A poche settimane dall’avvio della ventiseiesima Conferenza mondiale sul clima delle Nazioni Unite (Cop 26), e pochi giorni dopo l’annuncio da parte della stessa Onu dell’insufficienza delle promesse di riduzione delle emissioni avanzate dai governi, da Cina e Stati Uniti arrivano – per lo meno – due buone notizie. Nel corso dell’ultima Assemblea generale delle Nazioni Unite, Xi Jinping, presidente della potenza asiatica (prima nazione al mondo in termini di emissioni di gas ad effetto serra) ha annunciato che smetterà di finanziare la costruzione di centrali a carbone all’estero.
La Cina ha costruito centrali a carbone in numerose nazioni
“Rafforzeremo il sostegno concesso agli altri paesi al fine di sviluppare una produzione di energia verde e a basso impatto”, ha specificato il leader di Pechino. Certo, si tratta di un annuncio soltanto parziale: la Cina, benché abbia sviluppato notevolmente le fonti rinnovabili, continua a sfruttare in patria il combustibile fossile più dannoso in assoluto per il clima. Ma la notizia non può che essere accolta con favore. Anche per le dimensioni in gioco.
Secondo un rapporto del 2019 dell’Institute for energy, economic and financial analysis, ben un quarto dei finanziamenti concessi dalla Cina per nuovi progetti di centrali a carbone riguardava cantieri previsti al di fuori del territorio della nazione asiatica. In particolare, il governo di Pechino aveva investito enormi quantità di denaro per nuovi siti in Vietnam, Bangladesh, Indonesia e altre nazioni.
Alok Sharma: “Il carbone ha i giorni contati”
La notizia è stata accolta con favore da Alok Sharma, presidente della Cop 26, che in un tweet ha commentato: “Il carbone ha i giorni contati. Alla Conferenza di Glasgow dobbiamo renderlo il passato”.
It is clear the writing is on the wall for coal power
I welcome 🇨🇳 President Xi’s commitment to stop building new coal projects abroad – a key topic of my discussions during my visit to China
Al contempo un annuncio di non poco conto è arrivato dagli Stati Uniti. Il presidente Joe Biden, sempre nel corso dell’Assemblea generale, ha dapprima confermato gli impegni assunti da Washington sul clima. Quindi ha promesso di raddoppiare i trasferimenti concessi alle nazioni più vulnerabili di fronte ai cambiamenti climatici. È noto infatti come questi ultimi siano causati in larghissima parte dal mondo sviluppato, ma gli impatti del riscaldamento globale gravano soprattutto sulle nazioni più povere.
Joe Biden promette di raddoppiare i trasferimenti alle nazioni più vulnerabili
Per questo, alla Cop 15 di Copenaghen, nel 2009, furono promessi trasferimenti per 100 miliardi di dollari all’anno dal nord al sud del mondo. Una cifra che, tuttavia, non è mai stata stanziata per intero. Di recente, il segretario generale dell’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (Ocse), Mathias Cormann, ha fatto sapere che neppure nel 2019 la quota minima ipotizzata 12 anni fa è stata raggiunta. Il mondo ricco ha concesso solamente 79,6 miliardi di dollari. E anche per il 2020 le prime stime non sono positive.
Se l’annuncio di Biden fosse rispettato, dagli Stati Uniti dovrebbero arrivare a sborsare 11 miliardi di dollari. “Grazie al nostro contributo, e ad un aumento degli stanziamenti anche di soggetti privati, potremo raggiungere i 100 miliardi”, ha affermato il presidente americano. Una posizione che si spera possa facilitare i negoziati alla Cop 26, dal momento che il nodo-finanziamenti è stato oggetto di scontro tra i governi nel corso delle ultime conferenze.
Si parla tanto di finanza climatica, di numeri, di cifre. Ma ogni dato ha un significato preciso, che non bisogna dimenticare in queste ore di negoziati cruciali alla Cop29 di Baku.
Basta con i “teatrini”. Qua si fa l’azione per il clima, o si muore. Dalla Cop29 arriva un chiaro messaggio a mettere da parte le strategie e gli individualismi.