
La mancanza di dati ufficiali è un problema per il controllo del mercato legale di animali, soprattutto per le catture di quelli selvatici.
La Cina ha rimosso le scaglie di pangolino dall’elenco degli ingredienti consentiti per la medicina tradizionale.
È il mammifero più bracconato del pianeta, è stato accusato di aver trasmesso la Covid-19 agli esseri umani, le sue scaglie cornee vengono impiegate nella medicina tradizionale asiatica per curare, senza alcun risultato, praticamente qualsiasi cosa, dalla carenza di latte materno all’artrite, e a causa del bracconaggio tutte e otto le specie esistenti sono a rischio estinzione. Eppure, finalmente, per il pangolino c’è un barlume di speranza. La Cina, il principale responsabile del declino globale dei pangolini, ha infatti finalmente rimosso le scaglie di questi animali dall’elenco degli ingredienti approvati per la medicina tradizionale.
La farmacopea 2020 non include dunque, per la prima volta da decenni, le scaglie di pangolino. La notizia, riportata dal quotidiano cinese Health Times e che non è stata ancora ufficializzata dalle istituzioni, è giunta pochi giorni dopo che il governo cinese aveva annunciato il miglioramento dello status di tutela del pangolino, che d’ora in avanti godrà del massimo grado di protezione, proprio come il panda.
“È un segnale molto incoraggiante – ha commentato Zhou Jinfeng, segretario generale della China biodiversity conservation and green development foundation (Cbcgdf), organizzazione che da anni si batte per la tutela dei pangolini -. I nostri continui sforzi non sono stati vani”.
Ogni anno, secondo quanto riportato da WildAid, in Asia vengono consumati circa 200mila pangolini, cacciati sia per le scaglie che per la carne, e tonnellate di scaglie vengono confiscate alle frontiere. Tutte le specie di pangolino sono infatti inserite nell’Allegato I della Cites, che vieta qualsiasi spostamento transfrontaliero di animali o di parti del loro corpo per scopi commerciali.
“Il divieto di usare scaglie di pangolino nella medicina tradizionale potrebbe essere la misura più efficace mai adottata per salvare i pangolini”, ha affermato Peter Knights, Ceo di WildAid.
La Environmental investigation agency, ong britannica nata per indagare sui crimini contro la fauna selvatica e l’ambiente, ha però smorzato l’entusiasmo evidenziando che non è ancora chiaro se le scaglie di pangolino siano state rimosse, oltre che dall’elenco degli ingredienti relativi alla medicina tradizionale, anche dalla sezione degli ingredienti usati per i farmaci brevettati. Se così non fosse, parte della farmaceutica cinese potrebbe continuare ad impiegare i pangolini.
Casi analoghi, ha riferito l’organizzazione, si sarebbero già verificati in passato con ossa di leopardo e bile d’orso. Non è inoltre chiaro cosa farà la Cina con le sue scorte di scaglie di pangolino. In passato, le aziende sono state in grado di attingere alle scorte anche dopo che i prodotti sono stati vietati, senza fornire dati sulla quantità delle rimanenze e creando ambiguità.
China’s widely publicised new #pangolin protections might not mean a total ban on use of the species https://t.co/cHqnnKFits #China #TCM #EndPandemics @CITES pic.twitter.com/XEn9zTPcVD
— Environmental Investigation Agency (@EIA_News) June 11, 2020
Se i pangolini, per decenni strappati dai loro habitat, rinchiusi in gabbie anguste e trafficati da una nazione all’altra, godranno di maggiore protezione, lo dovranno anche al coronavirus. Gli animali sono infatti sospettati di essere stati l’ospite intermedio che ha trasmesso il virus all’uomo. Grazie alla pressione internazionale, scaturita dopo che il legame tra la pandemia e lo sfruttamento della fauna selvatica è diventato evidente, la Cina ha annunciato il divieto permanente al commercio di fauna selvatica (relativo al consumo della carne degli animali, ma non all’impiego di parti dei loro corpi per la medicina tradizionale). Il prossimo anno la Cina dovrebbe approvare le revisioni alla legge sulla protezione della fauna selvatica, rendendo più chiara la situazione.
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