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Clean Cities, cosa chiede la coalizione europea per una mobilità urbana a emissioni zero
Strade scolastiche e zone a basse emissioni. Clean Cities chiede la decarbonizzazione dei trasporti urbani per contrastare inquinamento, dipendenza dai combustibili fossili e crisi climatica nelle nostre città.
Città più pulite, sane e vivibili. Questo è l’obiettivo di Clean Cities, la coalizione europea che dal 2021 unisce una settantina di partners tra ong e gruppi di base, per incoraggiare le città a passare alla mobilità a emissioni zero entro il 2030. Le città sono il vero banco di prova dove misurarsi con nuovi modelli di sviluppo. Da un lato rappresentano infatti i luoghi più inquinati da cui proviene il 70 per cento delle emissioni di gas serra, mentre dall’altro lato è proprio all’interno delle città che si registra uno slancio maggiore verso il cambiamento.
Basti pensare che le iniziative della società civile e le sentenze dei tribunali hanno assicurato più di 250 zone a basse emissioni in tutta l’Unione europea, mentre 7 abitanti delle città europee su 10 vogliono che i loro sindaci intervengano per intensificare gli sforzi per ridurre l’inquinamento atmosferico. Sono numeri importanti che vanno a fotografare il sentire delle persone in un momento storico segnato dalla pandemia, dalla dipendenza dai combustili fossili resa evidente dal conflitto ucraino e da una coscienza maggiore per la crisi climatica.
In Italia fanno parte della coalizione Cittadini per l’aria, la piccola associazione Bike to school di Roma, Kyoto Club, Legambiente e Transport & Environment. Claudio Magliulo, responsabile Clean Cities Campaign Italia, ci spiega quali sono le principali istanze portate avanti da questi gruppi. Siamo chiaramente arrivati a un punto di svolta, non ci sono più scuse per porre fine a decenni di città autocentriche.
La campagna Streets for kids, per scuole libere dal traffico
Uno dei principali temi di cui si occupa Clean Cities riguarda le “strade scolastiche”. Proprio per questo il sei maggio si è svolta in tutta Europa la prima giornata europea di Streets for kids, una mobilitazione per chiedere più sicurezza e benessere per le comunità scolastiche. Pedalate, girotondi e iniziative hanno animato le vie di circa 200 città di 13 paesi, con più di 380 eventi. All’iniziativa hanno partecipato bambini e bambine, genitori, dirigenti scolastici, associazioni del terzo settore e attivisti, per chiedere ai sindaci di impegnarsi a chiudere al traffico veicolare le strade di fronte alle scuole.
“In Italia ci sono stati una quarantina di eventi – spiega Claudio Magliulo. “Le richieste riguardano in particolare l’avviamento di sperimentazioni su un numero elevato di scuole e un cronoprogramma per arrivare a coprire la quasi totalità delle scuole nelle città, in particolare quelle dell’infanzia, delle elementari e delle medie. Durante questi eventi si ha l’occasione si toccare con mano la disparità tra lo spazio dedicato alle automobili e quello lasciato ai bambini, che si riappropriano per qualche ora di uno spazio urbano normalmente a loro negato”.
Infatti nel nostro paese per limitare i danni prodotti dai mezzi a motore, dal 2020 è stata introdotta nel Codice della strada la “zona scolastica”, ovvero un’area in prossimità della scuola, in cui è garantita una “particolare protezione dei pedoni e dell’ambiente” (art. 3 comma 58-bis del C.d.S.). Cosa serve per istituire una strada scolastica? Basta una sola mossa, ovvero che il sindaco emetta un provvedimento limitativo della circolazione, sosta o fermata di tutte o di alcune categorie di veicoli.
Il punto è che nonostante siano trascorsi due anni dall’introduzione delle strade scolastiche nel Codice della Strada, questo provvedimento è stato adottato solo da poche decine di comuni su un totale di oltre 8.000. Si tratta di un numero irrisorio a fronte del valore in termini di sicurezza e salute dei bambini, soprattutto se paragonato alle centinaia di strade scolastiche già realizzate in città europee come Londra (500), Parigi (170) e Barcellona (150).
Come sottolinea Magliulo: “Le strade scolastiche sono necessarie perché le nostre città sono tra le più inquinate d’Europa. Non è un caso che a maggio la Corte di Giustizia dell’Unione Europea abbia condannato l’Italia per non aver fatto nulla per la riduzione del biossido di azoto. Si tratta di un inquinante particolarmente nocivo proprio per la salute dei più piccoli ed è prodotto in larga parte dalle auto, in particolare da quelle a diesel”. Oltre al tema della salute c’è poi quello della sicurezza. Ricordiamo infatti che sulle strade italiane muore un bambino ogni dodici giorni e che le strade vicino alle scuole si confermano ad altissimo rischio.
Clean Cities e la richiesta di zone a basse emissioni
“L’Italia in passato è stata una pioniera delle zone a traffico limitato e della chiusura dei centri storici mentre ora le nostre città sono congestionate dalle auto. Ce ne sono 67 per ogni cento abitanti, tocchiamo il più alto tasso di motorizzazione d’Europa. Per uscire da questa situazione non basta aumentare le piste ciclabili o le corse del trasporto pubblico. Bisogna ridurre le automobili, soprattutto quelle più inquinanti. Servono quindi zone a basse emissioni, un concetto che è decollato negli ultimi quindici anni e che punta a svecchiare il parco veicolare, ridurlo e migliorare la qualità di aria e spazio pubblico“.
Magliulo sottolinea che una spinta ulteriore a questo cambio di passo arriva dalla guerra in Ucraina che mette in evidenza la dipendenza dai combustibili fossili. “Si parla ancora troppo poco della necessità di ridurre la domanda nel settore dei trasporti (che produce un quarto delle emissioni di CO2), essenziale per ridurre la dipendenza dalle importazioni di petrolio e arrivare a decarbonizzare i trasporti entro il 2030. Ricordiamo che il governo italiano ha stanziato 2 miliardi di euro per il settore automotive per i prossimi anni, 10 miliardi in totale dal 2019 alla fine del decennio. Con 2 miliardi si potrebbero invece trasformare le nostre città in paradisi della ciclabilità come Amsterdam. Inoltre la riduzione delle emissioni è una risposta urgente e necessaria alla crisi climatica. L’Italia è uno dei paesi più vulnerabili d’Europa e la tragedia annunciata della Marmolada ne è solo un campanello d’allarme”.
Le città europee e l’obiettivo della mobilità a emissioni zero nel 2030
Quanto sono preparate le città europee per trasporti a emissioni zero? Questa è la domanda a cui ha voluto rispondere Clean Cities, andando ad analizzare la situazione di 36 città europee partendo da dati relativi agli ultimi tre anni. Si sono considerati fattori come lo spazio destinato alle persone, la sicurezza stradale e quindi il numero di vittime di pedoni e ciclisti, l’accesso alla mobilità sostenibile (per esempio quanti punti di ricarica per veicoli elettrici sono presenti), le politiche in atto o pianificate per ottenere zone a zero/basse emissioni ed infine la qualità dell’aria (concentrazioni medie annuali di NO2, PM10 e PM2,5.
Nella classifica stilata, Napoli risulta ultima preceduta da Roma (trentaduesimo posto), Torino (ventritreesima) e Milano (ventesima). Ai primi posti troviamo “le solite” Oslo, Amsterdam, Helsinki, Copenaghen ma anche Barcellona e Parigi che in pochi anni hanno rivoluzionato lo spazio urbano e la mobilità.
“Non ci sono scuse – afferma Magliulo – in poco tempo si può trasformare la faccia dei centri urbani. Non dimentichiamo che ci sono città di medie dimensioni in Italia che hanno prestato grande attenzione a queste tematiche. Reggio Emilia per esempio è paragonabile a Amsterdam per ciclabilità. Anche Parma ha appena lanciato una zona a basse emissioni molto rigorosa. L’Italia è indietro ma questo non deve essere una scusa per rallentare un’inevitabile transizione ecologica che avverrà comunque, per cui non dobbiamo farci travolgere”.
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