La scienza dell’attribuzione è una nuova branca che tenta di stabilire legami certi tra i singoli eventi meteorologici estremi e il riscaldamento globale.
L’aumento della temperatura media globale comporta un aumento della frequenza e della violenza degli eventi meteorologici estremi.
Tuttavia, ciò non significa che tutti possano essere attribuiti (del tutto o in parte) al riscaldamento globale.
Di queste valutazioni si occupa la scienza dell’attribuzione, attraverso una serie di tappe ben definite.
L’aumento della temperatura media globale, provocato dalle attività antropiche, a cominciare dallo sfruttamento di carbone, petrolio e gas, comporterà un aumento della frequenza e della violenza degli eventi meteorologici estremi. Ciò sull’intero globo terrestre, benché alcune aree siano particolarmente vulnerabili, per ragioni di collocazione geografica o per caratteristiche geo-morfologiche.
Semplici fenomeni meteo o conseguenze dei cambiamenti climatici?
Questo assunto è stato ripetuto più e più volte dalla comunità scientifica. Numerosi studi, paper e analisi confermano tale rapporto di causa-effetto. Tuttavia, ciò non significa che tutti gli eventi meteorologici estremi – come uragani, ondate di caldo estremo o di siccità – possono essere attribuiti in tutto o in parte al riscaldamento globale. Per farlo servono studi ad hoc. Occorre che l’intensità, la frequenza, l’eventuale precocità o tardività del singolo fenomeno possano risultare talmente tanto distanti dalla media da poter far ragionevolmente supporre che a generarli, o per lo meno ad alimentarli, siamo stati i cambiamenti climatici.
The ongoing agricultural drought in Syria, Iraq and Iran affecting tens of millions of people wouldn’t have happened in a 1.2°C cooler world without human-caused climate change.
Così, negli ultimi anni, la comunità scientifica a cominciato a porsi la domanda. Ne è nata una branca specifica, la cosiddetta “scienza dell’attribuzione”. Ma come è possibile, concretamente dedurre il contributo esatto fornito dal riscaldamento globale ad un singolo evento? I ricercatori, infatti, non dispongono di “un’altra Terra”, identica alla nostra, ma senza una popolazione umana che per quasi due secoli ha bruciato combustibili fossili e disperso nell’atmosfera gigantesche quantità di gas ad effetto serra. Non esiste, in altre parole, un termine di paragone: una sorta di “gruppo di controllo” che permetta di giungere a delle conclusioni.
Le tappe seguita da chi si occupa di scienza dell’attribuzione
Per ovviare a questa mancanza, gli scienziati seguono una serie di tappe. La prima consiste nel definire le caratteristiche dell’evento osservato: la durata e l’intensità di un’ondata di caldo eccezionale; il volume di precipitazioni registrato nel corso di una tempesta; il grado di violenza di un uragano in relazione al luogo e alla stagione in cui esso si verifica.
A questo punto nella scienza dell’attribuzione entrano in gioco quelli che vengono definiti modelli climatici. Si tratta di simulazioni complesse dell’atmosfera, degli oceani e delle terre emerse che vengono effettuate grazie a dei supercalcolatori. In pratica, dal momento che i ricercatori hanno a disposizione un dato preciso, la quantità di gas ad effetto serra di origine antropica presente nell’atmosfera terrestre, è possibile tentare di “eliminarla” con l’aiuto di tali modelli. In altre parole, l’idea è quella di “osservare” nelle simulazioni il clima della Terra in assenza dell’uomo.
Una sorta di mondo immaginario, grazie al quale si tenta di calcolare quante probabilità ci sarebbero di assistere a un fenomeno identico in mancanza del riscaldamento climatico. È chiaro che se un tipo di evento che nella realtà si è prodotto cinque volte in dieci anni, nei modelli risulta possibile solo una volta ogni due secoli, si può dedurre che possa essere dipeso, appunto, dall’aumento della temperatura media globale.
L’uragano Harvey, il primo a essere attribuito ufficialmente ai cambiamenti climatici
Il primo caso di fenomeno estremo attribuito ai cambiamenti climatici risale all’agosto del 2017. All’epoca, l’uragano Harvey colpì la città di Houston, negli Stati Uniti. Alcuni mesi più tardi, nel dicembre dello stesso anno, è stato pubblicato un paper scientifico che dimostra come i cambiamenti climatici abbiano reso tre volte più probabile il verificarsi di un evento simile. Successivamente, nel 2020, è stato calcolato che 77 dei 90 miliardi di dollari di danni provocati da quell’uragano sarebbero stati probabilmente evitati in assenza della “spinta “garantita dal riscaldamento globale.
Allo stesso modo, “l’ondata di caldo straordinaria che ha colpito la porzione occidentale degli Stati Uniti e del Canada nell’estate del 2021, facendo registrare la temperatura di 49,6 gradi centigradi nella cittadina di Lytton, è stata talmente estrema da risultare difficile da immaginare anche per climatologi come noi”, hanno scritto sul New York Times le ricercatrici Katharine Hayhoe, della Texas Tech University, e Friederike Otto, dell’università di Oxford. Quest’ultima si è impegnata nell’iniziativa World weather attribuiton: una collaborazione internazionale di scienziati che punta proprio ad analizzare in modo rapido i singoli eventi al fine di comprendere se siano o meno dipesi o aggravati dai cambiamenti climatici.
Nel caso dell’ondata di caldo del 2021 nel nord America la conclusione ha indicato che il riscaldamento globale di origine antropica ha reso il fenomeno più intenso di 2 gradi centigradi e almeno 150 volte più probabile.
Scienza dell’attribuzione: il caso dell’ondata di caldo in Madagascar
Più di recente, la stessa organizzazione ha pubblicato un rapporto dettagliato sulle ondate di caldo che si sono registrate nel mese di ottobre in Madagascar. A partecipare all’analisi sono stati ricercatori della stessa nazione africana, così come danesi, olandesi, britannici e sudafricani. Anche in questo caso il risultato è stato evidente: i record frantumati nella nazione insulare sarebbero stati “virtualmente impossibili” in assenza di riscaldamento globale.
Ma l’analisi basata sulla scienza dell’attribuzione ha anche un altro merito: indica che anche con l’attuale livello di crescita della temperatura media globale – 1,2 gradi centigradi in più rispetto ai livelli pre-industriali – un fenomeno simile resta estremamente raro. È stato indicato che ce lo si può aspettare una volta ogni secolo. Ma se si dovessero toccare i 2 gradi centigradi, l’evento potrebbe prodursi addirittura una volta ogni cinque anni.
Madagascar experienced prolonged and relentless heat during October, impacting millions of people.
Our latest study investigating the influence of climate change on the heat will be published at 7amCET/ 9amEAT on Thursday. https://t.co/0vaA06AXNm
Il dato dimostra, da un lato, che occorre agire immediatamente per mitigare il più possibile i cambiamenti climatici; dall’altro, certifica che “ogni decimo di grado conta”. Anche qualora non si dovesse centrare l’obiettivo più ambizioso dell’Accordo di Parigi, ovvero non superare la soglia degli 1,5 gradi, fermarsi a 1,6 anziché arrivare a 1,8 può rappresentare una differenza abissale. Soprattutto per le nazioni più vulnerabili della Terra, che spesso sono anche quelle meno responsabili del riscaldamento globale.
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