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“Noi sappiamo lottare”: il cinema poetico del regista yanomami Morzaniel Ɨramari
Morzaniel Ɨramari è uno dei più importanti registi indigeni brasiliani. Il suo cinema è un’immersione nella vita e cultura di una delle principali popolazioni indigene della foresta amazzonica.
“Questo albero, Mãri hi, fa in modo che il sogno non stia fermo. Il sogno si espande, si muove attraverso la Terra-foresta, fino ai limiti della terra Hutukara”. Una delle più proiezioni più interessanti in uno degli eventi collaterali della Mostra del cinema di Venezia è stata la presentazione di Mãri hi – L’albero del sogno, diretto dal regista indigeno brasiliano Morzaniel Ɨramari, insieme ad altri due cortometraggi realizzati da registi yanomami. I tre lavori rappresentano una poetica e profonda immersione nella vita del villaggio di Watoriki, nella stato di Amazonas, dove vive la comunità Yanomami, una delle oltre trecento popolazioni indigene brasiliane, che conta quasi trentamila persone sparse in un vasto territorio all’interno della foresta amazzonica.
Mentre il corto di Ɨramari esplora il mondo spirituale legato ai sogni, Thuë pihi kuuwi e Yuri u xëatima thë, entrambi diretti da Aida Harika, Edmar Tokorino e Roseane Yariana, raccontano delle pratiche sacre di uno sciamano e della pesca tradizionale. Nel cortometraggio di Ɨramari appare Davi Kopenawa, lo sciamano e portavoce del popolo Yanomami, autore insieme all’antropologo Bruce Albert del libro La caduta del cielo, una delle più importanti testimonianze della vita e del pensiero di questa popolazione indigena.
“Io sto seguendo l’esempio di Davi Kopenawa, ho deciso di creare il mio percorso per continuare la sua lotta”, riflette Morzaniel Ɨramari.
Il cinema yanomami è molto importante per mostrare a chi non la conosce la realtà degli yanomami, le nostre origini, la nostra cultura, come viviamo nella nostra comunità.
Il lavoro di Morzaniel Ɨramari è cominciato nel 2010 grazie a Video nas aldeias, progetto nato alla fine degli anni ’80 da un’associazione poi diventata una ong indipendente, per creare film e video all’interno delle comunità indigene, tramandandone il patrimonio artistico e culturale anche con l’audiovisivo.
“Io sono il primo regista yanomami”, racconta Morzaniel Ɨramari. “Ma già ci sono altri registi yanomami, e altri ancora vogliono imparare. Ho preparato un programma di insegnamento per formare gli altri, perché anche loro possano realizzare i loro film, così che un giorno ci siano molti registi e film yanomami”.
La difficile realtà degli yanomami
Nella parte finale del suo cortometraggio, Ɨramari denuncia l’invasione della foresta da parte dei garimpeiros, i minatori illegali, e la contaminazione mortale del territorio provocata dalle sostanze che usano. La presenza dei garimpeiros è stata facilitata dal precedente governo guidato da Jair Bolsonaro. “Ci sono persone che pensano che gli yanomami non esistano: e invece noi esistiamo. C’è chi dice che gli yanomami non sanno parlare portoghese, che non studiamo. O ci dicono che siamo dei selvaggi, degli animali. No, non siamo animali. Siamo esseri umani. E sappiamo come lottare e come affermare i nostri diritti”.
Oltre al circuito dei festival, il film sta circolando nelle assemblee indigene e nei forum, è stato proiettato all’Acampamento Terra Livre a Brasilia, il più grande raduno delle popolazioni indigene brasiliane. In Italia, il cortometraggio di Ɨramari è visibile anche nel percorso della mostra Siamo foresta, alla Triennale di Milano.
La produzione dei tre cortometraggi presentati a Venezia è stata possibile grazie ad Aruac, la casa di produzione dei registi brasiliani Eryk Rocha e Gabriela Carneiro da Cunha, entrambi presenti alla proiezione veneziana, insieme all’antropologa Ana Maria Machado. Eryk Rocha e Gabriela Carneiro da Cunha sono arrivati nel villaggio di Watoriki nel 2017, con l’idea di realizzare un film ispirato al libro La caduta del cielo.
“Abbiamo scoperto il lavoro di Ɨramari facendo ricerca per il film”, spiega Rocha. “Lui aveva già iniziato un percorso nel cinema, avendo diretto due film. E noi abbiamo pensato a quanto bello sarebbe stato averlo nel nostro team. Abbiamo pensato dunque alla possibilità di creare una troupe ibrida, tra non indigeni e yanomami. Ɨramari è stato un interlocutore vitale in questo processo”.
La caduta del cielo https://t.co/2KBukZgqqz
— edizioni nottetempo (@nottetempoediz) June 25, 2019
Durante le riprese del lungometraggio tratto da “La caduta del cielo”, i registi yanomami coinvolti nella produzione del film hanno realizzato i loro cortometraggi e i due registi, Eryk Rocha e Gabriela Carneiro da Cunha, hanno deciso di vestire anche i panni dei produttori e di aiutare la realizzazione di questi lavori. Parte delle sequenze e immagini dei tre cortometraggi presentati a Venezia faranno anche parte del film lungometraggio “La caduta del cielo”, che sarà pronto nel 2024. Lo sciamano yanomami Davi Kopenawa ha partecipato alla concezione e alla sceneggiatura del film, mentre il collettivo Gata Maior è stato coinvolto per il montaggio. Il risultato finale sarà molto influenzato dalla varietà di stili e di estetiche, in un lavoro collettivo in cui cui lo scambio orizzontale è un aspetto fondamentale.
Durante il processo di produzione, è stato montato uno studio cinematografico nella città di Boa Vista, nello stato del Roraima, con videocamere, materiale audiovisuale, sale di montaggio, tutto questo in collaborazione con Hutakara, l’associazione degli yanomami e l’Isa, l’istituto socioambientale brasiliano. Il progetto ora è quello di trasferire lo studio in terra indigena, nel villaggio di Watoriki.
In vista dell’uscita del lungometraggio “La caduta del cielo”, i produttori stanno già pensando a come portarlo all’interno delle comunità indigene.
“Il cinema indigeno è parte della grande diversità del cinema brasiliano e latinoamericano. E questo cinema deve essere visto, riconosciuto, apprezzato. Noi tutti intendiamo il cinema come uno strumento poetico e politico”.
Nel frattempo, coltivando relazioni e scoprendo man mano storie, in stretta collaborazione artistica con gli abitanti di questa area vulnerabile del Brasile, sono nati altri lavori. Eryk Rocha, premiato a Cannes per il suo film Cinema novo – dedicato al movimento cinematografico brasiliano di cui il padre Glauber Rocha è stato uno dei fondatori, ha realizzato il documentario Edna, che parla di una donna che resiste all’esproprio della sua terra. Mentre Gabriela Carneiro da Cunha, che è anche attrice e performer, ha creato la sorprendente performance Altamira 2042, ispirata alla costruzione della terza diga più grande del mondo ad Altamira, nello stato del Parà, opera che renderà impossibile la vita delle popolazioni indigene che vivono grazie al fiume. Questo spettacolo l’anno scorso è stato presentato anche in Italia, al festival di Santarcangelo.
“L’incontro con gli yanomami ha ingrandito non solo il progetto ma questo desiderio, perché il nostro ha incontrato il loro desiderio, quello di rafforzare il cinema yanomami. Un aspetto molto importante è questa sensazione della forza dell’incontro tra artisti. Il tempo è una componente preziosa per noi. Abbiamo approcciato questo progetto con delicatezza, senza forzare le cose, lungo un periodo che è già di sette anni. E il film esprimerà questa relazione”.
Nel frattempo, grazie ai premi vinti in questi mesi, il cortometraggio di Morzaniel Ɨramari, “Mãri hi – L’albero del sogno“, a novembre verrà proiettato all’Hollywood Brazilian film festival, festival che promuove negli Stati Uniti i talenti del cinema brasiliano. Alla proiezione, a Los Angeles, sarà presente anche lo sciamano Davi Kopenawa. Il cortometraggio, se selezionato, potrebbe diventare il primo film diretto da un regista indigeno a rappresentare il Brasile agli Oscar. È proprio vero che i sogni si muovono e si espandono, e possono portare lontano.
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