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Il Parco nazionale Patagonia, in Cile, è stato ufficializzato dal nuovo governo con 304.527 ettari di terra protetti. 5.000 in meno rispetto alle promesse del governo precedente, proprio in un’area dove si vuole portare avanti un progetto per l’estrazione di oro e argento.
Il cuore del sud del Cile è uno scenario di paesaggi spettacolari, dall’arida steppa patagonica ai boschi verdi e i laghi glaciali, ed è casa di numerose specie endemiche come l’iconico guanaco, un simpatico camelide molto simile al lama che abita queste distese sconfinate. È proprio qui che lo scorso anno era stata annunciata dall’ex presidente Michelle Bachelet la nascita di una nuova riserva naturale, il Parco nazionale Patagonia, nella provincia di Chile Chico nella regione di Aysén, che avrebbe contribuito alla creazione di una delle aree protette più grandi del mondo. Da dicembre 2018 il parco è diventato realtà, con i suoi 304.527 ettari di terra. Peccato, però, che gli accordi parlavano di 309.445 ettari.
Infatti, la creazione del parco era stata annunciata il 29 gennaio 2018 dall’allora presidente del Cile Michelle Bachelet, prima donna a ricoprire tale carica nel paese con il suo primo mandato del 2006 e che ora svolge il ruolo di presidente dell’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i diritti umani. A marzo 2018, dopo le elezioni nel paese, la guida del governo ha cambiato bandiera, con un nuovo esecutivo di destra con a capo il presidente Sebastián Piñera. Il nuovo governo, quindi, ha ufficializzato con grande orgoglio il nuovo parco nazionale nella Gazzetta ufficiale dell’11 dicembre 2018, celebrando i 304.527 ettari protetti, che sono però 5.000 in meno rispetto agli accordi presi dal governo precedente.
Non a caso, proprio nella zona rimasta fuori dalla protezione del parco, l’azienda mineraria australiana Equus Mining aveva condotto rilevamenti e iniziato le esplorazioni già nel 2017 per avviare Los Domos, un progetto d’estrazione di oro e argento portato avanti dal braccio operativo in Sudamerica dell’azienda, la Southern Gold. Il piano sarebbe composto da 19 piattaforme di perforazione grazie a dodici concessioni minerarie e, secondo le stime, muoverebbe investimenti per 1,4 miliardi di dollari.
Era quindi noto alle organizzazioni ambientali e del turismo locali, preoccupate per l’impatto del progetto, che l’area era di grande interesse per l’industria mineraria su cui il governo locale punta. Infatti, pare fossero state fatte diverse azioni di lobbying per mantenere l’area al di fuori del parco e poter continuare con le attività estrattive. Inoltre, il ministro dei Beni nazionali Felipe Ward ha dichiarato di aver raggiunto un accordo storico per rispettare gli interessi di tutti dopo aver incontrato il sindaco del comune di Chile Chico Ricardo Ibarra. “Stiamo facendo un passo verso l’unità”, ha commentato Ibarra. “Questa non è una vittoria per solo uno dei settori, è una vittoria per Cile Chico e tutti sono chiamati a farne parte”.
Quello che non è ancora chiaro della vicenda, però, è se alcune attività e alcune valutazioni dell’impatto ambientale del progetto siano state oggetto di irregolarità. Per questo motivo è ora in corso un’investigazione da parte dell’organo del governo di controllo ambientale (la Superintendencia del medio ambiente, Sma), come riportato dall’organizzazione ambientale Codeff. “Un settore produttivo non può crescere al costo degli altri”, ha commentato la Federazione del turismo di Aysén. “È necessario optare per attività che non mettano la sostenibilità a rischio“. Anche le popolazioni locali si sono mobilitate al grido di “Chile sin más mineras”, Cile senza più miniere.
La creazione del Parco nazionale Patagonia, avvenuta grazie alla collaborazione del governo con la Fondazione Douglas Tompkins che ha fatto la donazione di terreno più grande della storia, aveva permesso il completamento della rete di parchi nazionali e la nascita della Ruta de los Parques de la Patagonia, una strada unica che percorre e unisce, per più di 2.800 chilometri, 17 aree protette del paese. Un’azione che aveva presentato il Cile come pioniere ed esempio a livello internazionale di come la collaborazione tra pubblico e privato in nome della protezione dell’ambiente possa funzionare, avendo un impatto positivo sulla biodiversità, sull’economia e sulle popolazioni locali.
Sebbene cinquemila ettari possano sembrare un numero esiguo in confronto alla superficie di terre tutelata nel paese, il braccio di ferro tra l’industria estrattiva e il settore della conservazione della natura fa capire che la posta in gioco è alta e stona con il percorso che ha intrapreso il Cile in termini di sostenibilità. La speranza, ora, è che il nuovo governo non faccia marcia indietro minacciando uno dei luoghi ancora incontaminati e selvaggi del mondo e capisca che la ricchezza della natura è inestimabile e preziosa, più dell’oro.
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