Opinione

C’è stata una strage in un liceo di Kabul, in Afghanistan

In Afghanistan non si fermano le violenze e gli attentati, soprattutto contro le minoranze. È il caso degli hazara che, dopo il ritorno dei talebani, stanno vivendo un nuovo incubo.

Il 19 aprile almeno 25 studenti che frequentavano il liceo Abdurahim Shahid e un centro per lo studio della lingua inglese sono morti in un doppio attentato che ha preso di mira ancora una volta la comunità hazara, nel quartiere di Dasht-e-Barchi, nella zona occidentale della capitale Kabul.

Da quanto i talebani sono tornati al potere in Afghanistan, gli hazara sono ripiombati in un incubo che va avanti da secoli e che, alla fine dell’Ottocento, li ha visti vittime di un genocidio scarsamente documentato ma la cui memoria si tramanda di generazione in generazione.

Gli hazara costituiscono gran parte della diaspora afgana: hanno iniziato a fuggire durante il primo regno del terrore dei talebani (1996-2001) e hanno proseguito a lasciare il paese anche dopo l’intervento delle forze della Nato. Sono stati protagonisti dell’accoglienza dei nuovi rifugiati dell’estate 2021.

È evidente che i talebani non sono in grado di garantire la sicurezza in Afghanistan: dopo quelli del 19 aprile, vi sono stati almeno altri due attentati mortali, uno in una moschea di Mazar-e-Sharif, l’altro a Kunduz.

Soprattutto, i talebani non sono in grado di garantire la sicurezza a una comunità che, in quanto musulmana sciita, considerano loro nemica. Tant’è che, nelle settimane che avevano preceduto il loro ritorno a Kabul, avevano compiuto ripetute stragi di hazara.

L’incapacità della comunità internazionale di affrontare più di una crisi per volta sta di nuovo abbandonando gli hazara al loro destino.

Restano, a testimoniare la loro persecuzione, qualche scarno lancio di agenzia, i tweet degli attivisti e l’attenzione delle organizzazioni per i diritti umani.

Gli hazara sono soli. Questa solitudine li rende ancora più vulnerabili.

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