La Cina, a corto di energia, ripiega sulle centrali a carbone. Gli investimenti esteri sono stati bloccati, ma 27 centrali in costruzione saranno ultimate.
La Cina, che da sola genera il 30 per cento delle emissioni annue globali, ha promesso di raggiungere la carbon neutrality entro il 2060.
Gli investimenti nelle centrali a carbone all’estero sono stati bloccati, ma decine di strutture erano già in costruzione e verranno ultimate per rispettare gli accordi contrattuali.
Nei primi sei mesi del 2022 l’amministrazione di Pechino ha dato il via libera a un incremento pari a 15 gigawatt della capacità delle centrali a carbone nel territorio nazionale.
Nel 2020 la Cina ha stupito la comunità internazionale quando ha promesso di raggiungere il picco delle emissioni nel 2030 per poi raggiungere la carbon neutralityentro il 2060. Un traguardo che è fissato dieci anni dopo rispetto all’Unione europea ma che rappresenta comunque una grande ambizione, visto che oggi la Cina, da sola, genera il 30 per cento delle emissioni annue globali. Ma questo solenne impegno per il clima è compatibile con i continui investimenti nelle centrali a carbone, dentro e fuori dai confini nazionali?
Che fine faranno le centrali di carbone finanziate dalla Cina all’estero
Mancavano poche settimane all’inizio della ventiseiesima Conferenza mondiale sul clima delle Nazioni Unite (Cop 26) quando il presidente cinese Xi Jinping ha diramato un annuncio di portata, potenzialmente, storica: la Cina non avrebbe più finanziato la costruzione di centrali a carbone all’estero.
A un anno di distanza, un report redatto da due think tank (Center for research on energy and clean air e People of Asia for climate solutions) fa il punto della situazione. Scoprendo che, all’epoca della dichiarazione di Xi Jinping, le centrali già pianificate o in costruzione grazie ai capitali cinesi erano più di un centinaio, disseminate in 26 paesi, per una capacità complessiva di 102 gigawatt.
26 sono state cancellate, evitando così l’emissione in atmosfera di altri 85 milioni di tonnellate di CO2 all’anno. Altre 33 sono in attesa di finanziamenti o permessi: se anch’esse venissero fermate, come appare probabile, si risparmierebbero altri 172 milioni di tonnellate di CO2 all’anno. Sono soprattutto nei paesi vicini come Laos e Vietnam.
Altre 16, con una capacità complessiva di 17 gigawatt, devono essere costruite per rispettare gli obblighi contrattuali: c’è però ancora la possibilità di convertirle in impianti di produzione di energia da fonti rinnovabili. Tra di essi c’è anche la centrale da 1.320 megawatt che una joint venture cinese e bengalese vuole costruire a Patuakhali, in Bangladesh, in un distretto in cui se ne vogliono costruire altre cinque. E che è già inquinato a tal punto da risultare quasi invivibile.
Infine ci sono le centrali a carbone all’estero per cui è ormai troppo tardi. 27 sono state quasi ultimate e riverseranno ogni anno in atmosfera 104 milioni di tonnellate di CO2, più di quelle dell’intera economia del Bangladesh nel 2020. Altre 14 sono entrate in funzione dopo l’annuncio di Xi Jinping.
A year after President Xi Jinping promised China would stop building coal power plants abroad, the country has completed 14 such facilities beyond its borders and will finish another 27 soon, according to a new report https://t.co/xrBD3rpwge
Che dire, invece, della produzione di energia dal carbone nel territorio cinese? Stando alle promesse del governo, l’uso del carbone dovrebbe rappresentare soltanto una soluzione ponte per sopperire all’intermittenza delle fonti rinnovabili, e dovrebbe essere in ogni caso ridotto dal 2026. Negli ultimi mesi, però, le fabbriche si sono trovate costrette a razionare l’energia, per l’insufficienza dell’offerta unita alle condizioni meteo estreme. Così, la China energy engineering ha ritoccato al rialzo i suoi piani, promettendo di aggiungere altri 270 gigawatt di capacità termica entro il 2025.
Almost a third of the new coal mines planned for the world are in China https://t.co/awrVjhBAax
Le riserve di carbone ci sono: stando al ministero delle Risorse naturali, sono sufficienti per andare avanti per i prossimi cinque decenni a bruciarlo ai ritmi attuali. E nell’arco del primo semestre del 2022 l’amministrazione di Pechino ha supportato attivamente le centrali a carbone, erogando permessi per incrementare di 15 GW la loro capacità, una quantità in aumento rispetto al 2021. Questo revival del carbone rappresenta un rischio per gli obiettivi climatici cinesi nel lungo termine, fa notare a Reuters un ricercatore del Centre for research on energy and clean air (Crea). Ma il rischio è anche economico. Man mano che andrà avanti la transizione energetica, infatti, queste costosissime strutture rischiano di non valere più nulla, trasformandosi in ciò che gli esperti chiamano stranded assets.
La comunità energetica nata all’inizio degli anni Duemila è diventata un porto sicuro nella Florida esposta alla minaccia degli uragani, grazie a una pianificazione efficiente basata su innovazione e fonti rinnovabili.