputato verde irlandese Ciarán Cuffe, prevede che gli edifici residenziali europei in classe energetica G dovranno passare alla classe energetica F entro il 2030 e D al 2033. Gli immobili pubblici dovranno invece raggiungere le stesse classi, rispettivamente, entro il 2027 e 2030. Tutti i nuovi edifici, invece, dovranno essere a emissioni zero dal 2028 (dal 2026 quelli di proprietà o gestiti da autorità pubbliche).

Esiste tutta una serie di deroghe che vanno dalle case indipendenti con superficie calpestabile inferiore a 50 metri quadri e alle seconde case, ma in generale, se la direttiva dovesse essere approvata anche nel negoziato finale con gli stati membri, diventerà obbligatorio superare la classe energetica G degli edifici, la più bassa attualmente e che rappresenta, in media, il 15 per cento del patrimonio edilizio esistente a livello europeo.

Per raggiungere tali obiettivi, quindi, saranno necessari interventi di riqualificazione ed efficientamento energetico degli edifici, che significa soprattutto lavori di isolamento termico o miglioramento del sistema di riscaldamento.

La direttiva “case green” punta su fotovoltaico, idrogeno e biometano

Proprio su quest’ultimo punto si sono concentrate le critiche del fronte ambientalista. Con il loro voto favorevole, gli eurodeputati hanno introdotto, laddove tecnicamente possibile, l’obbligo di installare i pannelli fotovoltaici (entro il 2028 per le nuove costruzioni, entro il 2032 per le ristrutturazioni), dall’altra hanno consentito la possibilità di mantenere le caldaie a gas in ottica di una sostituzione del metano con “gas rinnovabili”, ovvero gas prodotti con basse emissioni di CO2.

Per gas a basse emissioni si intendono idrogeno e biometano, già inclusi nel piano RePowerEu, il piano presentato il 18 maggio 2022 dalla Commissione europea per “porre fine alla dipendenza dell’Unione europea dai combustibili fossili della Russia [e] affrontare la crisi climatica”. Obiettivo è creare un mercato europeo dell’idrogeno e garantire collettivamente almeno 35 miliardi di metri cubi di biometano entro il 2030, con l’obiettivo di sostituire almeno il 20 per cento delle importazioni di gas russo.

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Caldaie a idrogeno? Un investimento per il futuro o un bluff per salvare il gas? © Petmal/iStock

Un regolamento salva-caldaie voluto dalla lobby del gas

I lobbisti dell’industria del gas stanno facendo pressione, anche in modi non autorizzati, sui funzionari dell’Ue nel tentativo di salvare le caldaie domestiche a gas, sfruttando l’agenda verde dell’Europa, secondo un rapporto pubblicato dalla coalizione Better without boilers (Bwb). “In almeno tre occasioni”, si legge nel rapporto, “si sono svolti incontri non dichiarati pubblicamente tra la lobby del gas e figure cardine del dibattito sul futuro dei consumi domestici di gas in Europa, a cui ha partecipato l’eurodeputato del Ppe Sean Kelly”.

Insomma, i lobbisti sono entrati in contatto con gli eurodeputati più strettamente coinvolti nel processo di negoziazione, convincendoli a promuovere il messaggio per cui le caldaie ibride sarebbero pronte ad accogliere l’idrogeno e il biometano dall’oggi al domani. Ma secondo le associazioni di Bwb, di cui fa parte anche Legambiente, le caldaie a idrogeno sarebbero disastrose sotto tutti i punti di vista: da quello economico perché, come spiegato da un articolo di Nature, sul lungo termine meglio investire nelle pompe di calore; da quello della sicurezza perché le caldaie a idrogeno non possono seguire le stesse norme di installazione delle attuali caldaie a gas.

“Come Legambiente chiediamo lo stop all’installazione di nuove caldaie a gas fossile dal 2025”, spiega Katiuscia Eroe, responsabile energia dell’organizzazione. “Dobbiamo smetterla di promuovere le caldaie a gas come una soluzione sostenibile, eliminando queste tecnologie da tutti i sistemi incentivanti fin da subito”. Legambiente e le altre organizzazioni di Bwb avvertono: le conseguenze di questa “scappatoia salva-caldaie” si ripercuoteranno sui cittadini italiani, dalle bollette energetiche alla qualità dell’aria, incidendo negativamente sulla capacità dell’Italia di raggiungere gli obiettivi climatici, innovare il settore edilizio e aumentare l’occupazione.

Il governo italiano chiede più deroghe

Tuttavia, tra le preoccupazioni esternate dal governo italiano c’è altro. “Il voto del Parlamento non soddisfa l’Italia” è la replica del ministro dell’Ambiente e della sicurezza energetica Gilberto Pichetto Fratin, il quale annuncia che, come fatto anche in occasione del divieto di vendere auto a emissioni zero dal 2035, “continueremo a batterci a difesa dell’interesse nazionale”.

Il ministro invoca una deroga per l’Italia in fatto di efficientamento energetico degli edifici. Secondo Fratin, infatti, “manca in questo testo una seria presa in considerazione del contesto italiano, diverso da quello di altri paesi europei per questioni storiche, di conformazione geografica, oltre che di una radicata visione della casa come bene rifugio delle famiglie italiane”. Insomma, per l’Italia le deroghe già individuate dalla direttiva non basterebbero.

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