Vaste aree della barriera sono state vittima di uno sbiancamento di massa, simile a quelli che tra il 2016 e il 2017 ne distrussero quasi metà.
Chasing coral, il documentario sui coralli che ci fa sentire coinvolti
Chasing coral è un documentario di Netflix sui coralli. Negli ultimi 30 anni la metà è andata perduta, ma la speranza di salvare questi animali straordinari è viva. Qui ci sono i motivi per cui dovremmo guardarlo tutti.
Senza sfociare in spoiler, i momenti fondamentali che lasciano il segno guardando Chasing coral sono due. Il primo è quando si scopre che i coralli non sono solo degli esseri viventi, ma dei veri e propri animali estremamente complessi nella loro semplicità (e meraviglia) esteriore. Il corallo, infatti, è un animale fatto di tanti altri animali. “Un singolo corallo è composto da migliaia di piccole strutture chiamate polipi”, recita la biologa Ruth Gates nel documentario. “Ogni polipo ha una bocca circolare circondata da tentacoli che possono aggregarsi insieme a milioni in un solo corallo”.
La seconda è la diretta conseguenza della prima e svela quanto i coralli ricoprano un ruolo fondamentale per il benessere dell’ecosistema marino e, indirettamente, per il benessere dell’intero pianeta grazie a una relazione di simbiosi con ciò che li circonda. Un po’ lo stesso ruolo che hanno le foreste per la terraferma.
Impariamo la simbiosi dai coralli
“Per me la cosa più interessante della natura è la simbiosi. Due organismi diversi che si adattano l’uno all’altro per reciproco beneficio e che collaborano insieme”, racconta emozionato l’appassionato di coralli protagonista del documentario, Zack Rago. “Il primo esempio che mi viene in mente nel mondo marino è quello dell’anemone e del pesce pagliaccio. L’anemone fornisce protezione al pesce pagliaccio che ricambia procurando cibo all’anemone. È una relazione di mutuo scambio. Nel caso del corallo il discorso è più complesso. Il simbionte è incorporato nell’organismo e il corallo non esisterebbe senza queste minuscole cellule vegetali. Dipendono completamente gli uni dalle altre, da soli non esisterebbero. Questo rapporto di reciprocità per me è la cosa più interessante al mondo”.
Ci si sente coinvolti dall’inizio alla fine
È grazie a queste scoperte che la visione del documentario diretto da Jeff Orlowski, le cui riprese sono durate tre anni per un totale di oltre 500 ore di girato, prende una piega inaspettata. Da classica opera d’informazione e divulgazione, si trasforma in un dramma in grado di far immedesimare lo spettatore nei coralli e “immergerlo” nella realtà in cui vivono: la Grande barriera corallina al largo delle coste dell’Australia. Un dramma perché i protagonisti guidati dalla passione diventano testimoni diretti della malattia e poi della morte rapidissima di una moltitudine di coralli in giro per il mondo. Documentano per la prima volta il fenomeno del terzo sbiancamento globale avvenuto nel 2015 con l’uso di tecnologie avanzatissime, seguito al primo verificatosi tra il 1997 e il 1998 e al secondo avvenuto nel 2010. Tra il secondo e il terzo, dunque, sono trascorsi solo cinque anni. Nel giro di 30 anni la metà dei coralli di tutto il mondo è andata perduta.
Leggi anche: Quanti soldi vale la Grande barriera corallina
Perché i coralli sbiancano
Il fenomeno dello sbiancamento dei coralli è una delle innumerevoli conseguenze del riscaldamento globale, cioè dell’aumento della temperatura media, non solo dell’aria ma anche dell’acqua oceanica, causato dall’incremento delle emissioni di gas serra (come l’anidride carbonica o CO2) rilasciate in atmosfera per le attività degli esseri umani, come la combustione di petrolio e carbone. Gran parte dell’energia e del calore (il documentario parla del 93 per cento) causato dalle emissioni in eccesso è stato ed è tuttora trattenuto dagli oceani. Senza il contributo degli oceani saremmo già tutti “fritti” perché non staremmo a discutere di un aumento della temperatura media di 3-4 gradi entro fine secolo, ma avremmo già una temperatura intorno ai 50 gradi.
E le prime vittime di massa di questo fenomeno di riscaldamento e acidificazione degli oceani sono proprio i coralli che subiscono lo sbiancamento prima e la morte poi. I coralli sbiancano perché si ammalano e la loro reazione a questa “febbre” è perdere il loro colore unico assumendo una comune tonalità bianca e brillante, fluorescente, quasi a voler richiamare l’attenzione del mondo esterno sul loro stato di salute. Quando sono bianchi, sono ancora vivi e aspettano invano che qualcuno possa prendersi cura di loro. Uno dei primi studiosi di questo fenomeno è stato il professore australiano Ove Hoegh-Guldberg che in Chasing coral racconta di come verso la fine degli anni Novanta sia stato persino ridicolizzato per le sue pubblicazioni che teorizzavano lo sbiancamento dei coralli come uno dei segnali più evidenti dei cambiamenti climatici e del riscaldamento globale.
Dopo lo sconforto, la speranza
Nonostante i momenti di sconforto e di commozione, il documentario si chiude con un appello colmo di speranza. Spinge gli spettatori a continuare a documentarsi oltre l’ora e mezza della pellicola. Ad esempio, facendosi promotori di una proiezione di Chasing coral nella propria città, diffondendo informazione di qualità attraverso i social network. Per questo su chasingcoral.com è a disposizione di chiunque una guida sui passi da seguire per ridurre l’impatto della propria vita e della propria comunità attraverso la promozione dell’uso di energia rinnovabile – uno degli strumenti più utili e semplici da adottare per contrastare i cambiamenti climatici che LifeGate offre dando la possibilità a tutti di scegliere per la propria abitazione solo energia rinnovabile prodotta in Italia. Inoltre sul sito è possibile trovare alcune pratiche corrette da mettere in atto quando ci si reca in un ambiente marino e si compiono attività come nuotare, fare immersioni o navigare in mare aperto.
Ognuno di noi può diventare ambasciatore e portavoce dei coralli informando e chiedendo alle istituzioni locali e nazionali di agire per tagliare le emissioni di CO2 attraverso un miglioramento dell’efficienza e una rapida transizione verso forme di energia pulita. Per tutti questi motivi e per le emozioni che stimola, Chasing coral è un documentario universalmente imperdibile. Non solo per chi ha a cuore le sorti delle future generazioni, delle specie animali e vegetali che popolano gli ecosistemi. Per chi ha a cuore le sorti della Terra, l’unica che abbiamo.
Siamo anche su WhatsApp. Segui il canale ufficiale LifeGate per restare aggiornata, aggiornato sulle ultime notizie e sulle nostre attività.
Quest'opera è distribuita con Licenza Creative Commons Attribuzione - Non commerciale - Non opere derivate 4.0 Internazionale.
Nuove foto scattate vicino a Palm Island documentano il fenomeno dello sbiancamento dei coralli che minaccia la sopravvivenza di questo straordinario ecosistema.
Gli scienziati australiani provano una sorta di “evoluzione assistita” per aiutare la barriera corallina ad adattarsi al riscaldamento globale.
In caso di allerta meteo, i lavoratori spagnoli avranno diritto a un congedo climatico retribuito che può durare fino a quattro giorni.
Uccello migratore della famiglia degli scolopacidi, il chiurlottello non è più avvistato dal 1995. Uno studio lo considera estinto al 96 per cento.
Finanza climatica, carbon credit, gender, mitigazione. La Cop29 si è chiusa risultati difficilmente catalogabili in maniera netta come positivi o negativi.
Approvato il testo sulla finanza climatica. Al sud del mondo la promessa di 300 miliardi di dollari all’anno: molto meno del necessario.
Mentre i negoziati alla Cop29 di Baku sono sempre più difficili, i paesi poveri e le piccole nazioni insulari sospendono le trattative.
Pubblicati i nuovi testi alla Cop29 di Baku. C’è la cifra di 1.300 miliardi di dollari, ma con un linguaggio molto vago e quindi debole.