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ClientEarth. Ugo Taddei e gli avvocati che difendono la Terra dai reati dell’uomo
Appena trentenne, toscano, una volontà ferrea di difendere l’ambiente. Così l’avvocato Ugo Taddei lascia l’Italia e si propone all’unica associazione europea che usa il diritto nell’interesse pubblico ed è specializzata in diritto ambientale: ClientEarth, con quartiere generale a Londra, ma attiva in vari paesi dell’Unione europea, almeno nove. Da gennaio Taddei dirige a Bruxelles l’unità sull’inquinamento
Appena trentenne, toscano, una volontà ferrea di difendere l’ambiente. Così l’avvocato Ugo Taddei lascia l’Italia e si propone all’unica associazione europea che usa il diritto nell’interesse pubblico ed è specializzata in diritto ambientale: ClientEarth, con quartiere generale a Londra, ma attiva in vari paesi dell’Unione europea, almeno nove. Da gennaio Taddei dirige a Bruxelles l’unità sull’inquinamento atmosferico, dopo una serie di vittorie senza precedenti. L’ultima lo scorso febbraio in Germania, quando ha ottenuto una sentenza storica contro la circolazione dei diesel nelle città.
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Lo incontriamo all’inizio di questa primavera, a Milano, durante il Festival dei diritti umani. È una delle tipiche giornate assolate ma velate da foschia della Pianura padana, fra le zone con l’aria più avvelenata d’Europa. In questi giorni si attende la notizia del deferimento dell’Italia e altri otto stati alla Corte di giustizia europea per le procedure di infrazione legate all’inquinamento dell’aria.
Per ClientEarth l’Italia è una priorità e un’anomalia
“Nel nostro paese contiamo oltre 60mila morti premature all’anno. In base alla qualità dell’aria l’Europa va divisa in due blocchi. Nella parte occidentale prevale come inquinante il biossido d’azoto prodotto dai diesel”, spiega Taddei. “Nell’Est, invece, dove gli impianti industriali sono più vecchi e i cittadini usano ancora il riscaldamento a carbone o a legna, il particolato. L’Italia, però, pur trovandosi a Ovest, presenta livelli altissimi di entrambi i gas”.
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In Lombardia, ClientEarth ha lanciato un’azione legale contro la regione, che ha portato all’aggiornamento del piano regionale degli interventi per la qualità dell’aria. Sebbene “inadeguato e confuso”, precisa Taddei, che ha collaborato con gli avvocati italiani Chiara Lorenzin e Anna Gerometta, a supporto delle associazioni Gentori antismog, Cittadini per l’aria, e Aipi (Associazione italiana ipertensione polmonare).
Il modello ClientEarth. Cosa fanno gli avvocati dell’ambiente
Il modello di ClientEarth, ideato dal visionario fondatore James Thornton, consiste nel fare applicare le normative già esistenti in Unione europea, collaborando con le associazioni ambientaliste che non hanno capacità giuridica e i singoli legali locali, che non fanno ancora squadra. Nel 2007 Thornton ha di fatto esportato questo modello dal suo Paese di origine, gli Stati Uniti, dopo studi eccellenti all’università di Yale, una carriera nella finanza, la fondazione della sede losangelina del Nrdc (Natural resources defence council), e un percorso spirituale in cui è stato ordinato maestro zen.
Nel Regno Unito Thornton è stato definito dai mezzi d’informaizone “un nuovo tipo di eroe ambientalista” e “la forza tranquilla”. Il suo successo nel Nrcd statunitense – durante l’amministrazione Reagan ha vinto 60 cause in soli sei mesi nelle corti federali – gli ha garantito finanziatori quali la fondazione McIntosh, il gruppo musicale Coldplay, e un membro del consiglio di amministrazione come il musicista Brian Eno.
Gli avvocati attivisti che lavorano in team, a difesa dell’ambiente, sono una realtà consolidata oltreoceano, come dimostra anche la tragica fine di David Buckel, avvocato per i diritti Lgbt e ambientali, che si è suicidato in segno di protesta contro l’inquinamento e l’uso dei combustibili fossili. Un gesto estremo a cui si contrapporrebbe l’indole di Thornton, mosso da rigore razionale quanto da inscalfibile fiducia.
È lui stesso a spiegarlo nel libro ClientEarth: the story so far (ClientEarth: la storia finora) da poco pubblicato con il marito e scrittore Martin Goodman: “Il nostro lavoro raggiunge il suo più alto potenziale solo se a servizio di una visione positiva. Abbiamo bisogno di sapere dove stiamo andando”.
“Non bastano campagne di protesta, manifestazioni o cause singole in reazione a un evento specifico, come è avvenuto in Italia finora. Servono strategia, specializzazione, unione delle competenze, ambizione”. Taddei usa spesso la parola “ambizione”, che nel nostro Paese sembra scomparsa nella lotta per i diritti umani e civili. Miopia, fatalismo, inerzia, ping pong politico, ignoranza – anche nell’universo giuridico nostrano – e disinformazione bloccherebbero il progresso nel diritto alla salute.
In un’era di movimenti anti-europeisti, il giovane avvocato ricorda che gran parte del diritto ambientale di cui possiamo godere è nato nell’Ue. Serve, però, una “forza tranquilla” che lo faccia rispettare. Con una manifesta dedizione alla professione, Taddei parla a lungo per chiarire ogni dettaglio. Morale di questa breve ma stimolante storia, iniziata solo una decade fa: il team dei 60 avvocati di ClientEarth, composto per lo più da giovani e molte donne, è nato per non arrendersi.
Di che cosa si sta occupando adesso?
Mi occupo di cause sulla qualità dell’aria. Nel 2014 ho iniziato a lavorare a questo progetto per ClientEarth e da gennaio lo dirigo. Siamo attivi in nove Paesi diversi per assicurare il diritto all’aria pulita, ovvero far rispettare la direttiva europea del 2008 su aria/ambiente. È la più recente in materia e indica quali concentrazioni di inquinanti sono permesse. Essa ha accorpato e aggiornato una normativa precedente del 1996. Esistono anche altre normative, come quella che regola le emissioni dei veicoli a diesel e a benzina, e la Nec (National emission ceiling directive) del 2016, che prevede un obbligo di limitare le emissioni complessive in uno Stato.
La direttiva del 2008 cosa prevede nello specifico?
Esistono diversi inquinanti dell’aria. Noi cerchiamo di far rispettare il limite massimo per il biossido d’azoto, un gas prodotto quasi esclusivamente dal traffico e soprattutto dai veicoli diesel. L’NO2 ha un impatto negativo sulla salute. Causa un ritardo dello sviluppo della capacità polmonare dei bambini, infiammazioni delle vie respiratorie come l’asma, problemi cardiovascolari. L’altro inquinante su cui ci focalizziamo è il particolato, cioè il pm10 e il pm2,5. Per il biossido d’azoto ci sono limiti in vigore dal 2010, mentre per il pm10 dal 2005 e per il pm2,5 dal 2015.
Nell’Unione europea sono stati rispettati questi valori massimi?
No. Siamo in una situazione di sforamenti costanti, nonostante ci sia stato il tempo di adottare dei piani adeguati. Si pensi che il limite del pm10 è stato stabilito 13 anni fa. Su 28 Stati dell’Ue, 23 stanno violando le norme. Essendo (per il progetto sull’aria, ndr.) un gruppo di soli tre avvocati, ci siamo concentrati sui nove Paesi più problematici.
Parliamo delle cause vinte e in corso.
Quella nel Regno Unito del 2011 è stata la causa pilota. La situazione per il biossido d’azoto era gravissima: 40 zone su 43 in Gran Bretagna con violazioni che sarebbero persistite secondo i piani del governo britannico sino al 2025 e al 2030. Il tribunale di prima istanza confermò che il governo non stava rispettando la direttiva, ma aggiunse che non spettava alla magistratura ordinaria occuparsi di misure che sollevano problemi economici e di opportunità politica. Quindi, rimandò la questione alla Commissione europea. Ovviamente insoddisfatti, impugnammo la sentenza fino alla Corte Suprema, che inviò la causa alla Corte di Giustizia, una sorta di Corte di Cassazione a livello europeo. Quest’ultima, per fortuna, ha dichiarato che la direttiva è vincolante senza eccezione per gli Stati membri e che i cittadini hanno diritto all’aria pulita e a richiedere che il piano sia migliorato se non il linea con i limiti Ue.
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Una svolta epocale.
Sì. Ciò significa che il giudice nazionale non solo ha il potere, ma anche l’obbligo di far applicare la direttiva. Il punto è che i giudici non amano interferire con le decisioni dei governi, soprattutto in materia ambientale, un territorio fatto di questioni tecniche e inesplorato.
Siete, quindi, dei pionieri in Europa?
Storicamente nel nostro continente le associazioni ambientaliste presentano poca capacità legale. Io stesso, che ho studiato diritto dell’ambiente, mi sono trovato in difficoltà a lavorare come avvocato per associazioni che non erano abituate a usare la legge in modo strategico. Facevano manifestazioni, comunicati e qualche causa, ma per contrastare un evento specifico. In Italia, inoltre, non esistono studi specializzati e organizzati in team. Solo singoli avvocati.
In tempo di movimenti antieuropeisti, il vostro lavoro dimostra che l’Ue serve. È un baluardo dei diritti di tutti. Corretto?
Gran parte del diritto ambientale è nato dall’Ue. Se gli stati membri sono in competizione l’uno con l’altro, l’ambiente è una delle prime vittime. Per esempio, il governo italiano non è interessato a fissare delle normative molto strette per gli impianti industriali, se la Francia non fa lo stesso. È necessario un intervento esterno che dia uniformità alla materia. L’Ue ha sviluppato un gruppo di normative ambientali molto all’avanguardia, creando le situazioni per adottarle. Il problema sono i singoli membri che se le dimenticano e la limitata capacità della Commissione europea di far rispettare le sue norme. La Commissione non ha ispettori nei singoli stati, ma riceve le informazioni dagli stati stessi che – malgrado l’obbligo di sincera cooperazione – non hanno vantaggi dall’auto-denunciarsi. E, a livello pratico, non ha 100 avvocati che possano occuparsi della qualità dell’aria in tutti i paesi membri. C’è anche un nodo politico. La Commissione deve far rispettare le normative a un suo membro, ma può anche avere bisogno del suo supporto per far passare il giorno dopo una nuova normativa.
Avete aperto istanze anche in Italia. Ci parla di quella in Lombardia, considerata il motore economico italiano?
L’Italia, purtroppo, è una priorità. La situazione è disastrosa. I numeri sono terribili. Quasi 60mila (59.630) sono le morti premature rispetto alla speranza di vita attribuibili solamente all’esposizione a PM 2.5. Per qualità dell’aria l’Europa può essere divisa in due grandi blocchi. Nella parte occidentale il particolato non è più il problema principale, ma prevale il biossido d’azoto prodotto dai diesel. Nell’est, invece, dove gli impianti industriali sono più vecchi e i cittadini usano ancora il riscaldamento a carbone o a legna, il particolato è il primo degli inquinanti. L’Italia, però, pur trovandosi a ovest, fa eccezione. Qui ci sono livelli altissimi di entrambi i gas inquinanti.
Perché?
La Pianura padana è la zona peggiore.
Come ha fotografato il nostro astronauta Paolo Nespoli…
Certamente la sua conformazione geografica, che la vede circondata dalle Alpi, non favorisce la dispersione degli inquinanti, soprattutto con il bel tempo. Tuttavia, preso atto di ciò, servirebbe più ambizione per migliorare la situazione, come in Francia, Germania e Gran Bretagna.
Ci fa un esempio pratico?
In Germania ormai da quasi dieci anni si è creata una rete di zone a basse emissioni, cioè una sessantina di città che vietano – in modo assoluto – i veicoli diesel più vecchi dell’Euro 4. In Italia l’ambizione è bassissima. I blocchi li facciamo a giorni alterni, in fasce orarie.
I soliti interventi spot all’italiana, senza una regia e una strategia?
Esatto. Grazie alle nostre cause, in Germania è stato ordinato di introdurre un divieto fino all’Euro 5 quest’’anno, esteso all’Euro 6 dall’anno prossimo. La regione Lombardia, al contrario, prevedeva di vietare parzialmente gli Euro 3 dal 2015. Poi ha chiesto di posporre questo divieto parziale all’anno in corso. Nel 2013, dopo le richieste del gruppo milanese Genitori antismog era stato redatto un piano di qualità dell’aria, ma inadeguato. Prevedeva un miglioramento graduale nei successivi tre anni senza identificare un momento di rispetto dei limiti Ue.
Così, nel febbraio 2017, insieme con Cittadini per l’aria e Aipi abbiamo avviato un’azione legale contro la regione Lombardia per chiedere l’aggiornamento del piano. La giunta ha accolto la nostra richiesta una settimana prima dell’udienza al Tar, fissando un calendario per l’aggiornamento. Purtroppo, la bozza di piano che doveva essere pubblicata lo scorso dicembre, ha visto la luce solo a metà marzo, dopo una nostra diffida e le elezioni.
Il documento attuale resta molto generico, con indicazioni preoccupanti, come modifiche minori al piano. Sembra che l’intenzione sia di fermarsi al minimo comun denominatore del piano di bacino della Pianura padana, firmato da Piemonte, Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna.
Di fronte a questo documento insoddisfacente come pensate di procedere?
Chiediamo che il piano concreto della regione Lombardia analizzi e individui tutte le misure possibili per migliorare la qualità dell’aria e la salute dei cittadini, e ne selezioni le più efficaci. Il piano deve essere adeguato all’emergenza sanitaria in corso, rispettando le norme Ue nel tempo più breve possibile.
A che cosa è dovuto l’alto livello di particolato in Pianura padana?
A vari fattori. In buona parta dipende dall’utilizzo di caldaie a legna.
La Lombardia, regione più ricca del Paese, si troverebbe in una situazione analoga a quella dell’Est Europa?
Sì, è sorprendente. Le caldaie a legna sono state incentivate di recente – anche nelle città – come tecnologia buona per i gas serra. In realtà, la questione è controversa. Si pensi all’uso del legname stesso e al fatto che viene importato da molto lontano. Di sicuro, la combustione nelle stufe a pellet (combustibile ricavato dalla segatura e da feci essiccate, ndr) è terribile per l‘aria.
Anche il diesel fu spinto, sovvenzionato.
Costava meno della benzina perché le tasse su di esso erano minori. L’industria automobilistica europea lo promosse e continua a promuoverlo come tecnologia per ridurre i gas serra e il riscaldamento globale.
Il comparto automobilistico sapeva che non era proprio così?
Non ho elementi per rispondere sulle intenzioni originarie. Oggi si può dire che il veicolo a diesel ha un impatto devastante su ciò che respiriamo, inquinando dalle dieci alle venti volte di più della benzina. Sappiamo anche che i test sulle emissioni sono stati truccati. Il diesel agisce solo leggermente meglio, per un 20 per cento, della benzina nell’emissione di CO2 che influisce appunto sui gas serra e il riscaldamento globale. Però, questo vantaggio minimo andrebbe verificato, perché i veicoli a diesel – consumando meno – vengono prodotti in dimensioni più grandi, vedi i suv. Un dato certo è che il settore dei trasporti è l’unico in cui le emissioni di gas serra sono cresciute del 20 per cento.
Si può dire, dunque, con certezza che il traffico è una delle cause principali dello smog?
Sì, i riscaldamenti producono il 50 per cento del particolato, i trasporti un 25/30 per cento, l’agricoltura, attraverso l’uso di fertilizzanti, e gli allevamenti intensivi creano oltre il 90 per cento in Ue dell’ammoniaca, precursore al particolato.
Quali le alternative?
Per gli agricoltori ci sono tecnologie a costo zero, che riducono le emissioni di ammoniaca. Nelle Fiandre le usano dagli anni ’90. Nei diesel sono stati introdotti dei filtri abbastanza efficaci per ridurre il particolato. Purtroppo, per il biossido d’azoto anche il diesel più recente emette 4.5 volte più NOx (ossidi di azoto) rispetto ai limiti di legge. Il blocco parziale proposto dalla Lombardia, solo in autunno-inverno, riguarda diesel Euro 1 ed Euro 2, vecchi di vent’anni. In Germania, oltre ai filtri, hanno applicato degli adesivi sui parabrezza che non richiedono l’utilizzo di pattuglie di vigili per le strade. Essi indicano se l’auto è in regola, oppure no. Se non hai l’adesivo, vieni multato.
E i veicoli elettrici o ibridi. Che cosa ne pensa ClientEarth?
Miriamo a città vivibili e sostenibili, nelle quali nessuno sia esposto a livelli di inquinamento dannosi. Sulle metropoli bisogna intervenire anche per risolvere la questione del riscaldamento globale. Serve un’efficienza energetica degli edifici e un sistema pubblico dei trasporti elettrico tanto esteso da rendere inutile l’utilizzo dell’automobile privata, o almeno limitato a veicoli più puliti. Non abbiamo una preferenza fra gli ibridi o gli elettrici. Ci sono anche delle automobili diesel che rispettano le normative, ma il rapporto è di uno su dieci. Comunque, l’Europa è un’eccezione, perché negli ultimi anni ha registrato il 50 per cento di veicoli diesel venduti, quando negli Stati Uniti era dell’un per cento.
James Thornton dice di avere esportato l’attivismo legale dagli Stati Uniti all’Unione europea, anche se altri studi legali specializzati nei diritti civili e umani c’erano già. Si ritrova in questa affermazione?
ClientEarth è il primo gruppo legale europeo specializzato in diritto ambientale, partendo da studi scientifici rigorosi. Lavora, però, in partnership con associazioni già esistenti, ma senza capacità giuridica.
Un’altra questione tanto dibattuta in Italia è come si fa a riconvertire l’industria senza sacrificare posti di lavoro?
Con il Wwf stiamo seguendo una causa contro la centrale a carbone Enel di Federico II a Brindisi. Il dottor Francesco Forastiere, epidemiologo di fama mondiale, ha valutato che l’impatto sulla salute dei cittadini è drammatico. Nel rapporto studio coorte Brindisi del maggio 2017 si conferma l’effetto cronico delle esposizioni agli inquinanti emessi dalle centrali termoelettriche e dal polo petrolchimico nell’area di Brindisi.
Fra il 1997 e il 2014 si riscontrano aumenti del rischio della mortalità per tumori maligni Ma anche eccessi di ospedalizzazioni per diabete, malattie neurologiche, patologie cardiovascolari e respiratorie. L’esposizione a inquinanti da polo petrolchimico è risultata associata a ricoveri nel primo anno di vita per malformazioni congenite.
Il punto è che non deve nascere un conflitto fra salute e lavoro. È successo per troppi anni che industrie molto inquinanti hanno fatto profitto, esternalizzando dei costi ambientali e sanitari sulla popolazione. Questo vale per l’Ilva di Taranto, come per Volkswagen in Germania che, dopo aver ingannato sui test di dieci milioni di automobili vendute, dice di “non capire” i limiti ai diesel. Volkswagen non è neppure stata sanzionata per questo.
Ma all’operaio di Volkswagen che teme di perdere il suo impiego cosa direste?
Ci sono possibilità incredibili per convertire l’industria automobilistica e creare nuovi posti di lavoro. Il problema è che il comparto europeo è rimasto indietro di decenni. Sta perdendo il treno. Fa azioni di lobby sui governi per mantenere il diesel, quando quest’ultimo sta scomparendo. Nell’ultimo anno le vendite sono crollate in Germania del 16 per cento e nel Regno Unito del 17 per cento. I cittadini europei sono più consapevoli. Sanno che fra qualche anno non potranno più usare i diesel e non si fidano più di chi dice loro che inquinano meno. Inoltre, si preoccupano della loro salute.
E negli Stati Uniti?
La situazione è completamente diversa. In California alcune normative hanno spinto i produttori di auto a creare veicoli elettrici. Così è nata Tesla che sul mercato vale quanto Volskwagen, pur producendo una quantità molto inferiore di veicoli. Ciò significa che ci sono dei buchi di mercato da riempire.
Per voi è arrivato il momento di agire anche Cina.
Sì, abbiamo un progetto. Il governo si è reso conto che l’inquinamento è eccessivo e sta creando dei problemi di coesione sociale.
In Italia, invece, sembrano nascere solo piccoli gruppi ambientalisti senza le forze di smuovere le autorità. Perché la contestazione non si allarga?
L’inquinamento serissimo dell’aria devasta la salute, l’ambiente e costa al nostro governo la perdita di quasi il 5 per cento del Pil ogni anno, secondo uno studio dell’Organizzazione mondiale della sanità e dell’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico del 2015. ClientEarth ha una sezione, la Company financial duties, che mira a utilizzare le normative a tutela degli investitori delle società per assicurare una transizione ecologica. Molte imprese rischiano di spendere tantissimo in tecnologie o risorse che, per rispettare gli obiettivi dell’Accordo di Parigi, dovranno essere eliminate. Un amministratore delegato che fa bene il suo lavoro deve tenere conto di questo notevole rischio finanziario. Per ora in Italia le priorità di governi e aziende sono altre, la crescita, lasciare liberi i produttori per creare occupazione.
Totale miopia?
Era così anche in Gran Bretagna prima delle nostre azioni legali. Nessuno parlava di qualità dell’aria nell’esecutivo. Tuttora, la cancelliera tedesca Angela Merkel ha dichiarato di volersi opporre alle nuove restrizioni per i diesel. Ma noi abbiamo vinto con una sentenza davanti a una Corte federale, non c’è più appello. È inutile che il governo tedesco la contrasti.
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