La Cina lancerà il prossimo 1 febbraio un proprio mercato interno dei “diritti ad inquinare”. Si tratta di un sistema attraverso il quale le aziende saranno obbligate a pagare in funzione delle emissioni di biossido di carbonio rilasciate nell’atmosfera a causa delle loro attività. Un meccanismo simile all’Emission trading system (Ets) che è stato adottato già da anni all’interno dell’Unione europea.
China’s national emissions trading scheme could become a significant lever for climate action, but experts warn that it will do little to curb emissions in the short term.
Si tratta di una novità che, potenzialmente, potrebbe modificare profondamente i metodi di produzione del colosso economico asiatico, convincendo le aziende ad adottare criteri più stringenti dal punto di vista ambientale e climatico. Chi è più virtuoso potrà infatti vendere i diritti inutilizzati ad altri, innescando teoricamente un processo virtuoso. Teoricamente, perché tutto dipenderà dall’efficacia di tale sistema di scambio delle emissioni. Lo stesso Ets europeo, infatti, a lungo è stato criticato dalle organizzazioni non governative (e non solo), poiché i costi dei “diritti ad inquinare” – decisi da dinamiche di mercato – risultavano irrisori. Il risultato era che per le aziende la necessità di acquisire tali diritti non fungeva da deterrente.
Nel caso della Cina, in particolare, il sistema dovrà essere in grado di accompagnare la nazione verso l’obiettivo che si è fissata in termini climatici. Ovvero raggiungere la carbon neutrality, l’azzeramento delle emissioni nette di CO2, entro il 2060. Ad oggi, però, il 60% della produzione cinese di energia è ancora legata al carbone, la fonte fossile in assoluto più nociva in termini di emissioni climalteranti. È probabile, in questo senso, che sul governo cinese sarà esercitata una forte pressione da parte dei grandi gruppi. Che chiederanno, appunto, di non far gravare improvvisamente costi troppo elevati sui loro business.
Coal imports totaled 39.08 million tons in December 2020, up 234.8 percent from a month earlier and skyrocketing from only 2.77 million tons in December in 2019, data from the General Administration of Customs showed. #CIIEhttps://t.co/2sqDP5dTxKpic.twitter.com/hHxoWPMmnJ
— China International Import Expo (@ciieonline) January 19, 2021
La Cina è ancora fortemente legata al carbone
Il mercato delle emissioni cinese, in ogni caso, verrà applicato unicamente al settore dell’energia. Si stima che possa arrivare a coprire quindi un terzo delle emissioni di gas ad effetto serra della nazione asiatica. Ciò che è certo, dunque, è che da solo il sistema non potrà bastare per consentire a Pechino di fare compiutamente la propria parte nella battaglia contro i cambiamenti climatici. Anche e soprattutto tenendo conto del fatto che la Cina ha emesso da sola, nel 2019, il 29 per cento dei gas ad effetto serra rilasciati nell’atmosfera in tutto il mondo. Pari a 14 miliardi di tonnellate equivalenti di CO2.
Hong Kong, Taiwan, clima, pandemia e nuovo modello di sviluppo. Il discorso di Xi Jinping che lo porterà quasi certamente di nuovo alla guida della Cina.
Cosa significano le elezioni americane 2020 per gli altri paesi? Abbiamo raccolto alcune reazioni da tutto il mondo sui temi di sostenibilità sociale, ambientale ed economica.
Il presidente della Cina Xi Jinping ha sorpreso la comunità internazionale, fissando l’obiettivo della carbon neutrality al 2060. Ora si attendono dettagli sul piano.
La Cina dovrà trovare altrove la grande quantità di soia che importava dagli Usa e il principale candidato è il Brasile, che per incrementare le sue esportazioni agricole dovrà abbattere grandi aree di foresta.