Le temperature impazzite hanno conseguenze anche sull’ecosistema marino: le sardine si sono rimpicciolite, ma anche vongole e seppie sono a rischio.
Il clima entra nel piatto: riscaldamento globale e food si influenzano a vicenda
Cambiamenti climatici e alimentazione: come si influenzano a vicenda? È il riscaldamento globale a rendere necessari metodi di coltivazione sempre più aggressivi o, all’opposto, è un’agricoltura troppo intensiva ad aver peggiorato la situazione ambientale globale? Anche di questo si è discusso nella tavola rotonda Corretta alimentazione e sostenibilità ambientale che si è svolta lo scorso 1 ottobre al Salone della Csr e dell’innovazione sociale presso l’università Luigi Bocconi di Milano.
Cambiamenti climatici e alimentazione: come si influenzano a vicenda? È il riscaldamento globale a rendere necessari metodi di coltivazione sempre più aggressivi o, all’opposto, è un’agricoltura troppo intensiva ad aver peggiorato la situazione ambientale globale? Anche di questo si è discusso nella tavola rotonda Corretta alimentazione e sostenibilità ambientale che si è svolta lo scorso 1 ottobre al Salone della Csr e dell’innovazione sociale presso l’università Luigi Bocconi di Milano.
L’analisi del tema ha preso le mosse da un overview dello scenario internazionale. Secondo Davide Tonon, sustainability consultant di Quantis International, le grandi multinazionali del food sono impegnate innanzi tutto nel calcolo dei propri impatti ambientali su tutta la filiera. Molte aziende alimentari hanno cominciato a fare queste stime non limitandosi più alle attività dirette, ma includendo nel raggio di azione del proprio monitoraggio anche gli impatti indiretti, ovvero quelli legati alle attività che avvengono fuori dalle mura aziendali (produzione delle materie prime, trasporti, ecc.), che spesso costituiscono la parte più consistente delle emissioni. Una volta calcolati gli impatti, sempre più spesso le aziende si pongono obiettivi di riduzione delle emissioni ambiziosi, in linea con i limiti del pianeta e per non superare l’innalzamento della temperatura globale di 1,5° C auspicati dagli accordi di Parigi. Un impegno non certo disinteressato, ma indispensabile per contrastare le minacce del cambiamento climatico sulla produzione agricola stessa: secondo i dati dell’Ipcc riportati da Chiara Murano, senior sustainability consultant di Dnv Gl – Business Assurance, il riscaldamento globale sta riducendo la resa di colture come mais, riso e grano, rendendoli meno nutrienti e quindi di qualità inferiore. Il cambiamento climatico potrebbe influenzare ogni aspetto della sicurezza alimentare nelle sue quattro dimensioni (disponibilità, accessibilità, utilizzo, stabilità). È stata la Fao, in un report del 2016, a segnalare il peggioramento delle condizioni di base che garantiscono la sicurezza alimentare in diverse aree del mondo. Non si parla solo di zone notoriamente critiche, come quella del Sahel, ma anche di aree tradizionalmente agricole, come il bacino mediterraneo.
I rischi legati al clima dipendono dall’aumento delle temperature globali entro il 2050
Naturalmente i rischi legati al clima entro il 2050 varieranno in modo sensibile a seconda che l’aumento della temperatura sia contenuto entro 1,5 °C o se invece arriverà a 2 °C o più. Questa variazione è stata approfondita dall’Ipcc: per gli esperti del panel intergovernativo dell’Onu, già oggi i livelli di produzione agricola sono a rischio e il potere nutritivo delle colture risulta diminuito in molte zone del mondo. Il rapporto – presentato un anno fa in Corea – evidenzia quanto i cambiamenti climatici stiano incidendo sull’equilibrio dei cicli naturali, al punto da mettere a rischio le economie di molti sistemi alimentari, con conseguenze locali e planetarie che sono già misurabili.
A livello mondiale, la variabilità del clima è all’origine di più del 60 per cento dei casi di diminuzione di rendimento di mais, riso, grano e soia. All’aumento della CO2, tra l’altro, diminuisce la capacità di accumulo da parte delle piante di alcuni micronutrienti come ferro e zinco che, di conseguenza, diventano meno disponibili per l’alimentazione umana e animale. Meno cibo e di qualità nutrizionale inferiore, dunque.
Gli effetti negativi dell’ozono troposferico
Una seconda minaccia alle rese di grano, riso, mais e soia è l’aumento di ozono troposferico (prodotto dai principali inquinanti industriali): solo per questo tipo di ozono, la diminuzione dei raccolti su scala mondiale viene valutata dal 3 al 16 per cento. Ci sono poi aree del mondo in cui le criticità esistenti nei sistemi alimentari si sommano con gli effetti combinati dei cambiamenti climatici. È il caso del bacino del Mekong nel Sud-est asiatico in cui, oltre all’aumento della temperatura, stanno aumentando precipitazioni, inondazioni e livello del mare, con la conseguente salinizzazione delle terre inondate o infiltrate dal mare. Nel Sud-Est asiatico nel prossimo decennio ci si aspetta una diminuzione del 15 per cento della produzione di riso in uno dei principali bacini di produzione a livello mondiale. Questo calo produttivo altererà in modo significativo il commercio internazionale ma, soprattutto, gli equilibri regionali. I cambiamenti climatici incidono anche sulla produzione zootecnica: una diminuzione delle colture foraggere ha un’influenza diretta sulla qualità dei mangimi e, quindi, sulle diete animali e sulla diffusione di parassiti e malattie. Lo stesso accade per la riduzione della disponibilità di acqua per i fabbisogni del bestiame. Nonostante si stiano allungando le stagioni di raccolta alle latitudini più alte, infatti, anche in Europa diverse ricerche hanno certificato la diminuzione della qualità del foraggio nei pascoli naturali dovute a cambiamenti delle precipitazioni.
L’allarme coinvolge mari e oceani
La situazione è altrettanto allarmante per l’ecosistema di mari e oceani. I cambiamenti climatici stanno aumentando l’acidità delle acque e diminuendo livelli di ossigeno. Su scala mondiale, si stima una diminuzione della cattura annuale di pesci di circa 1,5 milioni di tonnellate per la soglia di 1,5 °C di riscaldamento globale e una perdita di oltre 3 milioni di tonnellate per la soglia di 2 °C. A questi elementi andrebbero poi sommate le implicazioni socio-economiche, quali i prezzi delle materie prime e le speculazioni finanziarie connesse, i prezzi della terra, le migrazioni, i cambiamenti politici e organizzativi delle economie del cibo, i riequilibri dei poteri.
Anche l’agricoltura è responsabile dei cambiamenti del clima
Non va dimenticato il rovescio della medaglia: una delle prime cause del cambiamento climatico è il sistema alimentare stesso. L’agricoltura globale è infatti responsabile del 35 per cento delle emissioni di anidride carbonica, metano e protossido di azoto dovute alle attività umane. La zootecnia, da sola, contribuisce per il 18 per cento a tutte le emissioni di gas serra. La maggior parte delle emissioni è dovuta alla deforestazione tropicale, al metano prodotto dagli allevamenti di bovini e dal protossido di azoto prodotto in terreni eccessivamente fertilizzati. Inoltre l’agricoltura ha già trasformato e modificato il 38 per cento delle terre emerse. Per ridurre gli effetti del cambiamento climatico è necessario un approccio alimentare più sostenibile, capace di ridurre significativamente gli impatti sui sistemi naturali e la biodiversità e di integrare in modo equilibrato le diverse componenti dell’alimentazione. Da qui il terzo macrotrend che le aziende alimentari stanno abbracciando: l’innovazione. Per riuscire a ridurre i propri impatti ambientali rispettando target ambiziosi spesso non è sufficiente procedere solamente con il business as usual, ma è necessario lavorare sull’innovazione tramite azioni ‘disruptive’, trovando nuove tecnologie che permettano di ridurre drasticamente gli impatti.
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