A causa della possibile richiesta dell’estrazione mineraria sui fondali dell’oceano Pacifico, sono state scoperte più di 5 mila specie nuove alla scienza
Nell’oceano Pacifico sono state richieste delle licenze straordinarie per l’estrazione mineraria
Per i permessi si fa affidamento ad un database chiamato DeepData, definito obsoleto
Uno studio per verificare la qualità del database ha permesso di scoprire l’esistenza di più di cinquemila nuove specie
Cinquemila nuove specie
Ci troviamo nel bel mezzo dell’oceano Pacifico, non in superficie ma sul fondale oceanico a circa quattro-sei mila metri di profondità. In questi sei milioni di chilometri quadrati (quasi due volte l’India) l’uomo non aveva ancora messo piede, fino ad ora. Con la domanda sempre più alta di metalli come il nichel e il cobalto, necessari per la costruzione delle moderne batterie – ad esempio per le auto elettriche, questa zona è diventata l’obiettivo di diverse compagnie che estraggono minerali. Ciò che spaventa gli scienziati è l’impatto ambientale sulle specie che vivono a queste profondità il cui numero, secondo i ricercatori, è stato incredibilmente sottostimato. Infatti, in un recente studio sono state scoperte più di cinquemila nuove specie ancora sconosciute alla scienza.
A study has identified more than 5,000 new species living in deep-sea habitats in the Pacific Ocean in a region known as the Clarion-Clipperton Zone (CCZ), a seabed targeted for mining in the coming years.
In queste zone, attualmente, è consentita solamente l’esplorazione mineraria. L’International Seabed Authority (Isa), un organismo associato alle Nazioni Unite che supervisiona l’estrazione mineraria in acque internazionali, secondo il suo sito web, ha approvato per 17 aziende ed enti governativi di studiare il potenziale minerario della Clarion-Clipperton Zone (Ccz), questa zona di sei milioni di chilometri quadrati nell’oceano Pacifico, dal Messico alle Hawaii. Tuttavia, tra queste, la Nauru Ocean Resources, una filiale di The Metals Company, con sede a Vancouver in Canada, ha richiesto una licenza straordinaria di estrazione commerciale che, se approvata, potrebbe far iniziare le operazioni di estrazione già nel 2024. Permettere le estrazioni nonostante la poca conoscenza del fondale marino, dei suoi habitat e della biodiversità, e quindi dei possibili e imprevedibili effetti ambientali, preoccupa e non poco gli scienziati.
L’affidabilità di DeepData
Ciò che ha fatto storcere il naso alla scienza è l’affidabilità del database, gestito dall’Isa, su cui si basano le concessioni dei permessi. Questo database chiamato DeepData contiene le informazioni che l’Isa richiede di raccogliere ai contraenti durante le loro missioni di esplorazione delle acque profonde. Sono catalogati i dati biologici, geochimici e fisici come, ad esempio, le specie incontrate e le sostanze chimiche presenti nell’acqua. Tuttavia, le ultime analisi pubblicate hanno rivelato non pochi difetti e per questo un gruppo di ricerca, in collaborazione con l’Isa (per l’accesso ai dati) ha rianalizzato i dati presenti nel database. Secondo Muriel Rabone, data scientist del Natural history museum di Londra “è da irresponsabili affidarsi al database, poiché obsoleto”.
Le critiche al database
Dei 40.518 dati raccolti nella Ccz che sono stati analizzati per lo studio del database, circa un quarto erano duplicati, il che significa una sottovalutazione della ricchezza delle specie. Questi duplicati possono sorgere perché il database non presenta dei codici univoci per identificare i singoli record. Il team ha anche scoperto che DeepData conteneva informazioni incoerenti per esempio: documenti che catalogavano due specie con lo stesso nome, oppure la mancanza di molti dati ambientali. In risposta alle critiche, l’Isa ha affermato che come qualsiasi database, le caratteristiche di DeepData e la qualità dei suoi dati stanno migliorando con gli anni grazie ai progressi tecnologici. Inoltre, ha aggiunto di aver identificato e corretto i record duplicati e che sta collaborando con il World register of marine species, che cataloga e classifica gli organismi marini, e condividendo i dati con l’Ocean biodiversity information system – un centro dati per ripulirli e renderli più disponibili.
Lo studio che ha permesso di scoprire le nuove specie
Così, poiché DeepData presenta delle lacune ma molto potenziale, il gruppo di ricerca ha voluto creare una partnership ufficiale con l’Isa per guidare il primo censimento della biodiversità sul fondo marino della Ccz. Lo sforzo ha trovato più di 5.500 specie nella regione, di cui il 92% nuove alla scienza. Tra le specie scoperte le più comuni sono artropodi, vermi, echinodermi (invertebrati spinosi come ricci di mare), e spugne. Questi risultati sono stati pubblicati il 25 maggio sulla rivista Current Biology.
“Ci sono così tante specie meravigliose nella Ccz”, afferma Rabone, “e con la possibilità delle estrazioni mineraria che incombono, conoscere questi habitat – davvero poco studiati – risulta doppiamente importante”. La conoscenza di base della biodiversità di questa regione risulta quindi fondamentale per la gestione efficace dell’impatto ambientale derivante dalle possibili attività minerarie.
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