Dopo 16 anni al potere, Angela Merkel lascerà il posto di cancelliera federale della Germania. Per la prima volta dal 2005, il suo volto non appare sui manifesti elettorali disseminati nelle strade delle città tedesche, in vista delle elezioni previste per domenica 26 settembre. A tentare di raccogliere la pesante eredità della cancelliera, per conto della coalizione conservatrice Cdu/Csu, sarà Armin Laschet. Nei sondaggi, però, il favorito appare il candidato socialdemocratico Olaf Scholz.
Per la prima volta dal 2005 Angela Merkel non è candidata
Chiunque dei due vincerà, dovrà guidare un paese sul quale Angela Merkel ha lasciato una profonda impronta. In oltre un decennio e mezzo, la cancelliera uscente ha affrontato una crisi finanziaria globale, una pandemia e visto aggravarsi sempre più il problema dei cambiamenti climatici. Proprio sulla questione ambientale, la leader tedesca ha più volte affermato di voler agire in modo deciso. Tuttavia il bilancio complessivo della sua azione di governo è fatto di luci e ombre.
Emblematico, in questo senso, fu ciò che accadde proprio un anno fa. Era la fine di agosto del 2020 e la cancelliera riceveva l’attivista svedese Greta Thunberg, accompagnata da altri membri del movimento Fridays for future: la tedesca Luisa Neubauer, e le belghe Adelaide Charlier e Anuna de Wever. “La crisi climatica è oggetto di innumerevoli summit e dibattiti. Vengono assunti impegni ambiziosi e fatti grandi discorsi. Ma quando si tratta di agire con gesti concreti, siamo sempre bloccati. Perché la crisi climatica non è trattata come tale”, avevano spiegato le quattro militanti ecologiste.
Promesse più che fatti sulle emissioni di CO2
Angela Merkel, in questo senso, era la loro interlocutrice “perfetta”. I suoi annunci, infatti, sono apparsi spesso più “importanti” delle scelte effettivamente adottate. Nei sedici anni passati al governo, le emissioni di gas ad effetto serra della Germania sono scese, in media, dell’1% all’anno, escludendo il crollo del 2020 provocato dalla pandemia. Un dato nettamente inferiore rispetto a quello che aveva promesso la stessa cancelliera nel 2007.
All’epoca, la leader della prima economia europea aveva provato ad affermarsi come Klimakanzlerin, “cancelliera del clima”. Il 16 agosto di quell’anno, si fece fotografare assieme al suo ministro dell’Ambiente, Sigmar Gabriel, in Groenlandia, con indossi parka rossi che stridevano con il bianco dei ghiacci circostanti. Merkel impose al proprio governo l’impegno di tagliare le emissioni di CO2 del 40 per cento, entro il 2020, rispetto al livello del 1990. Tanto che nel 2018, i conservatori e i socialdemocratici, mentre discutevano di un possibile governo di larghe intese, proposero di abbandonare l’obiettivo. Per manifesta impossibilità nel raggiungerlo. Eppure, addirittura un quarto dello sforzo era stato assicurato negli anni Novanta dalla Riunificazione. Il crollo della Repubblica democratica tedesca (Ddr) aveva contribuito per un terzo al calo delle emissioni.
La difesa del settore automobilistico tedesco
Ciò nonostante, la scelta fu di spostare in avanti l’obiettivo: quello attuale punta al 2030 e prevede un calo del 50 per cento rispetto al 1990. Ma il grosso dello sforzo sarà sulle spalle dei predecessori di Angela Merkel: due studi che sono stati commissionati dallo stesso governo di Berlino hanno sentenziato che le misure adottate finora non sono sufficienti per mantenere la nuova promessa. La Germania, in altre parole, rischia di non rispettare gli impegni assunti di fronte alla comunità internazionale ratificando l’Accordo di Parigi.
Inoltre, nel corso dei suoi mandati, Angela Merkel si è concentrata soprattutto sul settore energetico, proseguendo una politica avviata dal suo predecessore Gerhard Schroeder. Senza però insistere troppo sul settore dell’automotive, cruciale per l’industria tedesca. La leader cristiano-democratica si è impegnata infatti attivamente per mitigare le norme anti-inquinamento europee che avrebbero sfavorito colossi del settore come Volkswagen, Daimler e Bmw.
L’abbandono del nucleare e il carbone fino al 2038
Neppure lo scandalo dei diesel “truccati” che ha coinvolto direttamente le case tedesche ha convinto il governo ad imporre misure più drastiche. Non a caso, un’alleanza di organizzazioni non governative, nel 2020, ha lamentato la mancanza di azioni efficaci da parte del governo proprio sul settore della produzione di automobili, assieme a quello delle costruzioni. Senza dimenticare il capitolo energia. Dopo la catastrofe di fukushima, Berlino ha deciso di abbandonare il nucleare. Per garantire, al contempo, di non arretrare sugli obiettivi climatici, sarebbe stato necessario investire in modo massiccio sulle energie rinnovabili.
Cosa che è stata fatta, ma la scelta di Angela Merkel, è stata di insistere al contempo con il carbone. E non soltanto come breve fase di transizione nel periodo immediatamente successivo alla chiusura delle centrali nucleari. A gennaio del 2019 la Germania ha annunciato che l’addio al carbone sarà completato soltanto nel lontanissimo 2038. Nel frattempo, entro il 2030 le rinnovabili dovrebbero arrivare al 75 per cento del mix energetico tedesco. Un processo giudicato troppo lento dalle organizzazioni non governative.
Nel 2009 Angela Merkel lanciò il “Dialogo di Petersberg”
Eppure la longeva governante amburghese aveva avuto modo di affrontare i temi ambientali perfino prima di diventare cancelliera. Nel 1995 era infatti stata nominata ministro dell’Ambiente e aveva provocato un vivo dibattito interno proponendo di tassare il cherosene. Fu Helmut Kohl, all’epoca capo del governo (e suo mentore) a imporle un dietrofront.
Nel 2007, nel corso del G7 di Heiligendamm, fu particolarmente attiva nel tentare di chiedere ai sette governi di adottare un obiettivo comune di riduzione delle emissioni. Senza tuttavia riuscire a superare l’opposizione del presidente degli Stati Uniti dell’epoca, George W. Bush. Dopo il fallimento della Cop 15 di Copenaghen, nel 2009, Angela Merkel cercherà di rilanciare le ambizioni climatiche internazionali lanciando il “Dialogo di Petersberg”: una serie di summit ancora oggi organizzati di anno in anno.
L’apertura nei confronti dei migranti in fuga dalla Siria
Particolarmente importante nella storia del lungo cancellierato di Angela Merkel è stata anche la vicenda dei migranti provenienti dalla Siria. Dalla nazione mediorientale, devastata da una guerra drammatica, sono partiti milioni di persone, molte delle quali hanno tentato di raggiungere l’Europa, sia passando dal Mediterraneo che dalle “rotte terrestri”. Numerose nazioni hanno deciso di chiudere le loro porte: non la Germania che adottò al contrario una politica di apertura.
Il 31 agosto del 2015, inoltre, la cancelliera pronunciò la famosa frase: “Wir shaffen Das” (“Ce la faremo”). Aggiungendo: “Lo stato federale, con i suoi Länder, farà tutto ciò che può per riuscirci”. Qualche giorno più tardi, arrivò la decisione ufficiale di accogliere migliaia di rifugiati partiti a piedi dalla stazione di Budapest per raggiungere la Germania, passando per l’Austria. Complessivamente, fino alla fine dell’anno, dalle frontiere tedesche ne saranno accolti 900mila.
A group of Syrian men who came to Germany as refugees six years ago are helping people affected by the floods in the western part of the country.
They answered a call on social media and traveled to the disaster area from all parts of Germany. pic.twitter.com/x1e016lioF
Alcuni di loro hanno mostrato la loro riconoscenza nei confronti della Germania in occasione delle inondazioni che hanno colpito la porzione occidentale della nazione europea alla metà di luglio del 2021, uccidendo centinaia di persone. I rifugiati siriani si sono organizzati sui social network e si sono messi a disposizione per aiutare i soccorritori.
Angela Merkel non passerà alla storia come la klimakanzlerin
Le piogge torrenziali hanno causato ingenti danni. E hanno posto nuovamente in discussione le scelte di Angela Merkel. Nuovamente, poiché già ad aprile la Corte costituzionale aveva confermato come i nuovi obiettivi fissati dal governo in termini di riduzione delle emissioni “non sono sufficienti né conformi al rispetto dei diritti fondamentali”, nella misura in cui non sono previste indicazioni adeguate per la riduzione delle emissioni dopo il 2031”.
Le associazioni ambientaliste avevano anche depositato quattro denunce contro la stessa “legge sul clima”, sottolineando come essa non garantisca un futuro sicuro alle nuove generazioni. Probabilmente, insomma, gli anni di Angela Merkel verranno ricordati più per le sue doti diplomatiche che per la capacità di agire sui temi della sostenibilità: la leader tedesca non passerà alla storia come la klimakanzlerin.
Nonostante la promessa di abbandonare il carbone entro il 2038, il prossimo anno sarà messo in servizio il nuovo impianto Datteln 4. Ira degli ecologisti.
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