Nel 2021 sono state accolte nei centri antiviolenza 20.711 donne, il 3,5 per cento in più rispetto al 2020.
I dati sono diffusi dall’associazione Di.Re – Donne in rete contro la violenza.
Soltanto il 28 per cento delle donne accolte, poco più di una su quattro, decide di denunciare.
Oltre a quello dei femminicidi, già 64 dall’inizio dell’anno secondo il ministero dell’Interno, oggi c’è un altro dato che certifica come la violenza contro le donne, almeno in Italia, è tutt’altro che un fenomeno in calo. Nel 2021 infatti sono state accolte nei centri antiviolenza complessivamente 20.711 donne, con un incremento – rispetto al 2020 – del 3,5 per cento. E l’8,8 per cento di loro non si era mai rivolta a tali strutture prima di allora.
L’identikit delle donne che si rivolgono ai centri antiviolenza
Il dato arriva direttamente dall’associazione D.i.Re – Donne in rete contro la violenza che, nel suo report annuale, traccia anche l’identikit delle vittime che chiedono aiuto. Quasi una su due ha tra i 30 e i 49 anni e ha subìto violenza da parte del marito, del compagno, o di un ex. Persone, in teoria, di fiducia. Persone “che hanno le chiavi di casa”.
Sono prevalentemente italiane: solo il 26 per cento ha una provenienza straniera, esattamente come gli anni passati e più o meno come certificato anche dall’Istat nell’ultimo rapporto sulla violenza contro le donne. Così come sono italiani circa sette autori di violenza su dieci: un dato che, secondo D.i.Re, “mette in discussione lo stereotipo diffuso che vede il fenomeno della violenza maschile sulle donne ridotto a retaggio di universi culturali situati nell’’altrove’ dei paesi extraeuropei”.
110 Centri antiviolenza in Italia, con oltre 3000 attiviste che, ogni giorno, contribuiscono alla libertà di ognuna e di tutte. Questa è la nostra Rete. Se sei in difficoltà, o hai bisogno di un consiglio, rivolgiti al Centro più vicino https://t.co/a727WBOvDm#noicisiamopic.twitter.com/e4CMHZiwkG
— DiRe – Donne in Rete contro la violenza (@diredonneinrete) June 13, 2022
Ancora troppo poche le denunce
Uno dei dati più preoccupanti però è quello secondo cui soltanto il 28 per cento delle donne accolte, poco più di una su quattro, decide di denunciare. Una percentuale che rimane sostanzialmente costante negli anni. Questo dato non stupisce i responsabili di Di.Re, secondo i quali il motivo scatenante è “la vittimizzazione secondaria da parte delle istituzioni che entrano in contatto con le donne (servizi sociali, forze dell’ordine, tribunali)”. Con questa espressione ci si riferisce a tutti i casi in cui la testimonianza della vittima viene messa in discussione, fino a indurla ad auto-colpevolizzarsi.
— DiRe – Donne in Rete contro la violenza (@diredonneinrete) July 13, 2022
“Dietro ogni numero che leggete c’è una storia, la storia di ogni singola donna, che crede nella possibilità di uscire dalla violenza, dà fiducia ai nostri centri: l’aumento di donne che a noi si rivolgono lo leggiamo in questa luce”, ricorda la presidente di D.i.Re, Antonella Veltri. Ma sono anche numeri che danno la misura del lavoro che le 2.793 attiviste, di cui solo poco più del 30 per cento retribuite, svolgono per dare forza alle donne. Per la presidente Veltri “non basta approvare un Piano antiviolenza se mancano le linee guida attuative: siamo in attesa di questo, dell’impegno concreto del governo sul tema della violenza maschile alle donne, per il 2021-2023”.
NUMERO 1522. La ministra Elena Bonetti alle donne: 'Se subite violenza, chiedete aiuto. Non temete l'autocertificazione' – La Repubblica https://t.co/qp9zbVIeJL
I centri antiviolenza della rete Di.Re sono presenti in tutte le regioni italiane, tranne che in Molise, ma sono distribuiti in modo non omogeneo: 58 (cioè oltre la metà del totale) si trovano al nord, divisi non equamente tra nord-est e nord-ovest; nelle regioni del centro ce ne sono 24 (circa un quarto) e tra sud e isole si arriva ad altri 24.
I servizi offerti sono vari: accoglienza e possibilità di consulenza legale nella quasi totalità dei casi, consulenza psicologica e percorsi di orientamento al lavoro in molti altri. Fondamentale è soprattutto quest’ultimo, dal momento che, tra le donne che si rivolgono ai centri, una su tre è disoccupata, casalinga o studentessa a reddito zero.
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