Abbiamo meno tempo del previsto per centrare l’obiettivo più ambizioso dell’Accordo di Parigi, ovvero limitare la crescita della temperatura media globale ad un massimo di 1,5 gradi centigradi, entro la fine del secolo, rispetto ai livelli pre-industriali. Tenuto conto infatti del ritmo attuale delle emissioni di gas ad effetto serra disperse ogni anno nell’atmosfera a causa delle attività antropiche, abbiamo ancora soltanto sei anni a disposizione per invertire la rotta.
A spiegarlo è uno studio che è stato pubblicato sulla rivista scientifica Nature climate change, che ha calcolato la traiettoria attuale della temperatura media globale, tenuto conto del fatto che, ogni anno, il mondo continua a disperdere nell’atmosfera circa 40 miliardi di tonnellate di CO2. E considerando che il Pianeta si è già scaldato di 1,2 gradi rispetto a prima che l’uomo cominciasse a bruciare carbone, petrolio e gas.
Per gli 1,5 gradi servirebbe un calo immediato e drastico delle emissioni di CO2
I ricercatori, guidati da Robin Lamboll dell’Imperial College di Londra, hanno perciò ricalcolato il cosiddetto “carbon budget”. Ovvero il quantitativo massimo di biossido di carbonio che possiamo permetterci di disperdere nell’atmosfera senza sfondare il tetto degli 1,5 gradi. In pratica, il calo delle emissioni dovrebbe essere immediato e drastico. Un’ipotesi che non appare in alcun modo in vista a livello mondiale, considerando anche le molteplici velocità della transizione ecologica, estremamente diverse da paese a paese.
Joeri Rogelj, uno degli scienziati che ha partecipato al calcolo, è in questo senso decisamente radicale nella sua analisi: “È chiaro che le possibilità di limitare il riscaldamento climatico a 1,5 gradi sono esaurite. Già quest’anno è altamente probabile che si tocchi tale livello”. Anche se per ritenere che il Pianeta abbia “raggiunto la soglia” occorre che non si tratti di un picco ma di un valore stabile. Il trend è tuttavia oggettivamente allarmante.
Perché ciò non significa che ci si debba arrendere sul clima
Già d’altra parte le ultime stime del consorzio europeo Copernicus indicano che gli 1,5 gradi potrebbero essere raggiunti stabilmente a partire dal 2034, se non prima secondo altri studi: ben in anticipo rispetto alla metà del secolo, ipotizzata in precedenza. Il che provocherà conseguenze immediate in termini di impatti sulle nostre vite, attraverso la moltiplicazione dei fenomeni meteorologici estremi, l’aumento delle ondate di caldo e di siccità, lo scioglimento accelerato dei ghiacciai alpini e la fusione delle calotte polari, con tutto ciò che questo comporterà anche in termini di innalzamento del livello dei mari.
A preoccupare ci sono poi gli altri gas ad effetto serra, a partire dal metano, che potrebbero accelerare ulteriormente il processo di riscaldamento globale: “È come giocare alla roulette russa”, prosegue Rogelj. Che però sottolinea come tali evidenze non significhino in alcun modo che ci si possa o ci si debba arrendere. “Anche se non riusciremo a limitare la crescita della temperatura media globale a 1,5 gradi, tagliare le emissioni ci permetterà di avere più possibilità di restare a 1,6 o a 1,7 gradi. Il che rimarrebbe un ottimo risultato tenuto conto della direzione che stiamo seguendo attualmente”.
La traiettoria attuale porterebbe infatti a raggiungere nel 2100 i 2,4 gradi centigradi. E ciò a condizione che i governi di tutto il mondo mantengano le promesse (insufficienti) finora avanzate. Il che non è affatto detto, anche solo per via del fatto che gli esecutivi cambiano colore politico e molto spesso anche orientamento sulla questione climatica.
Finanza climatica, carbon credit, gender, mitigazione. La Cop29 si è chiusa risultati difficilmente catalogabili in maniera netta come positivi o negativi.