La storia di Agitu Ideo Gudeta è da raccontare: era attivista per l’ambiente in Etiopia e grazie alla sua azienda agricola ridava vita alle montagne abbandonate del Trentino.
Non si può parlare di tutela ambientale senza amare il proprio territorio e chi lo vive: esseri umani, piante e animali. Soprattutto quando quella porzione di terra la senti tua, per adozione. Questo faceva Agitu Ideo Gudeta, pastora e rifugiata etiope a Frassilongo, nella valle dei Mocheni (nome di una specie rara di capre), in Trentino, dove dirigeva un’azienda agricola.
La sera del 29 dicembre Ideo Gudeta, che avrebbe compiuto 43 anni il primo gennaio, è stata uccisa nella sua casa. È l’ennesimo femminicidio del 2020.
La storia di Agitu Ideo Gudeta, la donna etiope trovata uccisa in provincia di Trento, parlava di emigrazione, accoglienza, integrazione, valorizzazione del territorio, amore per la terra e gli animali, autonomia e libertà femminile, di nuove radici. https://t.co/GY5CpIeBq0pic.twitter.com/QlbwhTdUBW
Ideo Gudeta sarebbe vittima di femminicidio secondo quanto emerso dall’interrogatorio del suo presunto assassino di nome Adams Suleiman, 32 anni, un suo dipendente di origine ghanese arrestato dai Carabinieri. La donna da circa tre anni aveva infatti preso con sé Suleiman, pastore, aiutandolo e accogliendolo come collaboratore per l’azienda agricola. È stato il carnefice stesso a confessare, parlando di un problema di soldi e di uno stipendio non corrisposto. In seguito ha raccontato di avere anche abusato della vittima.
Se queste sono state le ultime ore di Ideo Gudeta, la sua è una storia importante da raccontare, oggi ancora di più, perché lei è un esempio di integrazione perfettamente riuscita nella comunità e di impegno per l’ambiente. Agitu Ideo Gudeta allevava capre e produceva formaggi e ricotte in montagna. Ma l’attività di La capra felice, questo il nome della sua azienda agricola, rappresenta molto più. Quando si svegliava alle 4 del mattino per condurre le sue capre al pascolo, riportava alla vita le montagne abbandonate d’Italia.
La lotta per la terra in Etiopia
Il destino ha messo due volte l’Italia sulla sua strada. Era arrivata ad appena 18 anni, si era laureata a Trento in sociologia ed era tornata in Etiopia, impegnandosi contro il land grabbing, ovvero l’accaparramento delle terre da parte di multinazionali e Paesi stranieri per sfruttarle spesso con monoculture estranee e intensive, cacciando i contadini locali. Il suo impegno l’aveva resa invisa al governo. A rischio di arresto e minacciata di morte, ma anche da una guerra che nel Corno d’Africa continua violenta da anni e che anche nelle ultime settimane ha infuriato nella regione etiope del Tigré, nel 2010 ha deciso di lasciare il paese tornando in Trentino.
L’attivismo ambientatale in Trentino e “La capra felice”
Nelle impervie valli del Trentino, ha chiaro che cosa fare, e compie una scelta, eredità della sua cultura: si dedica all’allevamento delle capre. Da cittadina che ha acquisito i saperi e i sapori delle terre di adozione. Così inizia recuperando, come avrebbe voluto fare nella sua Etiopia dalle grinfie delle multinazionali, terre abbandonate e razze di capre in via di estinzione, come la capra Mochena.
Questo è stato un percorso, un viaggio, che per anni ha custodito come un sogno, mentre si manteneva lavorando come barista. Poi è diventato realtà con la fondazione della sua azienda La capra felice: undici ettari, un centinaio di capre, latte, formaggi, yogurt, tutto rigorosamente biologico. Questo è anche un progetto sostenibile: le razze di capra autoctone, come la Mochena, hanno bisogno di mangiare poco per produrre molto latte, senza doverle nutrire con dei mangimi. Negli ultimi anni – ma anche durante la pandemia con numeri ridotti – molti ragazzi trentini sono saliti al pascolo, per imparare a curare e ad allevare le capre. Ed era straordinario che lo facessero da lei, donna che nutriva un profondo amore e rispetto per il territorio in cui viveva. E a cui dava vita.
Un esempio di integrazione
Negli anni a La capra felice sono arrivati anche i riconoscimenti come quello per la resistenza casearia di Slow Food e il miglior prodotto per il Trentino. Nel 2015 i suoi formaggi hanno rappresentato la regione all’Expo di Milano. Tra i suoi obiettivi c’era quello di proteggere le sue capre dagli attacchi degli orsi. Ma uno dei problemi che ha dovuto affrontare erano gli attacchi razzisti nei suoi confronti. Insulti e minacce, reiterati nel tempo, di danneggiamenti ai suoi terreni, al suo bestiame e a lei stessa. Questo l’ha convinta a denunciare nell’agosto del 2018 un suo vicino – italiano – che viene arrestato per le minacce e le aggressioni razziste e condannato per lesioni a nove mesi di carcere. L’accusa di stalking finalizzato alla discriminazione razziale invece è stata lasciata cadere, contrariamente a quanto aveva chiesto il pm.
Ma Ideo Gudeta ancora una volta aveva reagito positivamente. Nel suo profilo Facebook solo pochi giorni fa aveva scritto: “Buon Natale a te che vieni dal sud, buon Natale a te che vieni dal nord, buon Natale a te che vieni dal mare, buon Natale per una nuova visione e consapevolezza nei nostri cuori”. Questa era Agitu Ideo Gudeta, che in Trentino aveva trovato e costruito con convinzione una nuova vita sostenibile, attenta all’ambiente e al prossimo.
Una indagine della Fondazione Libellula mette in luce il gap di genere sul lavoro: una donna su due sperimenta (anche spesso) molestie e discriminazioni
Sono già 51 i femminicidi in Italia a meno della metà del 2022, l’anno scorso erano stati 109. E al Senato è polemica per le audizioni di ‘negazionisti’
Quello della tennista Peng Shuai è diventato un caso internazionale dopo le accuse di molestie sessuali a un esponente di punta del governo di Pechino.
“Caro Stato, tu fai cose bellissime, ma c’è una cosa su cui dovresti impegnarti di più”. A Che tempo che fa, Luciana Littizzetto lancia un appello contro il femminicidio.
Nel 2021 in Italia sono state uccise già 109 donne: quasi tutti casi di femminicidio. Si inverte un trend che vedeva in calo la violenza contro le donne.
Per la Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne, WeWorld ha pubblicato un report che cerca di far luce sulle cause profonde di questa violazione dei diritti umani.