Secondo il Tribunale internazionale del diritto marittimo i governi hanno l’obbligo di lottare contro i cambiamenti climatici. Ecco cosa può cambiare ora.
È una vittoria storica quella incassata dalle nazioni insulari di fronte al Tribunale internazionale del diritto marittimo (International tribunal for the Law of the sea, anche noto con la sigla Itlos). Martedì 21 maggio, la corte che fa capo alle Nazioni Unite si è espressa a favore di una richiesta giunta da una coalizione dai piccoli stati-isola. Questi ultimi reclamavano un obbligo in capo alle nazioni che hanno ratificato la Convenzione Onu sul diritto del mare di rafforzare le misure di mitigazione dei cambiamenti climatici.
Cosa ha deciso il Tribunale internazionale
Il tribunale – la cui sede è ad Hannover, in Germania – ritiene infatti che il trattato in questione imponga “specifici obblighi al fine di adottare le politiche necessarie per prevenire, ridurre e gestire gli impatti sul mare dovuti alle emissioni di gas ad effetto serra”. Si tratta di una decisione che riguarda ben 169 stati di tutto il mondo. Che ora, secondo la stessa corte, dovranno fare tutto ciò che è nelle loro possibilità per “centrare l’obiettivo dell’Accordo di Parigi di limitare la crescita della temperatura media globale ad 1,5 gradi centigradi”.
A group of small island states including Antigua and Barbuda and the Bahamas secured a win on climate change in an international court on Tuesday as they seek to combat rising sea levels. https://t.co/mKBS9rNtAWhttps://t.co/mKBS9rNtAW
— Reuters Science News (@ReutersScience) May 21, 2024
I giudici hanno aggiunto che i governi devono anche “proteggere e preservare gli oceani agli impatti dell’acidificazione”, nonché “ripristinare” gli ecosistemi già distrutti. Per farlo, inoltre, dovranno basarsi “sulle migliori conoscenze scientifiche”, e mostrarsi “diligenti” in ragione dei “rischi importanti di pregiudizi gravi e irreversibili all’ambiente marino legati alle emissioni di CO2”.
“Senza un’azione rapida e ambiziosa, i cambiamenti climatici potrebbero impedire ai miei figli e ai miei nipoti di vivere sull’isola dei loro antenati, la nostra casa”, ha commentato Alfonso Browne, prima ministro di Antigua e Barbuda.
Le decisioni non sono vincolanti, ma possono incidere sui tribunali nazionali
L’organismo giudiziario in questione, tuttavia, non ha potere coercitivo. Le sue sentenze sono infatti considerate come dei pareri non vincolanti. C’è però una conseguenza diretta di tale sentenza, legata al fatto che, d’ora in poi, i tribunali nazionali dovranno interpretare il trattato in tal senso. È possibile, perciò, che possano nascere azioni legali in ciascuna giurisdizione e che esse possano andare per questa ragione a buon fine.
Small Island Developing States are on the frontlines of climate change, yet they're also pioneers in shifting to a nature-positive future.@ASteiner and @cmrodrigueze highlight 3 key success factors emerging from these trailblazing #SmallIslands.#SIDS4https://t.co/EUpfeQh5cz
È proprio per questa ragione che l’alleanza di paesi insulari che ha promosso l’iniziativa ha parlato di “sentenza storica” che riafferma anche la loro “leadership in questa sfida cruciale per l’avvenire dell’umanità”. Del gruppo fanno parte Antigua e Barbuda, Bahamas, Niue, Palau, Saint Kitts e Nevis, Saint Lucia, Saint Vincent e Grenadine, Tuvalu e Vanuatu.
Si parla tanto di finanza climatica, di numeri, di cifre. Ma ogni dato ha un significato preciso, che non bisogna dimenticare in queste ore di negoziati cruciali alla Cop29 di Baku.
Basta con i “teatrini”. Qua si fa l’azione per il clima, o si muore. Dalla Cop29 arriva un chiaro messaggio a mettere da parte le strategie e gli individualismi.