In vista della sfida tra Kamala Harris e Donald Trump alle elezioni presidenziali Usa, ripercorriamo i grandi temi aperti in materia di clima.
Negoziati sul clima, la lobby delle fonti fossili dovrà ammettere il conflitto d’interessi
Vittoria dei paesi in via di sviluppo che, nonostante l’opposizione di Ue, Stati Uniti e Australia, chiedeva da tempo regole di trasparenza per le lobby.
I rappresentanti della lobby delle fonti fossili che prenderanno parte ai negoziati sul clima delle Nazioni Unite (a partire dalla prossima Cop 23), saranno obbligati a dichiarare nel dettaglio i loro conflitti d’interesse. A deciderlo è stata la Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (United Nations framework convention on climate change, Unfccc), riunita a Bonn, in Germania. Ma si tratta – ha sottolineato il quotidiano inglese The Guardian – soprattutto di una vittoria dei paesi in via di sviluppo contro le economie avanzate.
Ecuador e Venezuela chiedevano “regole morali” per le lobby
La richiesta di imporre trasparenza alla lobby del petrolio, del carbone e del gas “era stata infatti osteggiata da Unione europea, Stati Uniti e Australia. Nonostante l’opposizione delle grandi economie mondiali, siamo riusciti ad ottenere un buon risultato”, ha commentato al giornale britannico Jesse Bragg, che da anni assieme alla ong Corporate Accountability International sostiene la necessità di porre un freno al potere della lobby delle fonti fossili nei consessi internazionali.
A guidare i paesi in via di sviluppo nella battaglia sono stati in particolare i governi di Ecuador e Venezuela, che a nome del Like Minded Group of Developing Countriesù (che rappresenta la maggioranza della popolazione mondiale) avevano chiesto già nel 2016 di introdurre la norma. Quest’ultima sarà d’ora in poi applicata a tutte le organizzazioni che partecipano ai summit con lo status di “osservatori”, il che consente loro di accedere all’interno dei luoghi dove si effettuano i negoziati sul clima, attraversare liberamente i corridoi e parlare direttamente con i membri delle delegazioni dei governi. È il caso anche di colossi del settore petrolifero del calibro di ExxonMobil, Shell o British Petroleum, presenti ad ogni sessione.
“ExxonMobil nascose per decenni i dati sui rischi ambientali”
In particolare, già nel maggio dello scorso anno, nel corso di un altro meeting tenuto a Bonn, la delegazione venezuelana aveva spiegato che l’Accordo di Parigi concluso al termine della Cop 21 nel 2015, per poter funzionare, necessita di “regole morali” contro i conflitti di interesse di chi da sempre cerca di annacquare gli accordi per la lotta ai cambiamenti climatici. “È noto il fatto che ExxonMobil ha tenuto nascoste le informazioni in suo possesso sul tema del riscaldamento globale per decenni. E le indagini hanno rivelato che l’azienda continua a tentare di manipolare le discussioni sul clima”, ha ricordato il Guardian.
Il problema delle “Bingo” (“Business and Industry NGOs”: organizzazioni non governative delle imprese e dell’industria) è stato infatti stigmatizzato dalla stampa internazionale presente al meeting che si chiuderà a Bonn il 18 maggio. Il quotidiano Le Monde ha sottolineato ironicamente: “Con una sigla del genere, non stupisce che in molti si domandino quale ‘jackpot’ cerchino di intascare le lobby presenti ai negoziati sul clima!”.
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