L’Ipcc ha chiuso il suo sesto ciclo di rapporti di valutazione (Ar6) con la pubblicazione della sintesi.
Il rapporto sottolinea che, a temperature più basse, gli impatti sono più forti di quanto si credesse.
Diventa fondamentale agire subito per i governi e perseguire l’obiettivo di 1,5 gradi previsto dall’Accordo di Parigi.
Gravità, urgenza e speranza. Sono queste le tre parole chiave dell’ultimo rapporto di sintesi approvato dall’Ipcc (Gruppo intergovernativo sui cambiamenti climatici), il maggior organismo scientifico sul clima a livello globale. Dopo una plenaria di una settimana a Interlaken (Svizzera), si è chiuso il 20 marzo il sesto ciclo di rapporti di valutazione (Ar6): si conclude così il più grande aggiornamento dello stato del clima.
In breve: stiamo andando nella direzione sbagliata e non stiamo facendo abbastanza. Le notizie non sono buone, ma ci sono speranze. Però bisogna agire subito, immediatamente: dobbiamo azzerare le emissioni nette di CO2 per stabilizzare la temperatura (l’aumento attuale è di 1,1 gradi rispetto ai livelli preindustriali). Il clima è già cambiato, quindi misure di adattamento e mitigazione sono indispensabili. In termini di emissioni, dobbiamo raggiungere il picco entro il 2025 per poi dimezzarle entro il 2030. Così facendo, potremmo raggiungere la neutralità climatica, più o meno nel 2070.
E attenzione: parliamo di obiettivi globali e come tali richiedono un coordinamento sovranazionale. Non basta che un paese raggiunga questi risultati. Ciascuno deve raggiungere gli obiettivi in base alle proprie capacità. Il problema è globale e quindi riguarda tutti.
Come funziona il rapporto dell’Ipcc
Il rapporto di sintesi fornisce una panoramica dei risultati dei rapporti di valutazione prodotti da ciascuno dei tre gruppi di lavoro (working group):
basi scientifiche;
impatti, adattamento, e vulnerabilità;
mitigazione dei cambiamenti climatici.
Ciascun gruppo produce un rapporto speciale durante questo ciclo e alla fine viene preparato un summary for policy makers, un riassunto da sottoporre ai governi, strutturato in tre parti:
stato attuale e tendenze;
cambiamenti climatici futuri, rischi e risposte a lungo termine;
risposte nel breve termine.
In questo rapporto, l’Ipcc definisce il breve termine come il periodo fino al 2040. Il lungo periodo, di conseguenza, è definito come il periodo successivo al 2040. Il summary for policy makers rappresenta il documento sul quale i governi dovranno basare le proprie azioni climatiche. Entriamo, brevemente, in merito a ciascuno di queste tre parti.
Lo scenario dell’Ipcc è negativo: +3,2° entro il 2100
Non c’è dubbio che le emissioni di origine umana, alimentate dalla nostra dipendenza dai combustibili fossili, stiano devastando il pianeta. Le attività umane hanno inequivocabilmente causato il riscaldamento globale, con una temperatura media globale di 1,1 gradi centigradi superiore a quella del periodo pre-industriale. Da qui, lo stato attuale si può riassumere attraverso i seguenti concetti:
l’uso di combustibili fossili è la causa principale del riscaldamento globale. Nel 2019, circa il 79 per cento delle emissioni globali di gas serra proveniva da energia, industria, trasporti ed edifici, mentre il 22 per cento proveniva da agricoltura, silvicoltura e altri usi del suolo;
il cambiamento climatico sta creando scompiglio, ma alcune persone e luoghi sono colpiti più duramente;
i cambiamenti climatici hanno ridotto la sicurezza alimentare e compromesso la sicurezza idrica, e gli eventi di calore estremo stanno facendo aumentare i tassi di mortalità e le malattie;
nonostante la crescente consapevolezza e le politiche, la pianificazione e l’attuazione dell’adattamento sono al di sotto delle necessità;
gli attuali livelli di liquidità per il clima sono altamente inadeguati e ancora fortemente superati dai flussi di finanziamenti fossili.
Insomma, i piani esistenti e le lacune nell’attuazione ci stanno proiettando verso un futuro pericoloso. Le politiche e le leggi che affrontano la mitigazione sono aumentate in modo consistente dal precedente rapporto dell’Ipcc (Ar5), eppure le stime di produzione delle emissioni di gas serra nel 2030 prevedono che sarà difficile limitare il riscaldamento al di sotto dei 2 gradi. Esiste un “divario di attuazione” tra le politiche in atto e gli Ndc (le promesse di riduzione delle emissioni di gas climalteranti avanzate – ma non necessariamente mantenute – dai governi di tutto il mondo): secondo le proiezioni, le politiche attuate alla fine del 2020 produrranno nel 2030 emissioni globali di gas serra superiori a quelle previste dagli Ndc. Se non si pone rimedio a questa situazione, siamo sulla buona strada per un riscaldamento globale di 3,2 gradi entro il 2100.
Cambiamenti climatici futuri, rischi e risposte a lungo termine
Il percorso più ambizioso, l’unico allineato agli Accordi di Parigi, ci dà il 50 per cento di possibilità di limitare il riscaldamento a circa 1,5 gradi entro la fine del secolo. Le migliori stime del momento in cui verrà raggiunto il livello di riscaldamento globale di 1,5 gradi si trovano nel breve termine, che questo rapporto definisce come 2040 o prima. Insomma, già nel breve sapremo cosa ci riserverà il futuro. Altre considerazioni sui rischi e risposte a lungo termine sono:
Una Terra più calda non sequestra tanta anidride carbonica e si prevede che i pozzi di carbonio naturali della terra e degli oceani assorbano una percentuale sempre minore di CO2.
Un ulteriore riscaldamento comporta un ciclo dell’acqua globale imprevedibile, siccità e incendi, inondazioni devastanti, eventi estremi del livello del mare e cicloni tropicali più intensi. Molti rischi legati al clima sono più elevati rispetto a quelli indicati dal precedente rapporto dell’Ipcc (AR5) e gli impatti previsti a lungo termine sono di molte volte superiori a quelli attualmente osservati.
Con l’aumento dei livelli di riscaldamento, aumentano anche i rischi di estinzione delle specie o di perdita irreversibile della biodiversità in ecosistemi come le foreste, le barriere coralline e le regioni artiche.
l’innalzamento del livello dei mari potrebbe essere compreso tra due e tre metri, se rimarremo al di sotto degli 1,5 gradi centigradi. Mentre arrivando a 2 gradi potrebbe arrivare fino a 6 metri. Parallelamente spariranno le calotte glaciali della Groenlandia e dell’Antartide occidentale, in modo irreversibile per parecchi millenni;
Le opzioni di adattamento che oggi sono fattibili ed efficaci lo diventeranno molto meno con l’aumento del riscaldamento globale. E con l’aumento delle perdite e dei danni, anche i sistemi umani e naturali raggiungeranno i limiti di adattamento.
Per limitare il riscaldamento globale causato dall’uomo è necessario azzerare le emissioni di CO2. Quanto prima si ridurranno le emissioni in questo decennio, tanto maggiore sarà la possibilità di limitare il riscaldamento a 1,5 gradi o 2 gradi.
Ma dobbiamo anche ridurre altre emissioni: per esempio, le emissioni globali di metano devono ridursi del 34 per cento entro il 2030 rispetto al 2019.
Le discussioni sulla praticità di “1,5 gradi contro 2 gradi” diventano meno rilevanti, poiché lo sforzo necessario in questo decennio è lo stesso.
Tra le soluzioni di lungo termine, nel rapporto dell’Ipcc c’è spazio anche per tecnologie di cattura e stoccaggio di CO2 (Css). Per raggiungere gli obiettivi di temperatura di Parigi sono necessarie emissioni negative. Per controbilanciare alcune emissioni residue di gas serra difficili da abbattere (provenienti dall’agricoltura, dall’aviazione, dal trasporto marittimo e dai processi industriali) dovremmo impiegare metodi di rimozione dell’anidride carbonica, a condizione che sia disponibile lo stoccaggio geologico. L’implementazione delle Ccs, dice il rapporto, si scontra attualmente con ostacoli tecnologici, economici, istituzionali, ecologico-ambientali e socio-culturali. Attualmente, i tassi globali di diffusione delle Ccs sono di gran lunga inferiori a quelli dei percorsi modellati che limitano il riscaldamento globale a 1,5-2 gradi. I metodi di rimozione biologica come il rimboschimento, il miglioramento della gestione forestale, il sequestro della CO2 nel suolo, il ripristino delle torbiere possono avere impatti positivi solo se rispettosi della biodiversità e dei diritti delle popolazioni indigene.
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Un futuro resiliente e vivibile è ancora a nostra disposizione, rassicura l’Ipcc, ma le azioni intraprese in questo decennio per ottenere tagli alle emissioni profondi, rapidi e sostenuti rappresentano una finestra che si sta rapidamente restringendo per consentire all’umanità di limitare il riscaldamento a 1,5 gradi. Se ritardiamo l’azione, le perdite e i danni aumenteranno e altri sistemi umani e naturali raggiungeranno i limiti di adattamento.
Dobbiamo cambiare e riorganizzare gli scenari energetici. Il primo prevede la riduzione della CO2 attraverso tecnologie quali cattura e stoccaggio ma c’è uno scenario che sta dando sicuramente più frutti di tutti ed è quello relativo alle fonti di energia rinnovabile. Un terzo, poi, riguarda un consumo più consapevole e una riduzione della domanda di energia.
Anche gli investimenti in tecnologie verdi sono carenti e pertanto devono accelerare, fino a 3-6 volte di più rispetto ai livelli attuali. Infine, politiche di regolazione e strumenti di prezzo (quali le tasse) sono utili ma devono coordinarsi con altre politiche economiche. E a proposito di azioni di mitigazione: oggi, con una spesa di 100 dollari per tonnellata equivalente di CO2 possiamo dimezzare le emissioni di CO2 entro il 2030. Prima della pandemia e della guerra in Ucraina il costo di mitigazione di una tonnellata si attestava tra 80 e 90 dollari, quindi la situazione non è cambiato di molto. Eppure, come dimostra il rapporto, il capitale globale è sufficiente, i soldi ci sono, per colmare le lacune di investimento a livello mondiale, ma vengono indirizzati verso i settore sbagliati: i combustibili fossili.
Adattamento e mitigazione: c’è speranza solo se saremo tempestivi
“Non siamo sulla strada giusta per limitare l’aumento della temperatura entro 1,5 gradi e le emissioni sono aumentate, anche piuttosto velocemente, in tutti i settori ma in maniera non omogenea”, ha spiegato Elena Verdolini, membro del terzo gruppo di lavoro per l’Ipcc, quello che si occupa delle potenziali soluzioni ai cambiamenti climatici, e PhD all’università degli studi di Brescia, durante la conferenza stampa di presentazione del rapporto organizzata dal Cmcc (Centro Euro-Mediterraneo sui cambiamenti climatici), unico focal point per l’Italia dell’Ipcc. “Non stiamo facendo abbastanza. È anche vero, però, che le azioni per il clima stanno aumentando, dimostrando che l’inversione di tendenza è possibile. Gli obiettivi di carbon neutral sono stati adottati da molte città e regioni”.
Come spiega ancora Verdolini, abbiamo a oggi molte tecnologie (e anche molte soluzioni comportamentali) che ci possono aiutare a ridurre le emissioni in modo significativo. Eppure, le economie più povere sono indietro su questo aspetto e l’impegno messo sul tavolo dalle economiche più ricche (e responsabili delle emissioni) non è sufficiente.
“Non deve passare il messaggio che se non raggiungiamo il limite di 1,5-2 gradi è finita. È un messaggio sbagliato. Qualsiasi riduzione riusciamo a ottenere è comunque meglio di niente, altrimenti andiamo a peggiorare la situazione”, aggiunge Verdolini.
In conclusione, sono disponibili strategie di adattamento e mitigazione per ridurre i rischi? Sì, esistono ma la loro efficacia dipende dalla tempestività delle nostre azioni, che tradotto significa un continuo riferimento a conoscenze scientifiche, alla continuità dell’impegno politico, alla mobilizzazione di risorse, all’impiego di procedure inclusive in collaborazione con cittadini, parti sociali, produttive e istituzioni. È necessario agire adesso attraverso il taglio delle emissioni, altrimenti le perdite e i danni continueranno a colpire duramente prima i popoli più esposti, e poi tutta l’umanità.
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