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Intervista a Claudio Spinaci, presidente dell’Unione energie per la mobilità: le soluzioni in campo vanno portate sul piano della neutralità tecnologica.
Claudio Spinaci è dal 2015 presidente di Unem e dal 2017 vicepresidente di Confindustria energia. Rispetto al grande tema della decarbonizzazione dei trasporti, la sua posizione è netta: la sfida ambientale va affrontata e vinta, ma con un approccio che tenga conto delle diverse tecnologie attualmente disponibili. Spingere solo sul fronte dell’elettrificazione può mettere a rischio la sostenibilità economica e sociale, e quindi la sicurezza energetica, del nostro paese e dell’intero continente.
L’Unione europea ha imposto lo stop alla vendita di auto a benzina e diesel a partire dal 2035. Come valuta questa decisione rispetto ai vantaggi ambientali ma, al contempo, ai rischi connessi a una transizione così accelerata?
Una scelta incomprensibile da un punto di vista tecnologico. La decarbonizzazione dei trasporti non si ottiene solo con l’opzione full electric perché ci sono alternative come i low carbon liquid fuels (LCF) che permetterebbero di raggiungere gli stessi obiettivi di riduzione delle emissioni di CO2, con indubbi vantaggi economici e sociali. Speriamo che l’Ue dia rapidamente seguito all’impegno preso di mettere a punto, entro il 2025, una metodologia che calcoli le emissioni sull’intero ciclo di vita, capace di valutare il reale impatto delle varie tecnologie sulle emissioni climalteranti; altrimenti distruggeremo intere filiere industriali di eccellenza senza vantaggi ambientali.
Che ruolo possono avere i biocarburanti per il raggiungimento degli obiettivi Ue stabiliti nel programma Fit for 55?
Fondamentale. I biocarburanti rientrano nella categoria dei LCF e permettono di abbattere le emissioni di CO2 fino al 90 per cento in funzione della materia prima impiegata, offrendo le stesse prestazioni e libertà di impiego del loro corrispondente fossile. Ci sono poi altri carburanti in fase di sviluppo, come quelli derivati da rifiuti o plastica o quelli sintetici, che possono arrivare ad emissioni nette negative. Il punto è che fino a quando le emissioni si misureranno solo allo scarico e non sull’intero ciclo di vita, il loro potenziale non potrà essere sviluppato.
Rispetto all’obiettivo finale della riduzione delle emissioni, l’elettrificazione spinta dell’intero comparto è la migliore strada da perseguire?
Con uno studio presentato qualche giorno fa abbiamo dimostrato che ci sono percorsi alternativi in grado di perseguire il target europeo di riduzione delle emissioni, con una minore e più realistica penetrazione di auto elettriche pure e un maggiore utilizzo dei LCF che potrebbero essere impiegati da subito nei veicoli in circolazione. In questo momento storico non penso sia saggio rinunciare aprioristicamente a soluzioni tecnicamente compatibili ed economicamente sostenibili.
La crisi energetica in atto può costituire un freno alla transizione ecologica del settore della mobilità?
La transizione, a dire il vero, sinora è stata più a parole che nei fatti. Sarà un processo lungo in cui ognuno dovrà fare la propria parte, e che dovrà essere portato avanti con la giusta gradualità. Detto questo, non credo sia una buona idea frenare la transizione: si tratta di renderla sostenibile e di avere contezza dei risultati ottenuti. La crisi attuale ci ha solo ricordato che la tutela ambientale, assolutamente necessaria, è una delle variabili dell’equazione; ma se a questa non affianchiamo contemporaneamente la sostenibilità economica e sociale, e quindi la sicurezza energetica, i risultati sono quelli che vediamo oggi.
Come funziona Cars CO2 comparator, la nuova piattaforma digitale presentata da Unem? E quali sono le prime evidenze?
Serve a misurare e confrontare in modo interattivo le emissioni di gas serra nel ciclo di vita delle autovetture in base a diversi parametri: powertrains, carburanti utilizzati, profilo di guida, intensità carbonica nella produzione di elettricità o di carburanti, condizioni ambientali. I risultati sono sorprendenti e mostrano come, di fatto, è il metodo di calcolo ad indirizzare oggi le scelte tecnologiche dell’Ue e non gli obiettivi ambientali, come invece dovrebbe essere.
Claudio Spinaci, perché è importante calcolare l’impronta carbonica di un’auto lungo l’intero ciclo di vita, e non solo nella fase di scarico?
Perché misurandola solo allo scarico perdiamo gran parte delle emissioni che si generano in fase di produzione sia dei veicoli che delle batterie, nonché dell’energia necessaria per ricaricarle. Possiamo anche non considerarle da un punto di vista normativo, però esistono. Il comparatore, ad esempio, dimostra che un’auto elettrica che allo scarico emette zero, nell’intero ciclo di vita arriva a 162 gr/km, mentre un’ibrida alimentata con biocarburanti o carburanti sintetici nell’intero ciclo di vita scende a 102 gr/km. Un approccio LCA serve a fare una corretta valutazione delle emissioni e riportare sul piano della neutralità tecnologica le soluzioni in campo. L’Europa dovrebbe prenderne atto perché altrimenti non riusciremo mai a vincere la sfida ambientale.
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