La collaborazione di Hermès con Mycoworks dà i suoi frutti con la prima borsa in pelle vegana realizzata a partire dall’apparato vegetativo dei funghi.
Moda e deforestazione: un’alternativa è la similpelle vegetale
Ecco una selezione di cinque materiali generati a partire dagli scarti della frutta che rappresentano valide alternative alla pelle di origine animale.
Esiste una correlazione tra molti dei protagonisti dell’industria della moda e la deforestazione dell’Amazzonia brasiliana. Lo rivela uno studio condotto dalla società di ricerca Stand.earth. Durante il lasso temporale compreso tra il primo agosto 2020 e il 31 luglio 2021 si è verificato un triste record in Amazzonia: la deforestazione ha raggiunto un tasso del 22 per cento; ciò significa che, in un solo anno, 13.235 chilometri quadrati di foresta sono andati distrutti.
L’allevamento, trainato dalla domanda di carne bovina e pellami, è il principale colpevole – come riportato nello studio. La pelle proveniente dal Brasile viene utilizzata da concerie e produttori di tutto il mondo per realizzare innumerevoli prodotti di marca rivolti al consumatore, tra cui calzature e capi d’alta moda.
Sono più di cinquanta i marchi che hanno collegamenti con Jbs, la maggiore multinazionale di lavorazione della carne, nota per le responsabilità legate alla distruzione della foresta pluviale. L’azienda si è recentemente impegnata a raggiungere la deforestazione zero in tutta la sua catena di approvvigionamento globale entro il 2035, un provvedimento definito insufficiente dai gruppi ambientalisti.
Considerando le risorse di cui dispongono le aziende di moda e la crescente attenzione da parte dei nuovi designer allo sviluppo sostenibile di materiali e collezioni, ci auguriamo di poter affermare presto che le nuove ed esclusive sneakers acquistate non siano state prodotte a spese della foresta amazzonica e più in generale dell’ambiente. Di seguito abbiamo elaborato una selezione di cinque materiali generati a partire dagli scarti della frutta, valide alternative alla pelle di origine animale.
Appleskin
Con Appleskin facciamo riferimento ad una finta pelle vegana ed ecologica creata da Frumat leather a partire dagli scarti delle mele. Frumat è un’azienda del Trentino-Alto Adige, una delle più grandi regioni produttrici di mele del mondo, costretta a far fronte a una quantità significativa di rifiuti della produzione alimentare. Per reinvestire questi materiali di scarto l’azienda ha sviluppato una nuova materia prima: Appleskin. Residui quali bucce, fibre e torsoli delle mele vengono mixati con materiali sintetici per dare vita ad una alternativa eco-friendly alla pelle di origine animale.
Il materiale nato dal riciclo dei residui di mele è resistente, impermeabile, performante, luminosa e morbida al tatto, caratteristiche che lo rendono ideale per la realizzazione di accessori moda. La qualità di tale componente dipende fortemente dagli ingredienti in mischia; in linea generale le differenti trame e colorazioni rendono Appleskin l’alleato ideale per diverse applicazioni.
Fruitleather
Fruitleather, originata dal riciclo degli scarti del mango, è stata ideata dai designer Koen Meerkerk e Hugo de Boon, con base a Rotterdam. Tutto è nato dalla passione dei due giovani per la valorizzazione di categorie di prodotto comunemente ritenute prive di valore, proprio come l’immensa quantità di frutta scartata perché classificata come invendibile.
Dopo aver svolto test con diversi frutti è stato selezionato il mango, valutato come il migliore per lo scopo in questione. Fruitleather è un materiale organico e vegano destinato alle diverse applicazioni, principalmente nel tessile, nato dal bisogno dei fondatori di sensibilizzare rispetto allo spreco alimentare e dalla voglia di apportare una soluzione in ottica di economia circolare.
Malai
Malai è una similpelle vegetale ricavata dall’acqua di cocco. Dal progetto di ricerca condiviso di Susmith, designer e produttore di prodotti del Kerala, nel sud dell’India, e Zuzana, designer dalla Slovacchia, nasce un materiale realizzato con cellulosa batterica a partire da rifiuti agricoli provenienti dall’industria del cocco. La lavorazione avviene in collaborazione con gli agricoltori e le unità di lavorazione locali raccogliendo, sterilizzando e riutilizzando l’acqua di scarto.
L’acqua di scarto del cocco viene generata dopo la rimozione della polpa dalle noci di cocco: se non fosse raccolta sarebbe destinata ad essere responsabile di danni al suolo. Flessibile e durevole, Malai può essere prodotta in fogli di diverso spessore e viene proposta in molteplici colorazioni, ottenute grazie all’uso di coloranti naturali. Utilizzata per applicazioni moda, questa finta pelle ha una vita che può variare dai circa quattro agli otto anni; il consiglio è di applicare uno strato di cera d’api e/o dell’olio di cocco per assicurare al materiale una corretta idratazione.
Piñatex
Piñatex è il materiale rivoluzionario ottenuto dalle fibre e foglie dell’ananas, brevettato dalla designer spagnola Carmen Hijosa. L’intenzione di trovare un’alternativa alla pelle di origine animale nasce durante un viaggio di lavoro nelle Filippine. L’ispirazione, sommata a circa cinque anni di ricerca, hanno portato alla sviluppo di Piñatex, ecologico e lavorato senza tessitura, ricavato dalle foglie dell’ananas.
I costi competitivi e la possibilità di utilizzare Piñatex per diverse applicazioni, da accessori moda ad elementi d’arredo, hanno portato multinazionali note alla realizzazione di prototipi. Un dato interessante rispetto alla produzione di Piñatex, disponibile sul sito ufficiale, riguarda la quantità di tonnellate di CO2 risparmiate, 264 per l’esattezza, altrimenti generate dalla combustione di 825 tonnellate di foglie di scarto del raccolto di ananas, l’equivalente alla ricarica di più di 33 milioni di smartphone.
Vegea
Dall’integrazione di chimica e agricoltura nasce Vegea, il tessuto coated vegano prodotto e distribuito dall’omonima azienda, fondata nel 2016 a Milano dall’architetto Gianpiero Tessitore e dal chimico Francesco Merlino. L’approccio sostenibile si concretizza non solo nello sviluppo di una alternativa alla pelle, ma anche a livello di processi produttivi che si basano sullo sfruttamento di biomasse, materie prime vegetali e materiali riciclati.
La nascita di Vegea è il risultato di una collaborazione con aziende vinicole italiane, con cui è stato sviluppato un processo per la valorizzazione degli scarti del vino (la vinaccia, composta da bucce, raspi e vinaccioli). La finta pelle vegetale generata con le vinacce scartate dall’industria agroalimentare, e lavorata attraverso un processo sostenibile che utilizza i macchinari già presenti negli stabilimenti conciari, è una meravigliosa soluzione per applicazioni moda, packaging, arredamento e automotive.
Per chi sta valutando l’acquisto di un accessorio realizzato con un materiale alternativo a quelli di origine animale abbiamo un consiglio da condividere: la similpelle vegetale è sicuramente più delicata rispetto alla pelle di origine animale, pertanto richiede particolare cura. Per il lavaggio, meglio utilizzare un panno liscio inumidito e un detergente ecologico, per poi procedere all’asciugatura del prodotto con un panno asciutto.
Siamo anche su WhatsApp. Segui il canale ufficiale LifeGate per restare aggiornata, aggiornato sulle ultime notizie e sulle nostre attività.
Quest'opera è distribuita con Licenza Creative Commons Attribuzione - Non commerciale - Non opere derivate 4.0 Internazionale.
Il brand bergamasco Miomojo sposa l’economia circolare con tessuti alternativi alla pelle realizzati a partire da cactus e scarti di mele.
Da Calvin Klein a Tommy Hilfiger, l’intero gruppo Pvh corp. non utilizzerà più le pelli esotiche nelle collezioni dei suoi marchi di moda.
La nostra selezione periodica di marchi responsabili nei confronti dell’ambiente e dei lavoratori.
Si parla di vintage se un capo ha più di 20 anni, è definibile second hand invece è qualsiasi oggetto abbia già avuto un precedente proprietario.
Roberta Redaelli, nel suo saggio Italy & Moda, raccoglie le voci del tessile. E invita il consumatore a fare scelte che lo spingano alla sostenibilità.
Nel mezzo di una grave crisi, il distretto tessile e dell’abbigliamento lancia l’allarme sui diritti dei lavoratori nella filiera della moda italiana.
Il Report 2020 sulla moda consapevole svela quali sono i prodotti più ricercati dai consumatori sul web. E quest’anno i risultati sono molto incoraggianti.
Grazie all’Istituto Oikos prende il via una startup di accessori fatti dalle donne maasai in Tanzania lavorando la pelle con un metodo antico e sostenibile. A raccontarci l’impresa è la stilista di moda etica Marina Spadafora.