Pubblicate nella notte le nuove bozze di lavoro alla Cop29 di Baku, compresa quella sulla finanza climatica. Strada ancora in salita.
Gli effetti economici e sociali di un clima estremo: i casi del Mediterraneo orientale e del Sudovest asiatico
Il clima estremo mina il settore socioeconomico di aree quali il Mediterraneo e Oriente. C’è in gioco la sicurezza nazionale.
Il Mediterraneo orientale e il Sudovest asiatico saranno colpiti da fenomeni climatici estremi senza precedenti, tra cui ondate di calore, siccità, tempeste di sabbia e piogge torrenziali. Lo sostiene una nuova ricerca condotta dall’istituto Max Planck per la chimica e dall’istituto di Cipro. Per i ricercatori questa situazione diventerà presto realtà se non verrà intrapresa “un’azione climatica immediata, ambiziosa e transfrontaliera”. Il nuovo rapporto identifica l’area come una delle più colpite dalle ondate di calore estremo e conclude che la regione si sta riscaldando quasi due volte più velocemente della media globale e più rapidamente di altre parti abitate del mondo. È previsto che la regione subirà una carenza di precipitazioni che potrebbe compromettere la sicurezza idrica e alimentare della popolazione. Saranno colpiti quasi tutti i settori socio-economici, con impatti potenzialmente devastanti sulla salute e sui mezzi di sussistenza di 400 milioni di persone, con ripercussioni anche sul resto del mondo.
Gli effetti sono già evidenti: in Iraq, quest’anno le tempeste di sabbia hanno ripetutamente soffocato le città, bloccando il commercio e facendo finire migliaia di persone in ospedale – tempeste che hanno poi raggiunto Teheran, in Iran, e Kuwait City. L’aumento della salinità del suolo nel delta del Nilo in Egitto sta intaccando terreni agricoli cruciali. Durante tutta l’estate le temperature in alcune zone della regione hanno superato i 50 gradi centigradi. Il Mediterraneo orientale ha registrato la peggiore siccità degli ultimi 900 anni, un duro colpo per Paesi come la Siria e il Libano, dove l’agricoltura si basa sulle precipitazioni. La domanda di acqua in Giordania e nei Paesi del Golfo arabo sta esercitando una pressione insostenibile sulle falde acquifere sotterranee.
Le azioni dei governi sul clima sono inadeguate
Il rapporto, preparato per essere presentato alla Cop27, la conferenza delle Nazioni Unite sul clima che si terrà il prossimo novembre a Sharm El Sheik, sottolinea anche come l’area stia rapidamente diventando uno degli emettitori dominanti di gas serra, superando l’India e l’Unione europea. Se, infatti, da una parte gli Stati comunitari si stanno impegnando a ridurre le emissioni, non si può dire lo stesso per i paesi del Golfo, come il Qatar e l’Arabia Saudita che dipendono fortemente dallo sfruttamento dei combustibili fossili. La valutazione comprende anche una discussione sull’inquinamento atmosferico e sui cambiamenti nell’uso del suolo nella regione, considerando l’urbanizzazione, la desertificazione e gli incendi boschivi, e include raccomandazioni per possibili misure di mitigazione e adattamento ai cambiamenti climatici. Tuttavia, i governi levantini hanno una limitata capacità di adattamento, come ha osservato il Fondo monetario internazionale in un rapporto dell’inizio dell’anno. Le economie e le infrastrutture sono deboli e le normative spesso non vengono applicate. La povertà è diffusa e la creazione di posti di lavoro diventa una priorità rispetto alla protezione del clima. Governi autoritari, come quello guidato dal presidente egiziano Al Sisi, limitano fortemente la società civile, bloccando la creazione di strumenti per coinvolgere l’opinione pubblica sulle questioni ambientali e climatiche.
Gli effetti sociali di un clima senza precedenti
La crisi climatica ha ripercussioni sociali potenzialmente pericolose. Molti di coloro che perderanno i mezzi di sostentamento che una volta producevano nell’agricoltura o nel turismo si trasferiranno nelle città in cerca di lavoro. Questo potrebbe portare ad un aumento della disoccupazione urbana, metterà a dura prova i servizi sociali e potrebbe aumentare le tensioni sociali, oltre al rischio di un aumento delle migrazioni oltre confine. Secondo le stime del Fondo monetario internazionale, l’adattamento delle infrastrutture e delle economie ai danni ambientali sarà enormemente costoso: l’equivalente del 3,3 per cento del prodotto interno lordo (pil) della regione ogni anno per i prossimi dieci anni. La spesa dovrà essere destinata a tutto, dalla creazione di sistemi idrici e di nuovi metodi agricoli più efficienti, alla costruzione di protezioni costiere, al rafforzamento delle reti di sicurezza sociale e al miglioramento delle campagne di sensibilizzazione. Una delle massime priorità per i paesi del Sudovest Asiatico e di altre aree del mondo alla Cop di quest’anno è quindi quella di fare pressione su Stati Uniti, Europa e altri Paesi più ricchi affinché mantengano le promesse fatte da tempo di fornire loro miliardi di finanziamenti per il clima.
Mediterraneo e Medio Oriente: gli effetti della crisi climatica sulla sicurezza nazionale
Le Nazioni Unite hanno evidenziato lo scorso anno come gli effetti devastanti della crisi climatica, causando una vulnerabilità maggiore delle popolazioni locali, potrebbero produrre una proliferazione di gruppi estremisti e terroristici e gravi problemi per la sicurezza. Il cambiamento climatico ha già iniziato ad aggravare la fragilità nei Paesi in guerra o in fase di transizione, ma anche in quelli che stanno faticando a gestire l’impatto della rapida crescita demografica, le conseguenze della pandemia di Covid-19 e una governance debole. La crisi può contribuire alla proliferazione di gruppi armati, intensificare i conflitti per le risorse naturali e rendere più facile per le organizzazioni estremiste attrarre reclute. Ad esempio, tra le cause che hanno portato allo scoppio della guerra civile siriana c’è anche il lungo periodo di siccità di cinque anni che ha colpito il paese nel 2007. La siccità ha prodotto una povertà senza precedenti, aprendo la strada alla migrazione verso le periferie delle principali città siriane, già gravate dalla crescita demografica. L’afflusso degli sfollati interni e le varie pressioni sulle infrastrutture scadenti hanno portato alle rivolte del 2011. Le tensioni legate ai cambiamenti climatici sono anche una questione di sicurezza internazionale, come la disputa tra Iraq, Turchia e Iran sulla costruzione di dighe che limitano i flussi d’acqua, o la diatriba tra Egitto, Sudan ed Etiopia in merito alla Grande diga della rinascita che avrà un enorme impatto sulla popolazione egiziana. Per affrontare il problema, i governi dovrebbero affrontare la sfida climatica per ciò che è: una questione di politica pubblica.
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