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In Svizzera è morto un ghiacciaio di nome Pizol e in centinaia l’hanno ricordato con una cerimonia
Un deserto di sassi è quello che rimane del ghiacciaio del Pizol, in Svizzera, la cui scomparsa è stata ricordata in una cerimonia commemorativa. Una sorte che rischiano tutti i ghiacciai delle Alpi, e oltre.
Ci troviamo di fronte alla prospettiva, reale, di un futuro senza ghiacciai alpini a causa dei cambiamenti climatici. Quest’estate ha fatto notizia soprattutto il Cervino, una delle montagne più famose delle Alpi, e del mondo, perché lo scioglimento dei suoi ghiacciai ha provocato un’alluvione senza precedenti nella località di Zermatt, in Svizzera, e la perdita del permafrost sta causando lo sgretolamento delle rocce e quindi la trasformazione della sua forma iconica. Ed è proprio in Svizzera, la cui geografia è dominata dalle vette alpine, che questi mutamenti stanno lasciando il segno non solo sul paesaggio, ma anche nell’immaginario delle persone.
Il ghiacciaio del Pizol ricordato in una cerimonia
A meno di 300 chilometri dal Matterhorn (il nome tedesco del Cervino) si è tenuta la prima cerimonia per commemorare la scomparsa di un ghiacciaio svizzero, quello del Pizol, che si trova a 2.700 metri nelle Alpi Glaronesi, vicino al confine con l’Austria e il Lichtenstein. Il 22 settembre, nel pieno della Climate action week (settimana dedicata a iniziative sul clima in tutto il mondo), tra 200 e 250 persone hanno affrontato un breve trekking e 400 metri di dislivello positivo per vedere coi loro occhi cosa rimane di un ghiacciaio quando muore, e per partecipare a una cerimonia in cui si sono susseguiti diversi interventi accompagnati da musiche tradizionali alpine. Un evento che ha ricordato il funerale al ghiacciaio Okjökull in Islanda del 18 agosto, anche se gli organizzatori della cerimonia svizzera assicurano che i preparativi sono iniziati mesi prima che venissero a conoscenza dell’analoga iniziativa islandese.
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Si può celebrare un funerale per un ghiacciaio?
Per ricordare la scomparsa del Pizol non è stato organizzato un funerale, spiega Alessandra Degiacomi, responsabile relazioni esterne dell’Iniziativa per i ghiacciai, una raccolta firme per chiedere al governo svizzero di azzerare le proprie emissioni entro il 2050. “Un funerale è una cosa religiosa, mentre una cerimonia è aperta a tutti”, racconta. “A un funerale si seppellisce qualcuno, ma non stiamo seppellendo il ghiacciaio, le parti che esistono ci sono ancora”. “Un funerale si fa per le persone, o per gli animali – conferma Eric Petrini, cappellano della parrocchia di Mels, paese ai piedi del monte Pizol, che è intervenuto durante l’evento –. Non abbiamo fatto un funerale in senso religioso, ma una cerimonia commemorativa per gettare luce su qualcosa. È stato un atto simbolico”. Simbolico del fatto che prenderci cura del Pianeta è un atto anche spirituale, a prescindere dal nostro credo.
“Abbiamo organizzato la cerimonia per dire addio al ghiacciaio – prosegue Degiacomi –, che è uno dei primi che il governo ha deciso di escludere dalle misurazioni annuali: ha perso talmente tanto ghiaccio che non viene più considerato nell’ambito della ricerca sui ghiacciai svizzeri”. La fine di un’epoca se si considera che veniva monitorato dal 1893. A confermare questa triste realtà è Matthias Huss, glaciologo dell’università Eth di Zurigo, che a partire dal 2006 ha condotto oltre 50 misurazioni del Pizol, a cui è “molto legato”. “Il ghiacciaio si è fortemente ritirato. Nel 2018 c’è stato un punto di svolta quando per la prima volta si è diviso in due parti. Inizialmente aveva cominciato ad assottigliarsi, e nel 2019 si è suddiviso in cinque parti”. Nei 14 anni di rilevamenti effettuati da Huss, il ghiacciaio ha perso dall’80 al 90 per cento del suo volume.
Die Gedenkfeier für den sterbenden #Pizol #Gletscher findet diesen Sonntag statt. Der Bildvergleich zeigt den Zerfall in den letzten zwei Jahren… Seid ihr auch dabei, um dem Gletscher die letzte Ehre zu erweisen? https://t.co/sAByRXczUO pic.twitter.com/XUgTQJy2OJ
— Matthias Huss (@matthias_huss) September 20, 2019
Quando muore un ghiacciaio
E tornando al quesito di base, se è possibile celebrare un funerale per un ghiacciaio, Huss spiega che in realtà “non è ancora chiaro quando un ghiacciaio può essere considerato morto, perché ci sono molte definizioni diverse”. “Il Pizol si potrebbe considerare ancora un ghiacciaio secondo la definizione generale, ma presto si rimpicciolirà a tal punto da non essere più considerato tale. Benché il Pizol sia un ghiacciaio piccolo e stia scomparendo, è un simbolo di tutti ghiacciai, del clima e del Pianeta intero”, ha sottolineato il ricercatore, che è intervenuto durante la cerimonia per spiegare come è avvenuta la ritirata del Pizol.
“I ghiacciai sono un buon indicatore dei cambiamenti climatici in atto, ci permettono di visualizzarli meglio di un grafico che mostra l’aumento delle temperature, ad esempio”, aggiunge Huss, che è uno degli autori di un recente studio secondo cui entro la fine del secolo il volume dei ghiacciai alpini si ridurrà di almeno due terzi, nella migliore delle ipotesi, e scomparirà praticamente del tutto se si dovessero verificare i peggiori scenari climatici. Degiacomi spiega che la cerimonia è stata pensata proprio per “mostrare alle persone cosa sta succedendo alle montagne svizzere, che perderanno l’80 per cento dei loro ghiacciai nei prossimi 80 anni”, a causa, ovviamente, dell’aumento delle temperature. Non a caso, oltre 120mila persone hanno firmato la petizione dell’Iniziativa per i ghiacciai (superando le 100mila necessarie per intraprendere un’iniziativa popolare, meccanismo che consente ai cittadini di proporre una modifica alla Costituzione svizzera), voluta dall’Associazione svizzera per la protezione del clima che insieme ad altre come Greenpeace e l’Iniziativa delle Alpi ha organizzato la cerimonia. “Spero davvero che vedere il ghiacciaio del Pizol aiuti le persone a capire meglio gli effetti del riscaldamento globale”, si augura Degiacomi.
Immaginare un futuro senza ghiacciai
La cerimonia per il Pizol ha colto nel segno, come dimostra la grande risonanza mediatica che ha avuto l’evento, di cui hanno parlato i mezzi d’informazione di tutto il mondo, dalla Germania, al Regno Unito, agli Stati Uniti, fino a Taiwan e al Giappone. Ma chi ha potuto comprendere veramente cosa si perde quando muore un ghiacciaio sono le persone che erano lì, come Bettina Rohr, studentessa di Zurigo che ha pianto durante la cerimonia, che “è stata davvero toccante”. E se un singolo ghiacciaio può commuovere, riflettere sul futuro che spetta alle Alpi intere (e a tutte le montagne del mondo) dovrebbe farlo a tal punto da smuovere le nostre coscienze.
“È difficile immagine un futuro senza ghiacciai alpini, se ci penso mi si spezza il cuore. Quello che rimane lassù una volta che il ghiaccio si è ritirato è un deserto di sassi”. E per prevenire che questo deserto invada il mondo intero, dobbiamo assicurarci che i nostri cuori non diventino di pietra a causa dell’indifferenza, ma che rimangano aperti alla speranza. Perché siamo ancora in tempo per non perdere i nostri ghiacciai per sempre, possiamo intervenire adesso per conservarne almeno una parte, e quindi l’essenza.
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