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Comprendere l’epigenetica fornisce gli strumenti per restare in salute. Dall’alimentazione allo stile di vita, scopriamo come influire positivamente sul nostro patrimonio genetico.
Tra i temi scientifici di interesse biomedico, l’epigenetica spicca per l’indubbio fascino e per la complessità dei meccanismi coinvolti. Ne abbiamo parlato con il Dottor Attilio Speciani, medico chirurgo e specialista in allergologia e immunologia clinica.
L’epigenetica è la branca della genetica che si occupa non solo dei nostri geni, ma anche di ciò che ne influenza il comportamento o, per meglio dire, l’espressione, senza impattare sulla loro sequenza. “Genes are not your destiny”, è la frase utilizzata da Speciani per introdurre il significato essenziale di epigenetica, enfatizzando la natura malleabile del nostro Dna. “Un gene è come un interruttore in una fabbrica: una volta schiacciato, fa partire un’azione produttiva. Il nostro organismo dispone di circa ventimila geni, ma le azioni produttive, che sono le proteine, sono oltre centomila. Ciascun gene quindi può dare origine a più azioni differenti, a seconda dell’ambiente circostante. Tutti sappiamo, per esempio, che fare attività fisica aiuta a dimagrire. Il gene della lipoproteina lipasi, a tal proposito, è un enzima implicato nella gestione dei grassi. Quando ci muoviamo, il gene promuove, a livello muscolare, l’utilizzo dei grassi a scopo energetico. Al contrario, in assenza di attività fisica, lo stesso gene favorisce l’accumulo del grasso a livello addominale e nelle arterie. Il gene è dunque lo stesso, ma viene influenzato, in modo epigenetico, da uno stile di vita attivo o sedentario”, chiarisce Speciani.
“Un altro esempio tangibile è rappresentato da due gemelli monozigoti che conducono uno stile di vita opposto. Essi posseggono un patrimonio genetico identico. Tuttavia, quello che, tra i due, fuma, mangia male e non fa sport, si ammalerà più facilmente di alcune malattie per cui è predisposto geneticamente, come il diabete. L’altro, che si dedica alle sane abitudini, tenderà a restare in salute nonostante la predisposizione”.
L’epigenetica è dunque l’ambiente: ossia la nostra dieta, il nostro stile di vita, le nostre emozioni, l’aria che respiriamo. Scelti in modo oculato e personalizzato, questi elementi possono determinare un cambiamento nell’azione dei geni.
Attilio Speciani
Cosa accade a livello microscopico? Per quanto sia infinitamente piccolo, il materiale genetico presenta fattezze ben definite, e le modifiche che lo coinvolgono richiedono altri “attori” molecolari. Essi agiscono a livello strutturale, sia sul Dna che sulle proteine a cui questo è legato, favorendo o meno l’espressione di un gene. In tale contesto, “esprimere” significa determinare la sintesi (dopo i processi di trascrizione e traduzione) di un proteina, che, a sua volta, andrà a svolgere le funzioni a cui è deputata. In sostanza, quello che può verificarsi è:
Le modifiche epigenetiche sono reversibili e, molto spesso, agiscono in cooperazione nel modulare l’espressione dei geni. Inoltre, esse sono ereditabili e possono dunque trasmettersi alle generazioni successive. Tuttavia, le modifiche epigenetiche restano reversibili anche quando ereditate, preservando la flessibilità adattativa dell’organismo alla variabilità ambientale. Cosa significa? Che se passiamo da un cattivo stile di vita a uno buono, avremo presto un’espressione dei geni positiva che ci farà sentire meglio e potrà poi anche essere trasmessa ai figli che verranno. Ma se poi torniamo a un peggior stile di vita, perderemo i benefici ottenuti in precedenza. E questo vale anche per i nostri figli: dovranno sapere conservare con il corretto stile di vita i benefici che hanno ereditato.
Elementi esterni e modificabili, di origine ambientale, possono dunque interagire col genoma e impattare sull’espressione dei geni. L’insieme eterogeneo di tali fattori è noto come esposoma e comprende, in modo importante, anche le abitudini alimentari.
“Come gruppo di ricerca, stiamo lavorando sullo studio specifico della glicazione, ovvero di quello che l’eccesso individuale di zuccheri determina nell’organismo, e sull’infiammazione legata alla ripetizione alimentare”, spiega Speciani. “L’eccesso di carboidrati, sbilanciato rispetto all’apporto proteico, determina dei picchi glicemici che interferiscono col Dna e con gli stessi geni, facilitando l’insorgenza delle patologie degenerative. Nel nostro piccolo, condurre un’alimentazione bilanciata, col giusto apporto di proteine, carboidrati e fibre, riduce lo stimolo glicemico e diminuisce l’infiammazione. In tali condizioni, i geni funzionano come dovrebbero. Tra le altre cose, anche l’abuso di alimenti ultraprocessati (come i tipici cereali da prima colazione commerciali o le bibite dolcificate) favorisce, in modo progressivo, la possibilità di degenerazione cellulare e, quindi, di cancro. Volendo fornire una stima quantitativa: per ogni percentuale in più nel consumo di cibi ultraprocessati si evidenzia un aumento anche dell’8-10 per cento della possibilità di ammalarsi di patologie tumorali, come il cancro al seno. Al contrario, consumare questi prodotti in minore quantità riduce in modo molto significativo la mortalità correlata a tutte le cause”, aggiunge.
“Tornando alla nostra frase, genes are not your destiny, esiste anche una buona notizia: le persone che hanno una predisposizione genetica a determinate patologie sono le stesse che guariscono in modo molto più rapido, rispetto agli altri, purché facciano le scelte giuste. È come se vi fosse, alla base di ciò, un meccanismo biunivoco”, conclude Speciani.
Riprendendo un aspetto discusso dal biologo naturalista Daniel Lumera, durante l’incontro “Nutrire il benessere”, nell’ambito del progetto Food Forward, anche la meditazione può assumere un significato epigenetico. Da tempo si suggerisce che le pratiche di mindfulness, finalizzate al raggiungimento del “silenzio mentale”, possano avere ripercussioni notevoli sulla salute complessiva.
Indagini mirate, tra l’altro, hanno mostrato come la meditazione possa ridurre i livelli circolanti di ormone dello stress (cortisolo) e di specie reattive dell’ossigeno, ma anche stimolare la produzione di mediatori antinfiammatori e di endorfine. Alcuni autori suggeriscono che la base di tali effetti sia da ricercare nei cambiamenti indotti, da tali pratiche, nell’espressione di specifici geni.
In tale contesto, anche le emozioni, gli stati mentali e il modo di gestire le relazioni interpersonali, possono impattare sulla biologia del corpo e sulla nostra salute.
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