La Giornata è nata per contrastare il lavoro minorile, fenomeno che, in alcuni dei paesi più poveri del mondo, affligge un bambino su quattro.
C’è chi è contento della nuova legge sul lavoro minorile in Bolivia
Il parlamento della Bolivia ha approvato mercoledì 2 luglio il nuovo codice sul lavoro minorile che modifica l’età minima consentita per cominciare a lavorare. L’età legale richiesta è stata abbassata da 14 a 12 e persino 10 anni. A partire da 10 anni Il testo della legge approvata prevede, al contrario di quanto previsto
Il parlamento della Bolivia ha approvato mercoledì 2 luglio il nuovo codice sul lavoro minorile che modifica l’età minima consentita per cominciare a lavorare. L’età legale richiesta è stata abbassata da 14 a 12 e persino 10 anni.
A partire da 10 anni
Il testo della legge approvata prevede, al contrario di quanto previsto dalle maggiori organizzazioni internazionali che si occupano di lavoro e diritti, che bambini e adolescenti possano lavorare in proprio già a partire da 10 anni, mentre è stata abbassata a 12 anni l’età legale per condurre un lavoro dipendente, a patto che questa attività non sia pericolosa e non sia in contrasto con il diritto all’istruzione.
I rischi del lavoro minorile: analfabetismo e povertà
Le organizzazioni non governative Anti-slavery international che si batte contro la schiavitù e Human rights watch che difende i diritti umani, avevano inviato già a fine gennaio una lettera aperta al presidente della Bolivia Evo Morales per metterlo in guardia dai rischi rappresentati, secondo loro, da un abbassamento dell’età minima consentita per cominciare a lavorare: “Se a bambini di 12 anni viene permesso di lavorare, saranno esclusi dalla possibilità di avere un’istruzione durante gli anni migliori, quelli formativi. Il rischio è di entrare in una spirale di povertà e analfabetismo al quale è difficile porre fine”.
Lo strano caso della Bolivia
Ma la scelta di Morales (il primo presidente indigeno che ha basato il suo mandato sulla protezione dei diritti delle minoranze) di appoggiare la legge che consente anche ai più piccoli di lavorare non è contestabile in modo unilaterale come appare in un primo momento. Se l’Organizzazione internazionale del lavoro (Ilo) fissa a 15 anni l’età minima consentita per cominciare a lavorare, eccezion fatta per i paesi in via di sviluppo dove l’età minima è 14 anni, in Bolivia la situazione è più complessa, forse unica.
Nel paese sudamericano circa 850mila lavoratori, su 10 milioni di abitanti, hanno tra i 5 e i 17 anni secondo l’Ilo. Di solito sono venditori ambulanti, lustrascarpe, braccianti e pulitori di lapidi. Una situazione che ha portato persino alla costituzione di un sindacato dei bambini e delle bambine della Bolivia (Unatsbo, Unión de niños y adolescentes trabajadores de Bolivia) che da mesi chiede al presidente, anche con scioperi e proteste, di togliere i limiti all’età lavorativa.
Strade diverse per un obiettivo comune
Molti bambini contestano ai grandi, a “quelli” delle istituzioni di non conoscere la realtà dei fatti. La maggior parte, dicono i rappresentanti dell’Unatsbo, lavora senza rinunciare allo studio. Per loro è l’unica soluzione per aiutare le famiglie a sopravvivere. Negare loro questo diritto vorrebbe dire farli lavorare in nero, nell’ombra, senza la benché minima protezione e tutela. E questo non è ciò che l’Unatsbo vuole per i suoi piccoli iscritti. E forse questa è anche una delle poche volontà che condivide con “quelli” dell’Ilo.
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