A Roma una famigliola di cinghiali, entrata in un’area metropolitana, è stata massacrata nonostante le proteste dei cittadini che hanno cercato, invano, di fermare la strage. I cinghiali – una mamma con i suoi sei piccoli – si erano rifugiati in un parchetto vicino a dei palazzi di una zona romana – via Gregorio VII, e non stiamo parlando di una periferia extra urbana, ma di una strada residenziale e trafficata – attirati da cumuli di immondizia lasciati incustoditi. Un fenomeno che è diventato ormai un’abitudine nella capitale, oppressa da servizi di smaltimento che non funzionano e sono costantemente inceppati.
La mamma aveva persino costruito un rifugio per sé e i cuccioli in una zona isolata dell’area, era amichevole e sia lei sia i cinghialetti prendevano addirittura il cibo dalle mani dei numerosi bambini che avevano eletto i membri della famiglia a compagni di gioco. Naturalmente non avrebbero dovuto dar loro da mangiare e i cinghiali, amichevoli o meno, avrebbero dovuto essere spostati e trasferiti in un’area protetta. Ed è quello che gli stessi abitanti della zona si auguravano sarebbe successo. Invece, nella notte del 16 ottobre, la tragedia. I veterinari della polizia provinciale, in una scena degna di un film dell’orrore, narcotizzavano prima gli animali e poi intervenivano dando loro il colpo di grazia, tra urla, minacce degli animalisti e pianti dei bambini presenti.
Era necessario? Era inevitabile? No, almeno a quanto riferito dalle associazioni animaliste che si erano prese carico del problema (daMichela Brambilla allaLave all’Enpa, per citarne solo alcune) e avevano garantito alle autorità che i cinghiali sarebbero stati trasferiti e portati in un luogo protetto. Ed è quello a cui avevano creduto tutti i presenti, ingannati dalla sedazione di mamma e cuccioli prima della brutale conclusione della storia. Ma l’invasione dei cinghiali in Italia può essere fermata in modo non cruento? E cosa si può fare per evitare il ripetersi di questi episodi, rispettando i nostri amici animali e la difficile convivenza che dobbiamo instaurare con loro? Facciamo un passo indietro…
Nel nostro paese i cinghiali autoctoni vivono solo in Sardegna, mentre nel resto d’Italia sono i discendenti di animali introdotti dai paesi dell’est europeo nel dopoguerra oppure generati dall’ibridazione causata dall’accoppiamento con i maiali lasciati al pascolo brado. E sono proprio questi cinghiali – più grandi, più voraci e più prolifici – a costituire l’odierno problema, visto anche che per alimentarsi tendono a entrare in paesi e città attirati dai rifiuti che le amministrazioni – come a Roma – non provvedono a eliminare prontamente dal suolo cittadino.
I cinghiali ibridati che vivono nella penisola italiana sono molto più grandi di quelli autoctoni – i maschi adulti possono arrivare a pesare anche 100 chili (contro i 50 chili di quelli maremmani) – e il loro pelo è più chiaro. Le femmine vanno in calore anche due volte l’anno e partoriscono schiere di piccoli. I cinghiali ibridati sono decisamente voraci e, quando hanno finito di alimentarsi con bacche e radici, si dedicano alle colture di cereali, patate, cipolle, lenticchie, e non disdegnano neanche i frutteti, creando gravi danni e costi all’agricoltura. Il problema, quindi, non è solo delle aree metropolitane dove sconfinano, ma anche e soprattutto di quelle rurali dove coltivazioni e allevamenti devono sopportarne le scorrerie.
È bene ricordare che in Italia esistono, inoltre, numerosi allevamentidi cinghiali impiegati soprattutto per ripopolamenti venatori e per scopi alimentari. Una pratica da bandire sarebbe proprio quella del foraggiamento e della costante offerta di cibo messo a disposizione allo scopo di attirare i cinghiali per poterli cacciare e uccidere. Tutto questo altera l’equilibrio naturale e mette in pericolo l’intero ecosistema.
In natura i cinghiali vivono fino a 25 anni nelle grandi estensioni di boschi, alternati a radure, dove si formano piccoli fossi che si riempiono con le piogge. Si nascondono bene nella vegetazione fitta, hanno una vista scarsa, ma un olfatto e un udito molto sviluppati. I branchi sono composti da femmine, cuccioli e giovani maschi, mentre gli esemplari di sesso maschile adulti vivono solitari o in gruppi di “scapoli” che si avvicinano al branco solo nel periodo del calore. I gruppi, quindi, costituiscono una famiglia allargata al femminile, dove le femmine custodiscono i cuccioli e li difendono coraggiosamente dai predatori, diventando molto aggressive se disturbate. Ed è l’unica occasione in cui questi animali possono costituire un pericolo dato che, a parte la mole, sono generalmente schivi e guardinghi.
Come risolvere il problema
In merito alla tragedia romana l’Oipa, in un suo comunicato, mette in guardia dal rifornire di cibo i cinghiali – e in generale tutti gli animali selvatici – sconfinati in aree urbane per rifocillarsi. Il corretto smaltimento dei rifiuti diventa, quindi, come nel caso di orsi, lupi o volpi, uno dei primi metodi per non incorrere in questioni di questo tipo. Dinnanzi all’aumento dei cinghiali la scelta invocata a gran voce è l’abbattimento degli animali. Ma è proprio la caccia la causa principale del problema perché è accertato che dove si verifica una grande attività venatoria il numero dei cinghiali aumenta in modo esponenziale. Perché? È presto detto: i cacciatori provocano la destrutturazione sociale nei branchi, causando la dispersione degli individui e favorendo la riproduzione delle femmine più giovani che si accoppiano al di fuori del gruppo di origine.
“La soluzione più etica, anche se complessa, è la sperimentazione di controllo demografico con vaccini immunocontraccettivi. E proprio a Roma due anni fa inassessorato Ambiente si era iniziato ad abbozzare un progetto di sterilizzazione farmacologica. Per risolvere alla radice il problema, ed evitare il ripetersi di scene disgustose come quella romana, è necessario incidere proprio sulla natalità degli animali selvatici invece che sulla loro mortalità. L’approccio moderno è quello di sfruttare perciò la risposta immunitaria dell’organismo animale per bloccare, con diverse modalità, la fertilità. Per questa ragione oggi in alcuni paesi si usano i vaccini immunocontraccettivi”, spiega Edgar Meyer, presidente di Gaia animali & ambiente. In seguito alla somministrazione di un vaccino di questo tipo il sistema immunitario del soggetto è stimolato a produrre anticorpi contro gli ormoni riproduttivi. Una monodose causa infertilità nell’animale per un periodo di almeno 3/5 anni dopo la somministrazione.
A parte ciò, la pratica di recintare i campi coltivati serve a poco perché i cinghiali riescono a scavare buche ed entrano nell’area protetta. Molto più efficace, ma costosa, larecinzione elettrica che riesce a tenerli lontani senza difficoltà da campi coltivati e frutteti. Inefficaci anche i dissuasori olfattivi o acustici che hanno avuto risultati scoraggianti perché il cinghiale, animale molto intelligente, dopo un po’ intuisce il trucco e si comporta di conseguenza.
Una speranza di contenimento e controllo della popolazione di cinghiali viene invece dal ripopolamento in Italia del grande predatore per eccellenza: il lupo. Sono, infatti, i lupi i più importanti antagonisti dei cinghiali e la loro predazione potrebbe costituire il sistema più efficace per contenere la popolazione di questi ungulati, lasciando intatto l’ecosistema e le sue leggi e preservandone i delicati meccanismi di biodiversità. Ma il tutto passa, come al solito, per una corretta comprensione della natura e delle sue regole, cosa che l’uomo attualmente sembra sempre più incapace di fare.
La campagna Vote for animals, promossa da Lav e altre organizzazioni, mira a far assumere a candidati e partiti un impegno maggiore sul tema dei diritti animali.
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“Guarda qui, questa è la zampa di un cucciolo di rinoceronte, usata come portamatite: le persone non sanno che esiste un mercato del genere. Sì, magari vedono le foto sui social dei cacciatori in posa col proprio trofeo di caccia, ma non pensano che qualcuno sia in grado di fare questo”. Britta Jaschinki, fotografa-attivista di
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